In “1984” Orwell immaginava lo stadio finale di un regime totalitario. La sua ideologia aveva imposto una Neolingua, un nuovo linguaggio che aveva volontariamente svuotato di senso le parole, tanto che lo slogan del regime era: “La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza”. Tutto insomma era il contrario di tutto: “la menzogna diventava verità”.

La Francia non si può certo definire una dittatura ma è interessante osservare due elementi che pongono seri dubbi sulla sua democraticità: uno contingente, ovvero che da qualche anno si assiste ad un peggioramento dell’esercizio dei diritti fondamentali, d’asilo, di manifestazione come dimostra l’ammonimento dell’ONU riguardo alle violenze della polizia.

L’altro dato è strutturale: un sistema costituzionale che arma il presidente e il suo governo di poteri immensi, scarsamente bilanciati, e solidamente ancorati ad una stabilità di governo che ne deforma la rappresentatività.
Il suo sistema elettorale uninominale maggioritario (1) per ogni circoscrizione per l’elezione dell’Assemblea e a doppio turno per le presidenziali non è mai stato tra i più rappresentativi.

Dal 2017, “forte” della sua elezione con il 18% degli aventi diritto al primo turno, Macron sta riuscendo a portare a termine la distruzione del sistema sociale francese, iniziata con Hollande e la sua riforma del lavoro. Incontrando la fiera opposizione del movimento dei gilets gialli prima, e sprezzante della mobilitazione sociale ora, sta cercando ogni mezzo per imporre le ricette neoliberali già somministrate in Germania, Italia, Spagna, Grecia e Belgio.

Non è un caso che, mentre i cugini d’oltralpe iniziano ad affrontare l’ “emergenza coronavirus”, il “presidente dei ricchi” e il suo governo ne approfittino per fare passare con la forza uno dei provvedimenti più impopolari degli ultimi decenni: la riforma delle pensioni. E lo fanno sfruttando sia la copertura mediatica del Covid-19, sia un’arma potentissima dello strambo sistema costituzionale francese.

Il Primo Ministro Edouard Philippe si è permesso di affermare che il ricorso all’art. 49,3 fosse necessario alla luce dell’ostruzionismo parlamentare della France Insoumise e del Partito Comunista Francese, che avrebbero “reso impossibile il dibattito”. Numerosi giornalisti parlamentari contestano questa affermazione dimostrando come il dibattito si sia svolto nel merito e nonostante i silenzi del governo.

L’articolo 49,3 della Costituzione francese impegna “la responsabilità del Governo dinanzi all’Assemblea nazionale sul voto di un progetto di legge, […] detto progetto è considerato adottato, salvo il caso in cui una mozione di sfiducia, presentata nel termine di ventiquattro ore”, venga votata a maggioranza dei membri dell’Assemblea.

In pratica non si tratta soltanto di “porre la fiducia” su un provvedimento, ma di mettere fine al dibattito, privando il Parlamento della sua funzione legislativa e persino del voto su quel provvedimento, salvo quello di una “mozione di sfiducia” di cui l’opposizione si deve incaricare.

Per capire la portata antidemocratica di questa disposizione occorre valutare due aspetti: la forma di governo francese che emerge dalla Costituzione del 1958 e dal sistema elettorale, nonché il contesto in cui essa fu elaborata.

Nel sistema semipresidenziale francese dal 2002 l’Assemblea Nazionale francese è eletta un mese dopo il Presidente. Questo allineamento, potenziato dal sistema elettorale, non solo scongiura le ipotesi di cohabiation (ovvero che Primo ministro e Presidente siano di diverso colore politico) ma garantisce una comoda stabilità al governo del Presidente, giustificando ulteriormente chi ha definito quella francese una “monarchia repubblicana”.

Inoltre la Costituzione vigente, che permette di fatto al governo di imporre delle leggi (Art. 49,3), è stata elaborata dallo stesso De Gaulle in uno stato d’emergenza, mentre la Repubblica francese affrontava l’emergenza nazionale della guerra d’Algeria, dopo il tentativo di colpo di stato del 1958. In pratica De Gaulle costruì una costituzione che fosse in grado di attribuire a sé e ai suoi successori dei poteri che non si erano mai visti in circostanze anteriori o in altri paesi.

Quello che però appare antidemocratico non è soltanto l’impiego di questo strumento costituzionale, nato nell’emergenza di una guerra civile, ma la mistificazione della realtà attraverso il linguaggio operata dallo stesso Primo Ministro francese, il quale afferma di ricorrere all’art.49,3: “non per mettere fine al dibattito ma per mettere fine a questo episodio di non-dibattito e di restituire al Parlamento la sua funzione di fare le leggi”.

Esattamente l’opposto di quello che è successo: la riforma delle pensioni non sarà oggetto né di un dibattito né di un voto proprio per il ricorso del governo allo strumento del 49.3.

Il governo francese continua insomma a svuotare le parole di senso e ad imporre un linguaggio contrario alla realtà in cui tutto è chiamato con parole opposte al suo significato.
Che senso ha chiamarle “riforma del lavoro” e “riforma delle pensioni” se nella realtà si tratta di macelleria e violenza sociale nei confronti dei lavoratori e pensionati?

“Libertà è schiavitù. Uguaglianza è competizione. Fratellanza è disprezzo.”

 

 

(1) Il criterio dei sistemi maggioritari è “il primo prende tutto”, ossia in ogni collegio chi riceve più voti viene eletto, mentre tutti gli altri, anche se ricevono percentuali di voto importanti, vengono esclusi. Con il sistema elettorale a doppio turno come nel caso francese un candidato deve raggiungere o superare la maggioranza assoluta (50% + 1) per essere eletto al primo turno. Se nessun candidato ci riesce, si ricorre a un secondo turno di votazioni.