AAA 30 miliardi di euro cercansi. Potrebbe essere questo il contenuto di un ipotetico annuncio pubblicitario della finanza pubblica italiana per l’anno 2020. Sì, perché dagli ultimi dati resi noti dalla Banca d’Italia sull’indebitamento delle amministrazioni pubbliche al 31 dicembre 2019, emerge che per raggiungere il pareggio di bilancio mancano “soltanto” 30 miliardi di euro. Infatti, quello del 2019 è il “miglior” deficit dal 2007 e mostra un significativo cambiamento rispetto al 2018, in cui era stato raggiunto un pessimo risultato: 53 miliardi di euro in disavanzo.
L’attuale governo nell’ultima legge di bilancio si è impegnato a fondo per disattivare le clausole di salvaguardia, cioè per trovare 23 miliardi di euro per evitare l’aumento dell’IVA. Per mesi questo è stato l’obiettivo primario. E se d’ora in poi il target da raggiungere fosse costituito da quei 30 miliardi di euro che metterebbero i conti a posto?
Sarebbe un risultato clamoroso, poiché dal dopoguerra ad oggi i conti pubblici si sono chiusi sempre rigorosamente in rosso. Se si riuscisse nel 2020 a chiudere il bilancio in pareggio, l’Italia diventerebbe improvvisamente un Paese tra i più affidabili, lo spread scenderebbe a livelli tendenti a zero e il costo per gli interessi sul debito calerebbe in modo ancora più significativo. In altre parole, si potrebbe innescare un ciclo virtuoso, che in breve tempo potrebbe portare il nostro Paese ad un avanzo primario di molto superiore al servizio pagato per il debito.
A quel punto si aprirebbe un confronto finora inedito: decidere quante risorse utilizzare per ridurre il debito e quante investire per migliorare le condizioni del Paese. In questo modo potrebbero essere disponibili fondi adeguati per la conversione ecologica dell’economia, per gli investimenti nella ricerca, per la messa in sicurezza dei territori, per rafforzare il sistema educativo e scolastico, ecc.
Un libro dei sogni? Può darsi, ma resta il fatto che i numeri dimostrano che non siamo lontani dalla meta, che consiste nel vedere la curva del debito pubblico cambiare verso e iniziare a scendere verso il basso. Per raggiungere questo obiettivo bisogna fare uno sforzo ulteriore, recuperando risorse da chi finora ha dato di meno (evasori) e anche da chi potrebbe dare di più (grandi patrimoni e redditi elevati). In questa prospettiva persino una tassa di scopo potrebbe avere un senso. Fu necessaria per entrare nell’Euro, mentre adesso servirebbe per far parte del club dei Paesi che stanno riducendo il debito pubblico.
È utile ricordare che il calo del debito, oltre a mettere a disposizione più risorse per le spese sociali e per gli investimenti, tende a ridurre la vergognosa ingiustizia intergenerazionale che il debito rappresenta. L’Italia negli ultimi decenni di fatto ha posto una pesantissima ipoteca sulle nuove generazioni e su quelle che ancora devono venire. La zavorra sta in questi numeri: debito = 2.409 miliardi di euro (40 mila euro a testa in media per ogni cittadino italiano) e rapporto debito/pil al 134,8% (significa che per restituire il debito servirebbero i ricavi di tutta la produzione nazionale nell’arco di 16 mesi).
Gli ultimi dati mostrano come la disuguaglianza in Italia sia ancora aumentata. Tra i Paesi dell’OCSE peggio di noi ci sono soltanto gli USA. In Europa nella classifica basata sull’indice di Gini relativa al 2018 l’Italia precede soltanto Bulgaria, Lituania, Lettonia e Romania. Anche la Grecia, seppure con gravi problemi di austerity, è meno diseguale dell’Italia.
Non ci vuole molto a comprendere che disuguaglianza e debito di solito vanno a braccetto. Il debito in fondo è un meccanismo che crea ulteriore disuguaglianza, poiché tutti pagano con gli interessi e soltanto alcuni (i creditori) riscuotono. Anche per ragioni di equità, del presente e del futuro, è forse giunto il tempo per cambiare rotta. Potrebbero bastare 30 miliardi di euro, tenendo conto che il totale delle entrate pubbliche è di circa 800 miliardi di euro. Non è una missione impossibile.