“L’avvocato James Lewis che rappresenta gli Stati Uniti cerca di convincere tutti che gli Usa non vogliono processare il giornalismo. Ma di fatto è la prima volta nella storia dell’America che un giornalista è stato incriminato con l’Espionage Act, una legge draconiana del 1917 pensata per punire le spie che passano informazioni segrete al nemico. Eppure Julian Assange non ha mai passato informazioni al nemico”.
Così, in una frase che riassume il nocciolo del processo, Stefania Maurizi, una delle poche giornaliste italiane che seguono questa storia da sempre, descrive ciò che sta succedendo a Julian Assange nel Tribunale di Londra, qui, in Occidente, dove ci intendiamo di democrazia e processi equi.
Per restare al piano strettamente formale si tornerà in aula il prossimo 18 maggio per sentire i testimoni e la sentenza, che dovrà stabilire se per la Corte inglese Assange può essere estradato negli Stati Uniti, è prevista pochi mesi dopo la fine dell’udienza. Il giudice ha rifiutato la richiesta degli avvocati della difesa di permettere a Julian Assange di uscire dalla gabbia di vetro in cui è costretto a seguire il processo, guardato a vista da due guardie, e di consentirgli di sedere in aula vicino ai suoi legali. La motivazione è che l’attuale assetto potrebbe compromettere il diritto di Assange a un processo equo. Il giudice Baraitser ritiene che il fondatore di WikiLeaks non abbia avuto difficoltà a partecipare al processo e ad attirare l’attenzione dei suoi legali nonostante si trovi nella stanza di vetro.
“Credo che le chances di un procedimento giudiziario che non sia gravato da pregiudizi siano davvero molto poche – dice Stefania Maurizi – e non dobbiamo, non possiamo, dimenticare che qui si sta valutando l’estradizione negli Stati Uniti di un giornalista che ha rivelato crimini di guerra e torture commesse dagli Stati Uniti durante le guerre in Afghanistan, in Iraq e la guerra al terrorismo. Se non è giornalismo questo: in una società democratica deve essere assolutamente permesso a un giornalista di rivelare crimini di guerra e torture senza andare in prigione. E’ proprio questo che distingue le democrazie dai regimi”.