“Dopo 25mila contagi e quasi 4000 decessi ufficiali nella sola Lombardia, scusate se non mi perdo nei: ‘“mi scusi Presidente, se crede, se pensa, se non le diamo troppo disturbo…”’ Lo dico come lo penso, qui, ovunque e soprattutto dall’inizio di marzo. Chiudere tutti i posti di lavoro non essenziali e concentrare risorse e mezzi di protezione per quei lavori davvero essenziali, non prendere queste misure oggi in tutto il paese, da nord a sud è da irresponsabili. Non averlo fatto già da settimane soprattutto nelle aree più colpite è da criminali”

Inizia così, con questo forte appello rivolto al presidente Conte, l’intervista ad Eliana Como, sindacalista Fiom CGIL, che in questo momento si trova nella sua casa a Bergamo. Eliana è portavoce nazionale dell’area di minoranza sindacale della sinistra all’interno della CGIL, chiamata: “Riconquistiamo tutto”.
“La nostra rappresentanza – racconta Eliana presentandosi– ha avuto e continua ad avere fin dall’inizio una posizione più radicale nei confronti della maggioranza del nostro sindacato della CGIL e del suo segretario generale, in particolare, chiediamo e chiedo, e in questo non avrò pace finché non avrò ottenuto che anche la CGIL richieda con forza al governo la chiusura per decreto dei posti di lavoro non essenziali.
Ad oggi questa posizione sulle condizioni di sicurezza da attuare per i lavoratori, oltre che dalla nostra minoranza, purtroppo è stata espressa solo dalla Cgil-Cisl-Uil regionale della Lombardia. – Ci spiega Eliana –
Crediamo che sia del tutto insufficiente la posizione dichiarata finora come “lavorare in sicurezza”, questo perché le condizioni di sicurezza sono difficilmente verificabili, difficilmente praticabili nella stragrande maggioranza dei posti di lavoro; quindi tutto ciò che non è necessario va chiuso immediatamente, e le condizioni di sicurezza vanno invece concentrate per garantire le risorse e gli aspetti di sicurezza ai lavoratori impiegati nel lavoro strettamente essenziale che deve necessariamente continuare ad andare avanti.
Tutto questo – aggiunge Eliana – va fatto nel rispetto di chi lavora e ha necessità di sapere che va a lavorare in sicurezza, e non rischia di ammalarsi, e a sua volta far ammalare i propri familiari e in generale diventare veicolo di contagio per tutta la società civile.

 

-D: Stiamo ricevendo notizie drammatiche della situazione che si sta vivendo nel bergamasco, potresti aggiornarci su quello che le persone stanno vivendo in queste ore.

-R: In Lombardia ed in particolare nell’epicentro di questa emergenza, a Bergamo, da dove parlo e vivo, la situazione è disastrosa. Purtroppo i dati che vengono resi noti ogni giorno dalla stampa sono soltanto una parte di quello che sta avvenendo. Lo stesso Sindaco di Bergamo, qualche giorno fa ha confermato che il numero di contagi e anche il numero di decessi, purtroppo è molto maggiore perché il tampone viene fatto soltanto all’arrivo in ospedale. Quindi con pazienti in condizioni già molto molto serie e compromesse per capirci meglio. Da settimane, il tampone non viene fatto nemmeno al personale sanitario, e molti sono quelli che purtroppo muoiono in casa o nelle case di riposo che in questo momento stanno diventando vere e proprie bombe di esplosione del contagio.
Credo che ormai in tutto il Paese sia diventato evidente che cosa sta succedendo, soprattutto con le immagini dei camion militari che portavano via e che anche ieri e oggi continuano a portare via, le bare dal cimitero di Bergamo, il quale pur lavorando 24 ore al giorno non è più in condizione di seppellire e cremare tutti i morti che in queste ore si stanno susseguendo. Il Paese ha avuto la percezione evidente di quello che sta accadendo da quell’immagine della fila dei camion militari, per noi che stiamo vivendo qui, tutto ciò era già evidente da settimane. In questa città così come in quella di Brescia e in parte anche in altre città della Lombardia, stiamo vivendo qualcosa che assomiglia più ad una guerra, il sentore di una cappa opprimente ed inquietante sopra la testa, una sensazione d’oppressione, qualcosa che non è più solo un sentimento individuale che ognuno di noi vive nel suo proprio, ma che è diventato un vero e proprio sentimento collettivo, personalmente non mi è mai capitato di vivere una situazione di questo tipo.
Credo sì che sia in qualche modo una situazione simile a quella che si possa vivere quando si è in guerra, con il rischio anche tremendo di abituarsi alla crisi, di abituarsi al numero di morti, perché ogni giorno veniamo a conoscenza di notizie di familiari o amici che hanno subito una perdita, oppure che hanno persone gravemente ammalate.

 

-D: In questa emergenza si parla anche di errori di sottovalutazione che sono stati commessi dalle istituzioni regionali, così come da parte del governo, del flusso delle persone e in particolare nella gestione del lavoro e dei lavoratori. Potresti spiegarci meglio.

-R: Più che di errori preferisco parlare di responsabilità. La responsabilità originaria credo sia stata nel non dichiarare subito zona rossa la Val Seriana, che è la zona a nord di Bergamo, una delle zone più colpite della bergamasca, che corrisponde anche all’area manifatturiera e più industrializzata della regione Lombardia, anzi una delle regioni più industrializzate e manifatturiere d’Europa.
Subito dopo la chiusura della zona rossa del Lodigiano nei giorni immediatamente seguenti, hanno iniziato ad aumentare vertiginosamente i contagi nella zona della Val Seriana, si è parlato per giorni della possibilità che la Val Seriana fosse dichiarata zona rossa, senza però che lo diventasse, ciò fino ad arrivare al primo decreto dell’8 marzo. Parlo del decreto che dichiarava zona arancione tutta l’Italia e in qualche modo ha limitato la libertà di movimento delle persone, ma non ha previsto di chiudere per decreto i posti di lavoro della regione Lombardia e i 14 territori che solo il giorno precedente erano stati dichiarati zona rossa e che il giorno dopo, estendendosi a tutta Italia è stata trasformata in zona arancione o protetta.
Credo che il grosso errore sia stato non aver bloccato fin da subito prima la Val Seriana, e poi verosimilmente l’intera provincia di Bergamo, questo ha determinato l’aumento esponenziale del contagio e anche l’esportazione del contagio nel resto della Lombardia e di tutta l’Italia.
Perché nel mentre ci dicevano in tutto il paese da nord a sud che bisognava restare a casa, in realtà qui, dove la situazione era di maggiore emergenza, si continuava ad uscire, ma non per cattiva volontà individuale, ma perché la maggior parte dei posti di lavoro erano aperti e continuano tutt’ora ad essere aperti.

La scelta criminale in queste province è stata quella di assecondare le richieste degli imprenditori, in particolare dell’Assolombarda, di dire nome suo: “non si può mica chiudere tutto quanto, l’economia deve andare avanti, quindi bene limitare gli spostamenti delle persone, ma non per andare al lavoro.”
Questo punto non solo ha determinato il fatto che centinaia di migliaia di lavoratori e di lavoratrici in tutta la Lombardia sono stati mandati letteralmente al massacro rischiando sulla loro pelle, ma ha anche determinato un’inefficacia di fondo del provvedimento, perché a loro volta, i lavoratori e le lavoratrici hanno continuato ad essere fattore determinante di contagio. Tuttora la gran parte delle fabbriche di queste province stanno lavorando, alcune, le più grandi, hanno chiuso, ma ciò solo grazie alle mobilitazioni dei lavoratori e anche grazie ad un elevato tasso di assenteismo, per via della paura, c’è anche da dire questo.
Quelle fabbriche che hanno chiuso, per lo più hanno operato la chiusura tra venerdì della scorsa settimana e lunedì di questa, quindi comunque in estremo ritardo e c’è anche il rischio che se in questi giorni non ci sarà un nuovo decreto, causa il protocollo firmato con Confindustria, queste fabbriche riapriranno.
Certo non con un decreto che impedisca di fare jogging nei prati, perché questa è una sciocchezza che serve solo a distogliere l’attenzione, un DL che dica invece che i posti di lavoro non essenziali vanno immediatamente chiusi, e per me a questo punto in tutto il paese, ed urgentemente, perché siamo già in assoluto ritardo.
Nelle zone dove la situazione è drammatica se non ci sarà questo decreto, come io temo, da lunedì molte grandi fabbriche pure qui nella bergamasca, ricominceranno a lavorare.

Sempre secondo il protocollo della Confindustria, hanno fatto le sanificazioni che spesso però consistono semplicemente nella pulizia degli ambienti, e non certo nella sanificazione che servirebbe invece contro il Covid-19, sanificazione che per altro sappiamo bene costa, ma assolutamente necessaria.
Alcune grandi fabbriche, sebbene in ritardo, hanno chiuso, molte altre però stanno ancora lavorando, qualcuna, come ad esempio ABB, sta persino chiedendo di lavorare il sabato, quindi per capirci di lavorare in straordinario; e non parliamo poi di tutto quel tessuto di piccole e piccolissime imprese tra l’altro piene di lavoratori migranti che subiscono maggiore ricatto persino per mettersi in malattia.

Ci sono posti di lavoro in cui sta succedendo di tutto, in cui persino i mezzi di protezione individuale come le mascherine sono del tutto assenti, e anche quando sono in uso vengono utilizzate anche per 15 giorni, ho con me alcune foto di mascherine che mi vengono inviate dai lavoratori per farmene vedere le condizioni, insomma, sono ormai stracci per pulire per terra.

 

DPI di protezione di un lavoratore in questi giorni a Bergamo

 

-D: A tuo parere, a questo punto che cosa sarebbe necessario fare, quali rimedi e misure potrebbero essere utili ed efficaci per salvaguardare maggiormente la vita delle persone.

-R: Possiamo più parlare ormai di cosa si doveva fare… Credo che fin dall’inizio bisognava chiudere tutti i posti di lavoro non essenziali di questo Paese, di certo si può e si poteva stare 15 o 20 giorni senza produrre bulloni, automobili o lavatrici, perché la salute di chi lavora, la salute dell’intera comunità devono necessariamente venire prima, e si doveva si dovrebbe concentrare tutte le risorse disponibili non soltanto nel potenziamento della sanità pubblica, ma anche negli ammortizzatori sociali per quelle aziende non essenziali che con il fermo rischiano la chiusura, destinare così le risorse, i mezzi di protezione individuale, e l’attenzione alle procedure, alle aziende essenziali, insomma garantire la sicurezza di chi è in qualche modo è necessario per svolgere i servizi essenziali del Paese.
Prima fra tutte ovviamente la sanità e tutto il servizio sanitario che sta compiendo uno sforzo Incredibile in questi giorni. Qui all’ospedale di Bergamo mancano le mascherine e i tamponi persino per il personale sanitario, ma anche per chi lavora nel settore della produzione e della distribuzione alimentare, e spesso persino nei supermercati si lavora ancora in condizioni che non garantiscono la sicurezza.
Ad oggi in Lombardia, ancora i supermercati sono aperti pure di Domenica, quindi senza nemmeno avere il tempo per le necessarie sanificazioni, per non parlare anche dei lavoratori e delle lavoratrici delle ditte perlopiù in appalto nell’area industriale, le quali ad esempio, senza la chiusura dei posti di lavoro non essenziali sono costrette ad operare in condizioni di sicurezza incredibili per poter sanificare i luoghi di lavoro.
Poi ci sono i trasporti, anche in questo ramo credo che si dovesse e si debba fare una distinzione tra quello che è il trasporto essenziale, separandolo dalle merci non essenziali. Questo non differenziare nella logistica è stato e continua ad essere un errore frutto d’una scelta politica sbagliata, inefficace ed ingiusta dal punto di vista sociale, non aver fermato l’e-commerce di prodotti che non sono essenziali ha scaricato sui lavoratori del trasporto tutto il rischio e il carico delle condizioni di sicurezza necessarie. Basti pensare che attualmente l’e-commerce sta lavorando in queste settimane come nelle settimane precedenti al Natale.
Questo dovrebbe far riflettere tutti quanti, bisognava fare questo.
Lo dico con estrema tristezza e amarezza, a Bergamo ormai sarà sempre troppo tardi, probabilmente mi resterà addosso per sempre il rimpianto di aver ripetuto fin dall’inizio di marzo che bisognava già da allora chiudere tutto, senza per questo io come molti altri essere mai stati ascoltati.
È per questo che dico che per alcune zone come la nostra ad esempio, sarà sempre troppo tardi, ma in qualche modo ora, anche se tardi, tutto questo di cui sopra, va attuato il prima possibile per fermare e prevenire questa situazione in altre zone dove non si sia raggiunto questo livello drammatico di emergenza.
Un nuovo decreto che chiuda immediatamente i posti di lavoro non essenziali è urgentissimo, anche perché qui tra Bergamo e Brescia, deve essere chiaro che se non ci sarà questa chiusura per decreto, temo che molte delle fabbriche che questa settimana avevano chiuso, da lunedì prossimo ricominceranno a lavorare.
Quindi che il governo la finisca per favore di assecondare l’Associazione degli industriali italiani, Confindustria, ed in particolare la Assolombarda, perché è assurdo vietare di fare jogging in un parco e poi non chiudere i posti di lavoro non essenziali dove migliaia di lavoratori stanno ammassati, così come è quasi del tutto inutile e fuorviante concentrarsi stupidamente su comportamenti individuali piuttosto che sulle responsabilità collettive. Anzitutto bisogna chiudere i posti di lavoro non essenziali, poi si parla di tutto il resto.

 

-D: Qual è in particolare la condizione che stanno vivendo le persone che ancora lavorano, e a tuo parere perché ancora ora non vengono adeguatamente tutelate?

-R: Il sentimento diffuso fra i lavoratori e le lavoratrici in questo momento e di grandissima paura, paura di andare a lavorare, paura di essere a propria volta veicolo di contagio quando si rientra in casa, c’è un sentimento collettivo di paura e di frustrazione anche a fronte del fatto che con questa campagna di “Io resto a casa” in qualche modo si fa sentire persino responsabile, chi è invece costretto a uscire di casa per lavoro.
Nella campagna “io resto a casa” si individua il singolo come responsabile, ma non si chiede piuttosto alle imprese di chiudere i posti di lavoro.

Quindi è questo il sentimento diffuso, la paura è del tutto motivata, perché nella maggior parte dei posti di lavoro le condizioni di sicurezza e le norme che ci vengono spiegate da giorni, per esempio la distanza fra le persone, semplicemente non vengono messe in pratica nelle fabbriche. Le fabbriche sono luoghi di affollamento, lo sono non soltanto nei reparti produttivi, non solo a mensa, lo sono per esempio anche negli spogliatoio, nei bagni, all’uscita, o come si sta vedendo a Milano, nella Metro lungo il tragitto da casa al lavoro. Se devo andare al lavoro e devo prendere la metro come sta succedendo a Milano, i mezzi di trasporto sono strapieni, ciò anche perché il Comune di Milano stesso ha tagliato le corse, quindi in qualche modo determinando persino un sovraffollamento e così un aumento delle possibilità di contagio.
E’ quindi un sentimento di paura, di frustrazione e anche di grande rabbia quello che attraversa i lavoratori in questo momento, perché si comprende l’ingiustizia sociale di questi provvedimenti oltre che la loro inefficacia.
Ieri davanti alla sede bergamasca di Confindustria, è apparsa una scritta, qualcuno ha appeso, giustamente io credo, uno striscione con sopra scritto rivolto alla Confindustria di Bergamo: “Padroni assassini”.
Il sentimento che giustamente attraversa in questi giorni, è anche un sentimento di rabbia di classe, perché questa crisi, questa emergenza, si sta scaricando sulla pelle di chi lavora a volte in condizioni davvero disperate. Il rischio è anche che pure la successiva crisi, che si determinerà per i costi economici e sociali di quello che è accaduto, si ripercuota di nuovo su di noi, questo perché immagino che a pagare l’aumento dello spread, le perdite economiche e via dicendo, non sarà l’Europa o la classe imprenditoriale e nemmeno la finanza, immagino invece come sempre è stato in questi decenni, che anche questo lo pagheremo noi lavoratori in termini di diritti, salario, pensione. Nonostante sappia che ci penseremo dopo, perché adesso il tema prioritario è la salute e la sicurezza di chi lavora e dell’intera popolazione, ma so già che al termine di tutto, dovremo fare i conti anche con questo aspetto.

 

Padroni Assassini: lo striscione comparso davanti la sede di Assolombarda

 

-D: Quale condizione sono costretti ad affrontare gli ospedali nel bergamasco, e in particolar modo in che situazione si trovano ad operare i lavoratori della sanità in questi giorni?

-R: Il personale sanitario tutto, dai ricercatori, ai medici, agli infermieri, ai lavoratori tecnici, ai lavoratori delle ditte di pulizia in appalto negli ospedali, ma fino anche arrivare ai medici di famiglia, per tutti loro francamente la situazione è drammatica da settimane. In particolare a Bergamo, Brescia, Cremona, Piacenza, così come in generale a Milano e in tutte le provincie della Lombardia, il personale sanitario sta da giorni lavorando in trincea, con turni massacranti, purtroppo in condizioni non soltanto di fatica fisica, ma anche di stress emotivo molto pesante, perché chi è ricoverato negli ospedali, purtroppo anche quelli in fin di vita, non hanno e non possono avere il conforto dei propri cari, quindi anche tutto questo peso emotivo si sta scaricando sul personale sanitario.
Tra l’altro in condizioni anche di rischio per la propria sicurezza, a Bergamo sono decine, circa una settantina, persino i medici di base che hanno riscontrato su loro stessi avere infezione da Covid-19, alcuni sono anche morti purtroppo, pochi giorni fa anche un operatore del 118, per altro di 47 anni, quindi tutt’altro che anziano.
I sanitari non solo stanno facendo uno sforzo immane ma stanno anche rischiando sulla propria pelle e quindi anche su quella dei propri familiari. C’è da dire tra l’altro, che l’ultimo decreto da poco approvato, prevede per il personale sanitario una sospensione dalla quarantena, cioè il personale sanitario che normalmente dovesse essere messo in quarantena, invece continua a lavorare, questo perché non c’è personale sanitario a sufficienza.
Anche su questo c’è una responsabilità politica precisa dei decenni scorsi nell’aver continuamente tagliato sulla sanità pubblica. Anche il modello Lombardia, che fino a poco fa ci dicevano essere il modello più iperefficiente della sanità italiana, in realtà è un modello che si è basato su dosi massicce ed ampie di privatizzazione, di convenzioni con i privati; questa è la ragione per cui oggi in Lombardia ci sono pochi posti nelle Terapie Intensive e sub-intensive, perché il privato ha investito su quei servizi più remunerativi che non sono i reparti di terapia intensiva, quindi il problema è che esattamente gli ospedali stanno esplodendo, collassando nonostante lo sforzo incredibile di quegli stessi lavoratori e lavoratrici che fino poco fa venivano messi nel calderone dei furbetti del cartellino per capirci, e che hanno tra l’altro un contratto nazionale praticamente fermo da oltre 10 anni e nonostante il loro enorme sforzo, non sono in condizione di far fronte alla situazione perché mancano risorse che per decenni sono state tagliate.
Un’altra delle cose, probabilmente la principale fra le cose che bisognerebbe fare in questo preciso momento, è convogliare e concentrare tutte le risorse disponibili facendo molto di più di quanto si stia facendo adesso con la sanità privata, chiedendo e requisendo se necessario le strutture sanitarie private e le loro risorse per il potenziamento delle strutture sanitarie pubbliche, questo dovrebbe avvenire ovunque, e urgentemente, in Lombardia, ma anche nelle regioni del resto del Paese, perché ci sono territori in cui speriamo che non si arrivi mai ai livelli di emergenza e di contagio che stiamo vivendo qui in Lombardia, perché altrimenti la situazione sarebbe ancora peggiore in quanto ci sono strutture sanitarie in alcune aree del Paese che non riescono a rispondere nemmeno ai normali bisogni sanitari della popolazione del territorio. Perciò figuriamoci in situazioni di emergenza anche solo lontanamente paragonabili a quella che si sta verificando ora tra Bergamo e Brescia.

 

Striscione davanti a un ospedale di Bergamo

 

-D: Quali potrebbero essere delle concrete forme di aiuto e di sostegno per tutti voi, per le persone che stanno vivendo queste bruttissime ore, e in special modo, come si potrebbe intervenire per aiutare e dare più sostegno possibile ai sanitari in prima linea?

-R: L’aiuto che di sicuro ci servirebbe in questo momento è la comprensione di quello che stiamo vivendo in queste zone del paese, è importante perché ci farebbe sentire la vicinanza e la solidarietà di tutti.
Credo però che questo punto sia importante ma non sufficiente, il migliore aiuto che si può avere adesso sta nella capacità di spinta e di pressione verso il governo per sostenere la necessità di prendere misure più stringenti, quelle di cui abbiamo parlato sopra, perché ora siamo già in una situazione drammatica, ma andando avanti così rischiamo la catastrofe.
Da un altro punto di vista, io sono sempre stata molto scettica sugli aiuti in beneficenza, in special modo da parte dei grandi capitali, o da coloro che possiedono grandi capitali, oppure dei personaggi famosi, eccetera. Non abbiamo bisogno di carità, abbiamo bisogno invece che il governo stanzi tutte le risorse possibili, anche avendo il coraggio di mettere in campo misure patrimoniali per far pagare non in maniera caritatevole, ma all’interno di un quadro fiscale di tassazione coerente, prendendo risorse economiche laddove in questo momento stanno i soldi e i grandi capitali.
Infine uno degli aiuti che è più importante avere in questo momento, è che la nostra voce possa essere ascoltata, perché altrimenti il rischio è che attraverso i media e nei mainstream si ascolti sempre e soltanto la voce di coloro che hanno il potere, e in particolare degli industriali che è dall’inizio di questa crisi che continuano a piangere miseria sostenendo che loro attività produttive stanno rallentando.
Importante che si diffonda il più possibile la nostra voce, questa nostra testimonianza, anche con questa intervista di cui vi ringrazio, la voce di chi lavora, di chi è costretto a continuare ad andare a lavorare a rischio della propria salute e poi di diventare a sua volta fattore di contagio.
È anche credo importante che si capisca a tutti i livelli che i comportamenti individuali sono importanti, cioè che non si deve uscire da casa per cose futili, ma capire al tempo stesso che l’attenzione esasperata che si sta dando ai comportamenti individuali, anche da parte del governo oltre che della stampa e dei media, è semplicemente un diversivo, un mezzo di distrazione da quelle che invece sono le responsabilità di chi determina i comportamenti collettivi; sarebbe a dire ad esempio, che è inutile indignarsi con i singoli perché la metropolitana di Milano è strapiena, bisogna indignarsi invece con tutte quelle aziende che non hanno chiuso, e che quindi mettono il singolo individuo nella condizione di affollare quei mezzi di trasporto.