Un grazie alla giornalista Selvaggia Lucarelli per la sua iniziativa di chiedere ai parenti dei detenuti di spiegare “chi avete in carcere, in quale carcere, cosa vi spaventa, perché siete preoccupati e cosa chiedete”.
“Le autorità iraniane hanno stabilito il trasferimento di 54 mila detenuti agli arresti domiciliari per evitare i rischi di diffusione del contagio da coronavirus (Covid-19) nelle carceri” ( ANSA)
E l’Italia che fa, a parte blindare le carceri come delle scatole di tonno? In alcune carceri sono stati vietati o limitati i colloqui con familiari e volontari. In altri, bloccati permessi premio e lavoro all’esterno. Non so se queste misure possano servire a qualcosa, a parte fare più male ai detenuti e alle loro famiglie che al coronavirus, perché il contagio può entrare e uscire dal carcere con le guardie e tutte le persone che entrano per lavoro. Non sarebbe più saggio, per evitare la diffusione del coronavirus nelle prigioni, fare uscire più detenuti possibile? O almeno quelli che devono scontare una pena fino a 5 anni? Sono consapevole che eventuali provvedimenti del genere farebbero perdere consensi elettorali e certi partiti con gli slogan “Fateli marcire in galera”, “Ci vorrebbe la pena di morte”, “Se la sono cercata”, si leccherebbero i baffi se si avesse il coraggio di prendere decisioni forti come quelle prese dalle autorità iraniane. Poi, sinceramente, se si diffondesse il contagio in carcere e morisse qualche centinaio, o migliaio, di avanzi di galera, a chi importerebbe? Qualche politico direbbe di aver sconfitto il sovraffollamento prima ancora di sconfiggere il coronavirus.
Molte carceri, a causa del sovraffollamento, stanno diventando dei buchi neri, i prigionieri vengono risucchiati, macinati, tritati dalla negazione dei più elementari diritti umani. E molti di loro vivono in condizioni di promiscuità, e ora anche con la paura di essere contagiati dal coronavirus. Perché non pensare seriamente ad un provvedimento di amnistia e indulto prima che accada il peggio?
In questi giorni sto ricevendo dai miei ex compagni delle lettere in cui mi parlano del coronavirus e del sovraffollamento, vi riporto alcuni brani:
“Ciao Carmelo, il carcere di Padova ha sospeso i colloqui con le nostre famiglie, possiamo solo utilizzare Skype per metterci in contatto con loro, ma ci sono solo due postazioni per 800 detenuti. Comunque, ci sono strani trasferimenti di alcuni detenuti e gira voce fra le sezioni che il virus è già scoppiato e tengono la cosa segreta per evitare rivolte.”
“Caro Carmelo, come te la passi? Qui sempre peggio. Sono arrivati altri detenuti dal continente e non sanno dove metterli… Per fortuna la mia cella è così piccola che non ci sto neppure io e posso continuare a stare da solo. Nel cortile del passeggio non si parla altro che di questo coronavirus.”
“Caro Amico, non accendo più neppure la televisione, non fanno altro che parlare del coronavirus. E qui hanno messo la seconda branda a quasi tutte le celle e da un paio di giorni hanno messo le brande nelle salette della socialità, per i nuovi giunti, perché nessuno li vuole in cella per paura che siano contagiati. A me personalmente non fa paura questo virus, perché prima muoio e prima esco dal carcere, ma vedrai che sfortunato come sono non lo prenderò.”
“Se qui prima era un cimitero, adesso lo è ancora di più: persino i volontari, insieme al personale civile, sono spariti. Dicono che lo fanno per proteggerci. Quello stronzo dell’avvocato ha detto alla mia famiglia che non mi è venuto a trovare per paura di essere contagiato, ma a noi nessuno pensa?