La frase di Papa Francesco secondo cui “siamo di fronte a una terza guerra mondiale a pezzi” ha inevitabilmente introdotto e fatto orientato l’insolito ma stimolante confronto tra il vescovo di Bologna, mons. Matteo Zuppi e il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, svoltosi martedì 11 febbraio presso la Casa della pace di La Filanda di Casalecchio di Reno alla periferia di Bologna. “Una lettura del disordine mondiale tra religione e fede” è stato il tema della serata, promossa dalla realtà pacifista in collaborazione con il comune di Casalecchio di Reno, in una sala gremitissima di persone. Dall’originale espressione di Papa Bergoglio hanno infatti preso avvio entrambi gli interventi.
Se, dunque, deve preoccupare oggi l’assenza di una visione mondiale, la sfida si gioca sulla capacità di andare oltre la frammentarietà e la separazione che la logica divisiva dominante comporta. “La logica del muro è anestetizzante di fronte alla necessità di andare oltre esso attraverso il dialogo e volontà di costruire quelli che Papa Francesco definisce i ponti di pace – ha continuato il neocardinale-. Soprattutto in un epoca in cui le guerre sono sempre più digitali e quasi asettiche il papa ci richiama alla responsabilità di porre la sfida del disarmo globale e, come nel potente discorso durante la sua visita in Giappone, giungeva dichiarare non solo l’ uso ma anche il possesso di armi atomiche inaccettabile”.
Dalle armi all’odio il passo è breve. Cogliendo il suggerimento del conduttore della serata, Sergio Caserta, blogger del Fatto quotidiano, Lucio Caracciolo ha ribadito come alle radici di questa attuale tendenza vi sia la paura. “La paura è un sentimento che non si può estinguere ma che va gestito con la capacità di governare. Quello che sta succedendo con il virus cinese sembra evidenziare una loro capacità maggiore rispetto a noi di governare l emergenza anche se con inevitabili opacità. Oltre a questo, un altro antidoto all’odio è la capacità di lasciarsi incuriosire dal mondo stesso, gli uni dagli altri”.
Mons. Zuppi ha poi colto la occasione per spiegare il senso di un suo recente libro sul tema della odiare. È la non accettazione della diversità il motore che alimenta la violenza e la tendenza all’esclusione. La diversità è certamente una ricchezza ma va gestita in una visione capace di porre in connessione le differenze senza annullarle: si tratta, ha evidenziato, di una questione che investe appieno anche la chiesa, unica istituzione oggi esistente che continua ad avere, per sua natura, una visione universale. “Tuttavia la sfida non è quella di essere una sfera, cioè un tutto omogeneo che si tiene intorno a un unico punto centrale, ma è quella del “poliedro”, altra definizione usata da Papa Bergoglio, che significa la capacità di conservare e far entrare in relazione di reciprocità le varie sfaccettature della realtà ecclesiale e dei molteplici contesti sociali e geografici che le connotano”.
Quella del “poliedro” come modalità di convivenza coesa nelle differenze è una una modalità che si pone come sfida e impegno anche per la società civile nel suo complesso: uno stimolo molto efficace che da una sala di periferia urbana può essere preso come criterio nel tentativo, più ampio, di costruire una nuova visione comunitaria di cui, in questi anni connotati dalla logia dell’odio e dell’esclusione, si sente quanto mai la necessità.