Il governo sta pensando di nominare alla presidenza di Leonardo il generale Luciano Carta, attualmente direttore dell’AISE (Agenzia informazioni e sicurezza esterna).
Se da una parte questa proposta di nomina è palesemente inopportuna ed irricevibile per ovvie ragioni di conflitto d’interessi rileviamo come la stessa legge (185/90) che dovrebbe impedirlo sia piena di falle.
Ricordiamo che con le successive modificazioni apportate nel corso degli ultimi trent’anni, grazie anche al concetto di “cooperazione militare”, questa legge non è nemmeno più utile ad impedire il trasferimento di armamenti a Paesi extra-Nato impegnati in guerre e/o violazioni dei diritti umani.
Di fatto si tratta di una legge inutile poiché, per essere coerente con le finalità per cui è stata emanata, andrebbe urgentemente rivista in senso restrittivo ripulendola dalle eccezioni e modificandone alcuni articoli.
Le carriere del personale civile e militare impegnato nelle forze armate o nei servizi di intelligence dovrebbero essere mantenute sempre separate (e non come ora per un periodo di tre anni) da eventuali incarichi nell’industria militare.
Ricordiamo che grazie a questo governo è stata introdotta la norma “government to government” (G2G) ossia la trasformazione del Ministero della Difesa nell’autorità preposta a stipulare direttamente contratti per la fornitura di tecnologia militare con paesi terzi. Lo chiedevano da anni sia gli industriali che i sindacati….
Rileviamo inoltre come l’eventuale nomina del generale Carta alla presidenza di Leonardo sarebbe in realtà perfettamente coerente con le dichiarate finalità dei servizi d’intelligence. Lo scorso 2 marzo gli stessi servizi segreti, di cui il generale Carta occupa i livelli apicali, hanno presentato al parlamento un documento in cui si dichiara a chiare lettere che “…a fronte di una competizione internazionale sempre più accesa l’impegno del Comparto intelligence a PRESIDIO DELL’ECONOMIA NAZIONALE (in grassetto nel testo, ndr) è stato volto a (…) supportare l’internazionalizzazione delle imprese italiane e a preservare le filiere industriali, a partire da quelle di rilevanza strategica, da aerospazio, difesa e sicurezza a trasporti, infrastrutture e telecomunicazioni…”.
Una chiara distorsione “strutturale” del cosiddetto interesse nazionale che viene fatto coincidere con l’interesse delle multinazionali di bandiera ed evidentemente sorvola sugli scandali di corruzione internazionale come quelli legati all’Eni (che peraltro ha sede fiscale in Olanda) o sulla fornitura di armamenti a regimi criminali.
La realtà è che stiamo vivendo da almeno un paio di decenni ad una vera e propria privatizzazione della guerra, la quale fa il paio con la privatizzazione della società nel suo complesso.
Il processo di “privatizzazione della guerra” è tanto più normale e naturale se si pensa che anche in Italia, a partire dagli anni novanta, in quasi ogni documento che si occupa di programmi ed acquisizioni viene sempre formalizzato e sottolineato il concetto che le capacità militari (offensive e di proiezione) di uno stato ne determinano il rango, lo status ed il prestigio a livello internazionale. E non si tratta di una mera esibizione di potenza: perché rango e status del nostro paese possano aleggiare alti nel firmamento della così detta Comunità internazionale questa potenza deve essere impiegata, dimostrata sul campo, spesa insieme ai nostri partner Nato e supportata dall’industria di riferimento per diventarne addirittura una sorta di prestigiosa vetrina ambulante.
Crediamo quindi che, dopo trent’anni di belligeranza ed a maggior ragione in tempi di crisi epocale, tutto il così detto “comparto Difesa e sicurezza” debba essere messo in discussione. Non basta una generica, per quanto sensata, riduzione delle spese militari. Serve una revisione organica che consideri riorganizzazione e funzione delle forze armate, ruolo dell’industria (verso la conversione), uscita dalla Nato e recupero di sovranità nazionale attraverso la rescissione dei trattati (peraltro ancora “segreti”) che regolano la presenza militare statunitense sul nostro territorio.