La vertenza-Poste tra l’obbligo legale di dover lavorare per forza e l’esposizione illegale al rischio di contagio per carenza o mancanza delle condizioni sanitarie normativamente sancite

In questi angoscianti giorni non è stata messa abbastanza in evidenza come, oggi più di ieri, la logica del profitto e la razionalità economica del paradigma imperante siano umanamente  ed ecologicamente insostenibili  per la società e il suo ecosistema. L’aspetto più eclatante, e che nessuno ha potuto tacere, sono gli effetti provocati dopo tutti questi anni di deregulation dei servizi pubblici  – voluta da governi sia di “destra” che di “sinistra” – a cominciare dalla Sanità, comparto da sempre sorgente e veicolo di consenso politico, consegnata nelle mani degli apparati politico-amministrativi regionali, seguendo modelli competitivi  –  secondo i dettami dell’ aziendalizzazione produttiva con metodo privatistico – , frutto di una ideologia della liberalizzazione perseguita in nome della supposta superiorità della “conduzione imprenditoriale” in chiave di efficienza ed economicità del “mercato della salute”. È bene ribadirlo in ogni occasione, come giustamente ha fatto ieri Rossella Miccio, presidente di Emergency, nel corso di un’intervista rilasciata a il Manifesto: « La sanità deve essere pubblica, gratuita, universale e di qualità. Se viene meno uno di questi elementi diventa un privilegio per chi se lo può permettere».

Non è un caso che, dopo quello della Sanità, a salire alla triste ribalta della cronaca sia quello delle poste, altro grande comparto sottoposto a massicce dosi di liberalizzazioni, affidato negli anni a manager di comprovata fidelizzazione  verso l’intero ceto politico istituzionale.  Dopo la morte di due dipendenti di PosteItaliane che prestavano servizio nella bergamasca, in strutture produttive fra le più esposte, come i Centri di recapito e gli Uffici postali, finalmente viene raccolto il grido di allarme lanciato da un cartello sindacale di base della categoria (Cobas Poste, Cub Poste, Si Cobas Poste e Slg-Cub Poste),  a quasi un mese dall’aspro contenzioso con i vertici aziendali, i quali, però, sembrano non avere atteso più di tanto la necessità di varare misure di sicurezza anticontaggio. A tal proposito, scrive lo Slg-CUB Poste, in una nota diramata  su facebook.com: «I dirigenti di Poste Italiane sono stati i primi a proteggersi, dal 24 febbraio, chiudendo ogni sede direzionale all’ingresso di personale esterno».

Un atto vergognoso questo, come dicono i sindacalisti, dato che ancora nulla – a  distanza di 25 giorni –  è stato deciso in merito alla possibile chiusura o riduzione dei servizi, mettendo quanto meno in sicurezza il personale addetto, assicurando loro condizioni di lavoro protettive: da un post del 14 marzo si rileva che una richiesta sindacale della sigla Slg-Cub Poste –  con la quale si chiedeva che i lavoratori fossero dotati di mascherine, guanti e disinfettate liquido per mani –  è stata avanzata già il 23 febbraio scorso, il giorno prima della misura dirigenziale autoprotettiva. Sostanzialmente in presenza dell’aggravarsi dello stato di emergenza nulla è ancora cambiato in Poste Italiane e, con palese ritardo, dopo la morte dei due lavoratori, la segreteria Slc-Cgil di Bergamo ha invocato oggi la chiusura degli uffici postali.

Insomma non è possibile continuare a gestire i servizi pubblici guardando più alle logiche economiche, alle performance dei risulti, all’andamento del mercato, senza tenere conto degli interessi e della vita dei lavoratori. Per SLG-CUB Poste non esistono priorità economiche e «strategie aziendali, che possano giustificare la malattia e la morte dei lavoratori di Poste Italiane», e invitando a non dimenticare i drammi patiti dalla popolazione e dai lavoratori, chiamano in causa ceto istituzionale e parti sociali che devono assumersi le responsabilità per aver sostenuto il regime privatistico, coprendo «regolarmente gli interessi aziendali»: non c’è utile di sorta che possa giustificare lo smantellamento del servizio pubblico, anche se si realizzano performance miliardarie, del tipo 1,34 mld di utile conseguito da Poste Italiane nel 2019.

Nelle more di una revisione totale del modello produttivo è intanto urgente e necessario risolvere la vertenza dei lavoratori delle Poste «costretti tra l’obbligo legale di dover lavorare per forza e l’esposizione gravissima, illegale, ai rischi di contagio, per carenza o mancanza delle condizioni sanitarie stabilite dai Dpcm e protocolli». Effettivamente non è più tollerabile questo dualismo di comando. Ecco perché come scrive nella nota il sindacato di categoria, sostenuto anche dal cartello delle organizzazioni di base chiamate ad assistere i lavoratori: « astenersi dal lavoro, in mancanza delle condizioni sanitarie stabilite dalla legge è un dovere, che come tale va eseguito, secondo le indicazioni sindacali e, se necessario, anche ricorrendo alle denunce e alle richieste di intervento delle autorità».