La sera di 7 anni, fa alla fine del suo spettacolo televisivo, Maurizio Crozza ha detto: “questa puntata la dedichiamo a Enzo Jannacci. Ciao Enzo!”.
Ci ho messo un paio di minuti e realizzare: il mio cervello era andato da tutt’altra parte.
Pur sapendo benissimo che gli anni li compiva in giugno, ho cercato di pensare che parlasse del compleanno poi ho fatto quei pochi metri che separano il divano dal computer, ho aperto la pagina dei quotidiani on-line e la notizia era li…In quello stesso momento il mio cellulare è letteralmente impazzito di messaggi ed è anche arrivata qualche chiamata.
Così in una manciata di secondi quello che sembrava solo un incubo è diventato realtà: Enzo Jannacci era morto.
Sono nata con lui perché i miei genitori erano appassionati in un modo incredibile di lui, di Beppe Viola, della comicità surreale di Cochi e Renato, di Giorgio Gaber.
Su Enzo Jannacci sono state scritte milioni di pagine. C’è un libro bellissimo che parla di lui “peccato l’argomento” di Sandro Patè che nel 2005 si è laureato con una tesi a lui dedicata.
Jannacci gli disse: “hai fatto un ottimo lavoro. Peccato l’argomento”.
Questo aiuta a capire che tipo fosse. Nell’introduzione si cerca proprio di definire Enzo “Quelli che non lo hanno mai conosciuto direbbero: è un cantautore. Eppure non sono solo le canzonette, come le chiamava lui“.
Quelli che l’hanno visto almeno una volta su un palco, o almeno sono a conoscenza della sua carriera di intrattenitore, lo definirebbero cabarettista. Le persone che lo hanno avuto come medico di base aggiungerebbero: un siur dutur”.
Tornando a me: l’ho sempre amato come se fosse un amore che si eredita per linea diretta dai genitori, mi ha sempre colpito la sua capacità di sembrare un giullare quando invece le canzoni erano profondissime, c’è sempre una sorta di sottotesto, di qualcosa tra le righe che è una denuncia, un invito a passare all’azione, un ricordo di qualcuno di grande.
Nel giugno 1990 con un’amica e il mio fidanzato andammo a Venezia per vedere Aspettando Godot recitato proprio da Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Felice Andreasi e un giovanissimo Paolo Rossi.
Una serata indimenticabile con delle commoventi amnesie di Andreasi e dei piccoli bisticci Jannacci – Gaber.
Alla fine, la solita coda ai camerini per un autografo o un saluto e si scopre che quella sera era proprio compleanno di Enzo, è finita a brindare, pubblico e attori tutti assieme, una serata straordinaria.
Dovranno passare altri 5 anni perché lo incontri di nuovo dal vivo.
Nel frattempo sono un giovane medico specializzando in Igiene e mi occupo, per passione e per lavoro, della salute degli stranieri. Il mio primario mi consiglia di andare a vedere come funziona Milano l’ambulatorio del Naga in via Bligny.
Arrivo e scopro che l’ambulatorio è un alloggio in un palazzo. Suono, ovviamente mi aprono, mi dicono di salire. Prendo le scale e in cima vedo Enzo Jannacci e penso di avere le allucinazioni, che la stanchezza mi stai giocando un brutto scherzo complice la penombra delle scale.
Invece era proprio lui, dottore in solidarietà.
Mi ha fatto vedere il centro, abbiamo stabilito le cose che avrei potuto fare per avviare un’attività del genere a Torino.
Era serissimo nello spiegarmi come era complicato riconoscere, per esempio, delle lesioni della pelle su persone con una cute molto scura oppure lui per primo mi insegnò che la capacità polmonare può essere molto diversa, soprattutto con alcuni giovani uomini africani.
Scherzava e mi diceva attenzione che quando dici butta fuori sono in grado di soffiare che ti spazzano via tutti i fogli della scrivania. Parlava strano, a essere severi si potrebbe dire che certe volte farfugliava, perché in realtà parlava più che altro nella sua testa e poi articolava anche con la bocca e il fiato delle cose preziose e sensate, ma in un linguaggio tutto suo.
Diego Abatantuono nel suo divertentissimo libro Ladri di cotolette lo chiama jannaccese e immagina che in paradiso Enzo incontri Massimo Troisi e si dicono cose meravigliose senza però che nessuno capisca niente. Poi faceva delle pause. E andava chissà dove e quando tornava cambiava argomento. Un mare di discorsi interrotti.
Con lui ero consapevole del mio ruolo, seria e attenta. Poi andavo in stazione. prendevo il treno e per tutto il viaggio ridevo tra me e me. Immagino ci sia ancora gente che si chiede che fine abbia fatto quella matta che faceva Milano Torino ridendo da sola.
Poi la mia attività è andata avanti a Torino sono partiti i centri ISI (centri di informazione salute immigrati grazie all’intuizione geniale del dottor Piergiorgio Maggiorotti e l’approccio integrato e fantasioso che ci abbiamo messo tutti noi, anche sulle orme Enzo Jannacci).
Quando è morto siamo rimasti tutti spiazzati e hai un bel dire che le persone come lui non muoiono perché resta la loro opera, perché persistono nel ricordo.
Era morto davvero e Milano ha fatto una scelta straordinaria: non gli ha intitolato un giardino, un teatrino, una biblioteca, ma una casa di accoglienza in viale Ortles
e l’ha inaugurata con una festa il 6 Aprile 2014 così straordinaria che non mi vergogno di dire che è stato uno dei giorni più belli della mia vita che dura ormai oltre mezzo secolo.
Ognuno degli artisti ospiti, Diego Abatantuono, Ale&Franz, Andrea e Michele (DJ), Paolo Belli, Enrico Bertolino, i Boiler, Bove e Limardi, Vinicio Capossela, Roberta Carrieri, Cochi e Renato, Gianluca De Angelis, Eugenio Finardi, Katia Follesa, Ricky Gianco, Mario Lavezzi, Oliviero Malaspina, Flavio Oreglio, Folco Orselli, Mauro Pagani, Riccardo Piferi, Angelo Pisani, Paolo Rossi, Gabriele Salvatores, Renato Sarti, Bebo Storti, i Teka P, Fabio Treves, Roberto Vecchioni, Marina e Anna Viola, Davide Zilli, ha raccontato un piccolo pezzo Enzo Jannacci con un amore infinito.
Quando Paolo Rossi e ha illustrato la ricetta del beverone è venuto fuori proprio quel medico buono, folle, geniale che era Enzo e quel beverone è entrato nel lessico di tanti di noi, persino in questi giorni in cui si ha a che fare con un virus sconosciuto, si cerca una cura, almeno un paio di volte con qualcuno abbiamo detto che ci vorrebbe il beverone di Enzo Jannacci.
Ecco la ricetta: “Cinque volte il vostro peso di acido salicilico, un po’ di gin, acqua tonica e una pastiglia presa a caso dalla borsa del dottore” (da non fare a casa n.d.r.)
Se avete voglia di approfondire vi suggerisco di leggere questa meravigliosa lettera che gli ha scritto Marina Viola , una delle quattro figlie di Beppe Viola.
Ciao Enzo mio amato maestro e compagno di centinaia di migliaia di chilometri fatti in auto con te come colonna sonora.
Pensare che
la vita se ne va
l’amore se ne va
la fame Se ne va
mangiando un toast
La fame se ne va
La vita resterà
L’amore tornerà.
(Pensare che, testo e musica di Enzo Jannacci, da la mia gente 1970)