Il referendum costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari implica una domanda sul ruolo e sul compito delle assemblee legislative. La quantità degli eletti influisce sulla qualità dei risultati? Forse la domanda è posta in modo scorretto. Verificando i dati la questione da porre dovrebbe essere: come si può limitare il potere legislativo del Governo? Sembra un cortocircuito, ma il problema è proprio questo, visto che la maggior parte delle leggi sono di origine governativa. L’eventuale diminuzione dei parlamentari servirà a dare più potere al Parlamento e di conseguenza a contrastare lo strapotere del Governo? C’è da dubitarne. Ma andiamo con ordine.
Nella Grecia antica Aristotele già distinse tre momenti nell’attività dello Stato: deliberativo, esecutivo e giudiziario. Ritroviamo questa impostazione nella moderna teoria della separazione dei poteri, che viene tradizionalmente associata al nome di Montesquieu. Il filosofo francese, nello Spirito delle leggi, pubblicato nel 1748, fonda la sua teoria sull’idea che “chiunque abbia potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti. Perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere”. Individua, inoltre, tre poteri (intesi come funzioni) dello Stato – legislativo, esecutivo e giudiziario – perché “una sovranità indivisibile e illimitata è sempre tirannica”. La separazione (o divisione) dei poteri è uno dei principi giuridici fondamentali dello Stato di diritto e della democrazia liberale.
Nella Costituzione della Repubblica italiana la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (art. 70). Al contempo gli attori che possono presentare proposte di legge, la cosiddetta iniziativa legislativa, sono molteplici: i parlamentari e il Governo (art. 71), il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, le regioni (art. 121) e il popolo (art. 71), attraverso la raccolta di almeno 50.000 firme.
Nella precedente legislatura – secondo i dati forniti da Openpolis – sono state approvate 379 leggi: il 74% sono di iniziativa governativa e il 24% di iniziativa parlamentare. Soltanto una legge approvata è di origine regionale e una di iniziativa popolare. Nessuna tra quelle proposte dal Cnel. È evidente che, nonostante il Parlamento sia il detentore del potere legislativo e, almeno sulla carta, il principale protagonista dell’iniziativa legislativa, la stragrande maggioranza dei testi approvati dal Parlamento italiano sono di iniziativa governativa. Il potere esecutivo di fatto ha prevaricato il potere legislativo. Questa situazione che altera la divisione e l’equilibrio dei poteri, mette in crisi l’assetto costituzionale della nostra Repubblica parlamentare.
Nell’attuale legislatura non è cambiato molto. Secondo i dati rintracciabili nel sito internet del Senato, dalle elezioni del 2018 all’inizio del 2020 sono state approvate 72 leggi di origine governativa, 28 di fonte parlamentare e una legge di iniziativa popolare. Di conseguenza le percentuali si discostano di poco da quelle della precedente legislatura: è ancora il Governo che la fa da padrone, per di più in casa d’altri.
Di fronte a questi numeri si dovrebbe avviare un dibattito sulla necessità di ridare il ruolo che costituzionalmente spetta al Parlamento, magari ragionando sugli strumenti utili ad evitare o almeno limitare l’evidente abuso di potere del Governo. Invece domenica 29 marzo gli elettori saranno chiamati a votare sul possibile taglio dei parlamentari. D’altra parte, si potrebbe pensare che, in conseguenza dell’attuale scarso ruolo del Parlamento nel legiferare, sia coerente approvare la diminuzione del numero degli eletti. Ma un ragionamento del genere, portato all’estremo, porterebbe tendenzialmente all’abolizione del Parlamento, come ente marginale, come di fatto è diventato il Cnel.
La Carta costituzionale è anzitutto un argine posto al potere. La legge fondamentale, per difendere il diritto di ognuno, sta dalla parte del più debole. Oggi tra i tre poteri dello Stato, il più fragile è sicuramente il Parlamento. Una sforbiciata al numero dei parlamentari sicuramente non lo renderà più forte e non gli restituirà il potere perduto. Il Parlamento rappresenta direttamente gli elettori: è davvero paradossale che siano gli elettori – se prevarrà il sì nel referendum – a ridurne la rappresentanza.