“Sono cinese, ma non sono un virus. Capisco che tutti abbiano paura a causa di questo virus ma non abbiate pregiudizi, per favore”. Questo l’appello lanciato via
Twitter da Lou Chengwang. Chengwang, un ragazzo sulla ventina, è uno dei tanti cittadini di origine asiatica che in questi giorni stanno condividendo la propria fotografia esponendo il messaggio #JeNeSuisPasUnVirus, “io non sono un virus”.
L’hashtag richiama lo slogan “Je suis Charlie”, lanciato nel 2015 per esprimere solidarietà ai redattori di ‘Charlie Hebdo’ uccisi in un attacco terroristico a Parigi. E proprio dalla Francia è partita la campagna di denuncia di coloro che, da quando è scoppiata l’epidemia di un nuovo ceppo di coronavirus in Cina, dichiarano di subire episodi di razzismo e intolleranza per le proprie origini asiatiche.
Una ragazza ad esempio in un tweet ha raccontato: “Stavo andando al lavoro quando ho sentito due passanti dire ‘facciamo attenzione, sta arrivando una ragazza cinese'”. Quindi lo sfogo: “Primo, sono vietnamita, secondo non sono un virus”. Un’altra ragazza ha condiviso invece l’esperienza di un’amica che, appena
salita sull’autobus, ha visto le persone accanto a lei “tirare su la sciarpa fino al naso e allontanarsi”.
La campagna in Francia è stata già oggetto di servizi giornalistici e ha visto anche l’adesione di personaggi di rilievo pubblico, come l’ex ministra e “premiere dame”, Segolene Royal.
In Italia, è stato l’attivista italo-somalo Amin Nour a incoraggiare gli internauti a “far diventare virale” l’hashtag #IoNonSonoUnVirus. Il fondatore della Marcia dei diritti – che si batte per la semplificazione della legge sulla cittadinanza per
giovani nati o cresciuti in Italia da genitori stranieri – su Facebook ha denunciato “i leoni da tastiera” che “si stanno sbizzarrendo in maniera becera e xenofoba contro le comunità di origine asiatica”.