Durante la notte tra il 16 e il 17 Gennaio 1991 era cominciato l’attacco della coalizione capeggiata dagli USA all’Iraq di Saddam Hussein. Nei giorni successivi si erano susseguiti pesantissimi bombardamenti su Bagdad e le principali città irachene mentre dal confine saudita veniva sferrato un attacco violentissimo contro l’esercito del Raìs. Enorme la sproporzione tra le forze in campo. In poco tempo le truppe di Saddam erano state sbaragliate con un bilancio finale di circa 100.000 morti mentre altrettante erano state le vittime civili colpite dai bombardamenti. I soldati iracheni si arrendevano a decine di migliaia e il conflitto andava rapidamente al suo epilogo.
Il 26 Febbraio da Kuwait City migliaia di persone, anche soldati che scappavano ma in larghissima maggioranza civili, si dettero alla fuga verso nord, lungo la strada per Bassora. Fuggivano su auto, autobus, camion, veicoli di ogni genere. C’erano tantissimi lavoratori stranieri con le loro famiglie, gente che aveva trovato occupazione in Kuwait: Palestinesi, Iracheni, Bengalesi, Indiani, di tutto. Fuggivano per mettersi in salvo formando una coda di quasi 15 chilometri.
Gli aerei americani fecero un primo attacco, bombardando la testa e la coda della lunghissima colonna, bloccandola completamente. Impossibile andare avanti, impossibile tornare indietro. Il secondo attacco fece un completo sterminio. Una tempesta di fuoco si abbatté sui fuggiaschi rimasti intrappolati e il risultato fu di un numero oscillante tra i 20.000 e i 30.000 esseri umani bruciati vivi. Non è possibile averne un numero più preciso perché nei giorni successivi numerosi carri armati Abrahams dotati di ruspa anteriore seppellirono tutti i cadaveri, letteralmente carbonizzati.
Solo a operazione finita arrivarono i giornalisti e il mondo poté vedere (poco del resto) solamente immagini di rottami sparsi lungo la strada in mezzo al deserto. Niente ha potuto documentare visivamente gli effetti di uno dei crimini di guerra più atroci ed efferati degli ultimi decenni. Un crimine inutile, tra l’altro: due giorni dopo la guerra era già finita.