La terza assemblea nazionale di Fridays for Future Italia si terrà a Sassari il 14 e 15 marzo. Di fronte alla crisi climatica e ambientale che si manifesta in forme sempre più acute e alla finestra temporale sempre più stretta che ci separa dalla irreversibilità, la denuncia di Greta Thunberg ha trovato finora riscontro quasi solo tra una avanguardia di massa delle nuove generazioni, quelle il cui futuro è messo maggiormente a repentaglio: con quattro global strike, Fridays for Future ha già mobilitato oltre sei milioni di giovani e non e molti di più ne mobiliterà nel prossimo sciopero mondiale del 24 aprile.
Dopo molti colpevoli silenzi i media sono ormai costretti a esibire ogni giorno i danni provocati dalla crisi, ma a differenza di quello giovanile, il mondo adulto – lavoratori, lavoratrici, disoccupati, donne relegate al lavoro domestico – ma soprattutto l’establishment appaiono paralizzati. Perché mai non vengono adottate le misure che la crisi richiede con quella sollecitudine con cui, per esempio, allo scoppio della Seconda guerra mondiale i paesi attaccati dall’Asse avevano riconvertito in pochi mesi i loro apparati produttivi a scopo bellico?
Greta, invitata a tutti i principali vertici del mondo, a tutti suona l’allarme. Molti le mostrano benevolenza; altri la dileggiano, ma le risposte di entrambe le parti sono inadeguate o contrarie alle esigenze e alle urgenze messe in luce. Pesano gli interessi legati ai combustibili fossili o alle industrie che ne dipendono, che non sono disposti a cedere i guadagni e il potere che viene loro dall’enorme concentrazione che questo modello di economia richiede. Ma non c’è solo questo.
Molto dipende anche dall’ignoranza. Per esempio, Josep Borrell, responsabile della politica estera dell’Unione Europea, chiede ai “giovani” se si rendono conto dei costi insostenibili di quello che pretendono. Per dir loro che non si può fare. Tutto viene buttato in denaro, cosa a cui siamo contrari; vita e sopravvivenza del pianeta non si possono certo “monetizzare”. C’è però da chiedere a Borrell e a quelli come lui se loro si “rendono conto” dei costi comportati dal non agire…
Ma il vero effetto paralizzante nasce dal fatto che nessuno sa veramente che cosa fare per realizzare quella conversione, non solo energetica, ma soprattutto ecologica, necessaria a evitare che si varchi la soglia dell’irreversibilità. Sono la dimensione e la profondità di questa svolta, per lo più solo intuite, ciò che spaventa e paralizza. Ed è a questa paralisi che Fridays for Future deve saper dare una risposta. Non basta più, come fa Greta, il cui contributo alla nostra lotta resterà essenziale, dare l’allarme e dire che “gli scienziati” sanno che cosa bisogna fare, ma che i politici non li ascoltano. Gli scienziati, come i politici, come gli industriali e la finanza, non lo sanno; ma neanche noi lo sappiamo, se non a grandi linee, troppo grandi per diventare operative.
E per una ragione semplice: la conversione ecologica non è un fatto solo tecnico. E’ soprattutto un processo sociale, che deve coinvolgere milioni, e poi miliardi di persone consapevoli e capaci di confrontarsi con il contesto in cui ciascuno vive, studia o lavora.
Fridays for Future deve non solo denunciare il rischio mortale che corriamo e fare pressione su autorità e imprese perché cambino rotta, ma deve anche assumersi la responsabilità di misurarsi con le cose da fare. Non certo redigendo piani e programmi dettagliati, bensì lavorando perché queste indicazioni emergano dai contesti sociali in cui e con cui vuole operare: scuole, aziende, quartieri, associazioni, istituzioni. Se aspettiamo che a farlo sia chi ci governa, o i poteri che controllano chi ci governa, la corsa al disastro continuerà tra impegni e vertici inconcludenti. Che fare, allora? Seguiamo la traccia chiara e semplice dei “fratelli maggiori” di Extinction Rebellion: dire la verità, agire subito, convocare gli interessati.
Dire la verità: nessuno dei politici, italiani, europei o mondiali, tranne papa Francesco, ha il coraggio di dire a concittadini, seguaci o elettori quanto sia grave la situazione. Nessuno di loro, se lo dicesse, potrebbe continuare a fare quello che fa e su cui ha costruito la sua carriera. Dovrebbe dire: “Da domani si cambia tutto”. Invece abbiamo visto sindaci e Parlamenti dichiarare addirittura l’”emergenza climatica” e poi continuare per la stessa strada, con poche e inconsistenti variazioni.
Agire subito: mettere in campo nuovi progetti richiede tempo, ma quelli in corso che fanno solo danni si possono fermare subito. Però nessuno lo fa: TAV, TAP, metanizzazione della Sardegna, grandi progetti edilizi, Olimpiadi invernali con la neve artificiale, produzione e vendita di armi, fertilizzanti e pesticidi sintetici, è tutto un correre lungo la strada percorsa finora, quella che porta alla catastrofe. Un grande spreco di risorse da investire invece nella conversione ecologica.
Convocare gli interessati: nella società esistono, disperse e non valorizzate, risorse intellettuali e morali, competenze tecniche ed esperienze associative, diponibilità a lavorare, passo dopo passo, alla promozione delle tante iniziative da sviluppare, individuandole con un confronto collettivo, poi definendole con l’aiuto di tecnici ed esperti, poi rivendicandole e poi battendosi per imporle, farle finanziare, realizzarle. Si comincia mettendo insieme su basi volontarie scuola per scuola, azienda per azienda, territorio per territorio, studenti, lavoratori, tecnici, manager, associazioni e politici disposti a impegnarsi su questa strada. All’inizio saranno pochi, e potrà sembrare un tentativo velleitario, ma mano a mano che la crisi climatica prenderà a mordere (non tarderà a farlo) queste aggregazioni, se saranno in campo, si riveleranno niente altro che l’embrione della governance di un’impresa del tutto nuova: l’unica in grado di gestire un cambiamento che altrimenti non verrà mai.