Ivan Marchetti, di mestiere artigiano, attivista sociale e redattore di Pressenza, ha lanciato il 28 marzo la sua campagna di sensibilizzazione “A reddito zero, un paese muore” per coloro che, a causa delle misure di contenimento messe in atto contro la pandemia COVID-19, hanno perso ogni fonte di reddito.
Ivan, a chi è indirizzata la tua campagna di sensibilizzazione nonviolenta?
La campagna è rivolta principalmente alle istituzioni locali e nazionali, oltre che a tutti coloro i quali vogliano aiutare e diffondere l’appello.
Quali sono i tuoi obiettivi?
Ho un solo obiettivo, quello di far arrivare la voce dei lavoratori a reddito zero e reddito parziale a chi di dovere, in modo tale che si trovino in fretta soluzioni per evitare un disastro economico che potrebbe sfociare in vere e proprie manifestazioni di dissenso violente ed incontrollate.
Quale soluzione tra quelle di cui si parla ovvero reddito di quarantena, reddito di cittadinanza, buoni alimentari ecc. ti sembra la più appropriata per risolvere il problema?
Le idee sono tutte buone, ma il tema fondamentale è la quantità di denaro che verrà riversato in queste.
Ad esempio, se il Governo tramite l’INPS accredita alle partite iva, agli autonomi, agli esercenti, una somma di 600 euro, è chiaro che non sta affrontando il problema nel modo giusto.
Intendo dire che la cifra è insufficiente per affrontare tasse, scadenze, bollette.
E’ il momento di azioni coraggiose al di là di quello che si è fatto sino ad ora, altrimenti un paese muore; e non è percorribile nemmeno l’idea di procrastinare le scadenze.
Ricordo che le partite Iva sono circa cinque milioni in Italia, un numero enorme al quale è necessario dare di che vivere se si costringono le persone all’inattività lavorativa.
Tra l’altro non accetto nemmeno il discorso della mancanza dei fondi; non sono io ad aver fatto tagli lineari, ad aver sottoscritto trattati massacranti e ad aver evaso il fisco.
Esigo risposte concrete.
Il tempo è una variabile importante. Quanto a tuo parere può resistere il tessuto sociale senza appoggi economici concreti?
Il tempo è determinante e non credo che il tessuto sociale sia pronto per cambiare dal giorno alla notte stile di vita.
Noi tutti, chi più chi meno, abbiamo abitudini e aderiamo ad un modello economico ben preciso, se questo, per un motivo o per l’altro dovesse venire meno o affrontare una crisi grave, penso che le reazioni saranno scomposte.
Non voglio essere catastrofista, ma bisognerebbe soltanto ricordarsi cosa è successo in Grecia soltanto pochi anni fa.
Questo è il momento di avere memoria storica; una cosa che potrà aiutare sarà studiare il passato per non cadere sempre nei soliti errori.
In questo momento i tempi si assottigliano, ma è necessario comprendere che, se siamo in questa condizione di crisi, direi globale, ci sono dei precedenti che l’hanno creata.
Cosa proponi alle persone che si trovano nella condizione di reddito zero per corona virus o si sentono toccati dal tema?
Alle persone propongo di muovere corpo e testa.
Non è più il momento di aspettare la soluzione dagli altri, è necessario riempire lo spazio, prima che la normalizzazione della tragedia, lo colma.
Dobbiamo “uscire”, aiutarci a far crescere questa campagna; la nostra voce deve assolutamente arrivare e se non ci dovessero rispondere, continuare ad insistere sin quando le istituzioni a tutti i livelli, non si vedranno costrette ad ascoltarci.
Una proposta potrebbe essere quella di creare un fondo locale che possa integrarsi con i fondi stanziati dal Governo.
Se poi qualcuno dovesse obiettare che i soldi mancano, basterebbe ricordare che è sempre possibile il taglio di una parte della spesa militare e l’avvento della Tobin Tax sulle speculazioni finanziarie.
La grande finanza deve capire che non può più permettersi di agire come ha fatto sino ad ora, mentre i Governi hanno la grande opportunità di affrancarsi da un sistema bancario opprimente che, tra le altre cose, già sta paventando ai lavoratori di indebitarsi per pagare le scadenze.
Questi signori non si accorgono di giocare col fuoco.