Ha fatto immediatamente il giro del mondo la notizia dell’azzeramento dei mandati presidenziali che consentirebbe al presidente russo, Vladimir Putin, di rimanere in carica ben oltre il famoso 2024. La riforma costituzionale, iniziata a gennaio, aveva da subito drizzato le orecchie di quelli che vedevano in questa mossa del Cremlino un mal celato tentativo di aggirare il limite dei due mandati (che per Putin già sono quattro). Ora che le carte sono state scoperte durante il discorso di Putin di fronte alle camere riunite del Parlamento, solo l’impatto nefasto del coronavirus potrebbe dare qualche spazio di manovra alla frammentata opposizione (non sistemica). L’impossibilità di condurre in maniera rapida e indolore la ‘consultazione popolare’ – una specie di referendum pianificato per il 22 di aprile – potrebbe complicare i piani del Cremlino.
Un piano perfetto
In molti, esperti e non di cose russe, parlano ora di ‘piano perfetto‘. Secondo questo punto di vista, infatti, lo scopo dell’intera manovra iniziata con la riforma costituzionale e proseguita con le promesse dello stesso Putin di lasciare il potere dopo il 2024, sarebbe stato quello di distrarre la popolazione. A questo sarebbero servite le lunghe discussioni che hanno infiammato l’opinione pubblica sulle modifiche alla parte più descrittiva della costituzione, come l’inserimento di riferimenti ai valori tradizionali, alla religione e al ruolo sociale dello stato, come base fondante della Federazione Russa.
Intanto, mentre questo processo di legittimazione della nuova Costituzione andava avanti, all’ombra delle torri del Cremlino Putin avrebbe atteso solo il momento giusto per inserire la modifica cruciale, quella che gli avrebbe permesso di ricandidarsi e di essere rieletto (siamo pur sempre in Russia!) per almeno un altro mandato di 6 anni. Anche il fatto che ad introdurre tale modifica sia stata la deputata Valentina Tereškova sembra quasi fatto appositamente. La stessa Tereškova, la prima donna sovietica nello spazio, nel lontano 1977 aveva scritto un elogio politico a Leonid Brežnev, segretario del PCUS, ringraziandolo per l’approvazione dell’ultima costituzione sovietica.
È tutto così facile?
Sebbene le spiegazioni più facili siano molte volte quelle giuste, rimane sempre difficile speculare sulle intenzioni reali dei leader, specialmente in regimi chiusi e a forti tinte plutocratiche come quello russo. Se ben pochi possono aver dubbi sul fatto che l’introduzione dell’azzeramento dei mandati presidenziali non possa essere un fatto non concordato con l’amministrazione presidenziale, le reali motivazioni e possibili conseguenze sono, per ora, solo frutto di generali speculazioni. La condizione necessaria per la realizzazione del ‘piano perfetto’ rimane infatti la coesione e il sostegno dei vari gruppi di potere che garantiscono il funzionamento del regime russo. Ed è proprio nei momenti di transizione che questa coesione è più propensa a vacillare.
Come sottolineano Nikolai Petrov e Ben Noble di Chatham House, con le sue manovre costituzionali “Putin non si è in verità impegnato a candidarsi alla rielezione nel 2024” e tantomeno rimanere in sella fino al 2036. Almeno non ancora. Quello che ha fatto, invece, è garantirsi un’ulteriore opzione credibile e mantenere l’incertezza tra i principali gruppi al potere, come quello dei siloviki (membri o ex membri dei servizi segreti e dell’apparato militare), dei grandi oligarchi e amministratori dei monopolisti statali (tipo Gazprom) e dei nuovi tecnocrati come il potente sindaco di Mosca, Sergej Sobjanin. Le reali intenzioni saranno chiare solo alla fine, per ora proprio l’incertezza rimane funzionale al mantenimento dell’equilibrio tra gruppi in competizione per il futuro.
Coronavirus e altri segnali preoccupanti
Ma i grattacapi per Putin non vengono solo dal possibile conflitto aperto tra i vari gruppi sui quali si regge il suo regime. Dopo il boom economico dei primi duemila e l’effetto dell’annessione della Crimea nel 2014 il presidente stesso sembra aver esaurito gli assi nella manica per drogare artificialmente il suo rating personale. Il suo tasso di approvazione rimane in calo e solo il 27% dei russi vorrebbero vederlo ancora abitare il Cremlino dopo il 2024.
A rovinare ulteriormente i piani del Cremlino ci potrebbe pensare anche la pandemia globale di coronavirus con i suoi effetti diretti ed indiretti. Proprio la possibile diffusione del virus in Russia, paese che ad oggi ha registrato stranamente un numero alquanto basso di casi, potrebbe minare il processo di riforma costituzionale. Il rapido passaggio della nuova Costituzione era, infatti, una priorità per il Cremlino. Cosa può cambiare con lo spostamento del referendum, inizialmente previsto per il 22 aprile, a causa del coronavirus? Non sarà probabilmente la fine del mondo per il regime, ma di certo potrebbe costituire un’inaspettata opportunità per l’opposizione non sistemica. I sintomi di una crescente tensione nella società russa sono sempre più evidenti, dalle proteste ambientali ad Archangel’sk agli scontri a Ekaterinburg e gli arresti in vista delle elezioni a Mosca.
A fungere da catalizzatore del crescente malumore potrebbero essere infine anche gli effetti indiretti della pandemia, destinata a tradursi con molta probabilità in una recessione globale simile allo shock del 2007-2008. Il cuscinetto dei petroldollari questa volta potrebbe non essere sufficiente, anche considerando il recente shock causato dalle dispute con l’Arabia Saudita.
Nonostante l’apparente semplificazione del processo di (non) passaggio di potere con il recente azzeramento dei mandati presidenziali, la reale portata della riforma costituzionale rimane avvolta nell’incertezza. Il 2024 sembra ancora molto, molto lontano.