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Partnership antica e consolidata quella che lega militarmente l’Italia a Israele. Un’alleanza cresciuta all’ombra di Washington e della Nato, ma che specie negli ultimi anni anni ha conseguito sempre maggiori spazi di autonomia, nel nome e per conto dei rispettivi complessi finanziari-industriali nazionali, affermati produttori ed esportatori di sofisticati sistemi di distruzione e morte a livello mondiale.
Una data in particolare consacra l’affermazione di quello che è oggi il patto strategico d’acciaio Roma-Tel Aviv: il 16 giugno 2003, quando i governi italiano e israeliano firmarono il “memorandum” d’intesa in materia di cooperazione nel settore militare. Il “memorandum” è a tutti gli effetti un accordo quadro generale, cioè non solo un accordo tecnico, ma regola la reciproca collaborazione nel settore della difesa, con particolare attenzione all’interscambio di materiale di armamento, all’organizzazione delle forze armate, alla formazione e all’addestramento del personale e alla ricerca e sviluppo in campo industriale-militare. L’accordo quadro prevede inoltre la realizzazione di “scambi di esperienze tra esperti delle due parti” e la “partecipazione di osservatori a esercitazioni militari”. Esso è stato approvato con voto quasi unanime del Parlamento italiano nel maggio 2005 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 7 giugno 2005.
In verità, le Camere avrebbero dovuto rigettare l’accordo bilaterale in quanto palesemente in contrasto con la legge n. 185 del 1990 che regola l’esportazione di armamenti italiani e vieta le vendite a paesi belligeranti o i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali dei diritti umani. Israele rientra a pennello tra gli Stati che dovrebbero essere messi al bando in campo strategico-politico-economico e militare dall’Italia. Da sempre le forze armate di Tel Aviv sono impegnate, come aggressori, su più fronti di guerra e dal 1967 occupano ancora buona parte della West Bank. Inoltre il regime d’apartheid instaurato contro la popolazione palestinese e gli stessi cittadini israeliani di origine araba è stigmatizzato dalle principali organizzazioni non governative internazionali. Non ultimo, Tel Aviv non ha mai firmato il Protocollo di Non Proliferazione Nucleare e da tempo immemorabile, anche grazie la collaborazione tecnico-scientifica di Stati Uniti ed Unione europea, a Dimona, nel deserto del Negev, si costruiscono armi nucleari (secondo alcuni istituti di ricerca indipendenti, Israele sarebbe già in possesso di più di 200 testate).
 
Il “memorandum” Italia-Israele nel campo della difesa ha pure avuto il “merito” di anticipare di più di cinque anni il nuovo corso delle relazioni tra l’Alleanza Atlantica e il governo israeliano. Il 2 dicembre 2008, tre settimane prima circa della famigerata operazione di guerra “Piombo Fuso” contro la Striscia di Gaza, la Nato ha ratificato il cosiddetto “Programma di cooperazione individuale” con Tel Aviv, comprensivo di “scambio di informazioni tra i servizi d’intelligence; connessione di Israele al sistema elettronico dell’Alleanza; cooperazione nel settore degli armamenti; aumento delle esercitazioni militari congiunte; allargamento della cooperazione contro la proliferazione nucleare…”. A non impensierire i paesi della Nato neanche l’uso massiccio a Gaza da parte israeliana di armi sconosciute o vietate dalle Convenzioni internazionali (fosforo bianco, bombe D.I.M.E., uranio impoverito).
 
A seguito della ratifica dell’accordo-quadro del giugno 2003 e dello sviluppo del programma di cooperazione Nato-Israele del dicembre 2008, le relazioni tra le forze armate italiane e israeliane sono cresciute esponenzialmente, mentre si è registrata una vera e propria escalation nelle importazioni ed esportazioni di sistemi d’arma. Le tappe più significative e più recenti della partnership militare Roma-Tel Aviv hanno visto nel novembre 2009 il vertice tra l’allora ministro della difesa Ignazio La Russa, l’omologo israeliano Ehud Barak e il premier Benjamin Netanyahu; la visita a Roma nel luglio 2010 del Capo di Stato maggiore delle forze armate israeliane, generale Gabi Ashkenazi; la visita del dicembre 2010 a Tel Aviv del Capo di Stato maggiore italiano, generale Vincenzo Camporini, in cui si discusse di “rafforzamento della collaborazione strategica a livello politico, militare e tecnico-industriale, consolidamento della conoscenza dei reciproci apparati militari e sviluppo di strumenti di raccordo e coordinamento delle attività di pace italiane nelle aeree d’interesse per lo stato israeliano (vedi missione Unifil in Libano N.d.A.)”.
 
Il 7 e 8 febbraio 2011 si svolsero a Roma gli “Air-to-Air Talks” tra i comandi dell’Aeronautica militare italiana e dell’Israel Air Force. Le due delegazioni si soffermarono sulle “esperienze maturate nei rispettivi teatri di operazione” e su “alcune attività addestrative congiunte”, svolte l’anno precedente sia in Italia che in Israele. I colloqui hanno riguardarono inoltre i principali programmi di cooperazione avviati in ambito industriale, specie nella ricerca, sperimentazione e produzione dei droni (velivoli a pilotaggio remoto), nella gestione logistica integrata del cacciabombardiere strategico multiuso “Joint Strike Fighter F-35” (di prossima introduzione in entrambe le forze aeree) e del velivolo d’addestramento M-346 di produzione Alenia Aermacchi (gruppo Finmeccanica), poi acquisito dagli israeliani. Sempre in ambito aeronautico, settore guida dell’asse strategico tra Roma e Tel Aviv, il 14 giugno 2011, il comandante delle forze aeree israeliane, generale Ido Nehushtan, giunse in Italia per un vertice con i responsabili dell’Aeronautica e visitare i reparti di volo di Pratica di Mare, Lecce e Grosseto. Quattro mesi più tardi i cacciabombardieri israeliani operarono per 15 giorni nei principali poligoni della Sardegna nell’ambito dell’esercitazione “Vega 2011”, a cui parteciparono pure le forze aeree di Italia, Germania e Olanda. Per l’occasione, due squadroni con cacciabombardieri F-15 ed F-16 ed un velivolo radar di nuova produzione “Eitam” furono trasferiti nello scalo di Decimomannu (Cagliari), centro di comando e coordinamento dell’intero ciclo addestrativo. L’esercitazione in Sardegna fu seguita con particolare interesse dalla stampa di Tel Aviv: le missioni dei caccia israeliani furono finalizzate infatti a simulare un attacco agli impianti nucleari iraniani.
 
Il 16 dicembre 2011 si concluse nel deserto del Negev l’esercitazione “Desert Dusk” a cui parteciparono 25 velivoli, tra cui gli “Eurofighter” e i “Tornado” dell’Aeronautica militare italiana e gli F-15 ed F-16 israeliani. L’esercitazione, sviluppatasi attraverso veri e propri duelli aerei e lanci di missili e bombe contro obiettivi a terra, fu finalizzata ad “affinare le procedure e le tecniche di azione in missioni di controllo delle crisi (Crisis Response Operations)”. L’Italia schierò nello scalo meridionale di Uvda (Eilat, mar Rosso) 150 militari; furono inviati in Israele pure i velivoli KC-767A del 14° Stormo di Pratica di Mare e C130J della 46ª Brigata Aerea di Pisa. L’esercitazione “Desert Dusk” seguì di poco meno di un mese l’operazione “Pilastro di difesa”, scatenata dalle forze armate israeliane contro Gaza. In soli otto giorni di bombardamento, i caccia israeliani colpirono 1.500 obiettivi, il doppio di quelli attaccati nei 34 giorni della guerra in Libano nel 2006. Oltre 170 palestinesi rimasero uccisi mentre furono distrutte circa 450 abitazioni e danneggiate oltre 8.000.
 
Dal 3 all’8 novembre 2012, si tenne invece nelle acque prospicienti la città di Haifa, la prima edizione dell’esercitazione congiunta delle Marine militari Rising Star, a cui parteciparono i palombari artificieri del Gruppo operativo subacquei del COMSUBIN (Comando Subacquei ed Incursori) di La Spezia e i Divers, specialisti sommozzatori israeliani. L’esercitazione ebbe come fine il “contrasto della minaccia costituita dagli ordigni esplosivi improvvisati” e la “bonifica a bordo delle unità navali e subacquee”. “Le minacce terroristiche o i fenomeni di pirateria stanno portando le Forze di sicurezza ed in particolare le Marine militari dei paesi occidentali a studiare assetti e procedure efficaci”, spiegò il Comando italiano nel comunicato di presentazione della missione. La seconda edizione di Rising Star si tenne ancora ad Haifa esattamente un anno dopo (dal 4 al 8 novembre 2013). Stavolta però fu potenziato l’assetto militare italiano: con i palombari del COMSUBIN giunse in Israele pure la fregata lanciamissili “Grecale”, unità impegnata da tempo negli scacchieri di guerra in Medio Oriente, Nord Africa e Corno d’Africa, nelle missioni Ue e Nato anti-pirateria e, da qualche mese, nell’operazione aeronavale di contrasto alle migrazioni “Mare Nostrum”. Gli israeliani furono rappresentati a Rising Star 2013 dalla corvetta “Eilat”, da una serie di unità minori di supporto e dal gruppo subacqueo nazionale. Temi principali dell’esercitazione sono stati il “soccorso e la salvaguardia della vita in mare, il controllo del traffico mercantile e la reazione ad attacchi asimmetrici”. Secondo quanto si legge nel sito del Ministero della difesa italiano, “oltre alle attività subacquee, Rising Star ha permesso lo svolgimento di una serie di lezioni e conferenze da parte dei palombari italiani sulle esperienze maturate nei recenti interventi condotti sul relitto del Costa Concordia, a Genova sulla torre del porto e, ultimamente, a Lampedusa”.
 
Negli stessi giorni in cui ad Haifa si svolgeva l’esercitazione bilaterale, a Roma, il Capo di Stato Maggiore della difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, riceveva l’omologo israeliano, generale Binyamin Gantz. Al centro dei colloqui, lo sviluppo della cooperazione bilaterale, in particolare “nell’ambito dell’addestramento congiunto, delle capacità Cyber Warfare e degli equipaggiamenti militari e dello scambio informativo nel contrasto ai traffici illeciti e al terrorismo internazionale, in particolare nell’area mediorientale, anche con riferimento alla missione UNIFIL”. Sempre nel mese di novembre 2013, nel deserto del Negev si tenne la più grande esercitazione di guerra aerea mai svolta in Israele. Denominata “Blue Flag”, ha visto protagonisti un centinaio di velivoli e un migliaio di militari di Israele, Usa, Italia e Grecia. Nella base aerea di Ovda, l’Aeronautica italiana rischierò stavolta 140 militari, 8 tra cacciabombardieri Tornado ECR ed AM-X (provenienti rispettivamente dal 50° stormo di Piacenza e dal 51° Stormo di Istrana), nonché i velivoli KC-767A di Pratica di Mare e C130J della Brigata Aerea di Pisa. Nel corso delle esercitazioni a fuoco, furono impiegati massicciamente bombe e missili a guida di precisione, simulando attacchi in profondità in un “territorio nemico dotato di forti difese aeree”. Alla vigilia di “Blue Flag”, il generale Amikam Norkin dell’Aeronautica israeliana rese noto che Tel Aviv aveva avviato la sperimentazione di “nuove procedure per abbreviare la durata delle future guerre” e “accrescere di dieci volte il numero di obiettivi da individuare e distruggere”. Inoltre furono condotti lunghi periodi di addestramento finalizzati all’esercizio del rifornimento in volo e all’esecuzione di missioni a lungo raggio, in modo da consentire alle forze aeree israeliane di poter intervenire a livello intercontinentale.
 
L’ultima tappa del rafforzamento dei legami politico-strategici e militari tra Italia e Israele porta la data del 2 dicembre 2013, quando a Roma si tenne il vertice tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il premier Enrico Letta. L’incontro bilaterale fu preceduto da un meeting alla Farnesina tra i rappresentanti dei due governi al fine d’identificare i settori prioritari di cooperazione su cui puntare in futuro. Al primo posto, secondo il resoconto dell’ICE di Tel Aviv, ci sarebbe lo sviluppo del settore energetico “soprattutto tenendo conto delle recenti scoperte di nuovi immensi giacimenti di gas nelle acque territoriali israeliane”. “A breve – sempre secondo l’ICE – Israele potrebbe produrre il doppio dell’energia che consuma, e si trova ad affrontare il problema di trasformare ed esportare il proprio gas in eccesso. Oggetto della collaborazione tra i due paesi potrebbero quindi essere la costruzione di pipeline, porti, impianti per la liquefazione e la rigassificazione. Tra gli accordi in divenire anche la possibilità di utilizzare la Trans Adriatic Pipeline (TAP)”. Sempre in ambito energetico, gli israeliani hanno espresso l’interesse per la cosiddetta “metanizzazione del parco veicoli” nazionale. Altro settore “prioritario” della partnership tra Roma e Tel Aviv è quello aerospaziale, dalle spiccate ricadute in campo bellico, già al centro di un accordo di cooperazione scientifico-accademico ed industriale del 2011 che ha permesso all’Italia di diventare il principale partner di Israele dopo la NASA. Per l’ICE di Tel Aviv, la sfida è quella di lanciare “iniziative congiunte per poi trovare sbocco comune sul mercato Usa”. Altro settore chiave per l’interscambio tra i due paesi è quello della cyber-security in cui gli israeliani sono tra i leader mondiali.
 
Al vertice di Roma del 2 dicembre 2013 sono stati sottoscritti 12 accordi bilaterali, dall’energia alla sanità, alla sicurezza fino alla cultura e alla ricerca. In particolare, sono stati siglati un accordo sulla pubblica sicurezza che prevede un “reciproco scambio di informazioni per prevenire e reprimere la criminalità organizzata e missioni periodiche di funzionari e tecnici degli enti dei due Paesi in materia di sicurezza informatica”; un memorandum d’intesa sulla Protezione civile; un memorandum relativo allo sviluppo del mercato del gas liquefatto e dei gasdotti. Sono state siglate pure due dichiarazioni congiunte sull’istruzione e l’high-tech, un accordo di cooperazione e coproduzione cinematografica, un protocollo sanitario tra la Regione Abruzzo e il governo israeliano, una lettera d’intenti tra il policlinico Gemelli e due istituti israeliani. Firmati infine un memorandum d’intesa tra il Politecnico di Torino e l’Israel institute of technology e un memorandum d’intesa sull’acqua che ha coinvolto Acea.
 
Nell’ultimo decennio, è soprattutto nell’area della co-produzione e dell’esportazione di sistemi d’arma che si è consolidato l’asse Roma – Tel Aviv. Anche stavolta può essere individuata una data-chiave, il 18 novembre 2004, quando al summit di Roma tra l’allora ministro della difesa del governo Sharon, Shaul Mofaz, l’omologo italiano Antonio Martino e il presidente del consiglio Silvio Berlusconi, fu annunciato lo stanziamento congiunto di 181 milioni di dollari per “lo sviluppo di un nuovo sistema di guerra elettronica progettato per inabilitare i velivoli nemici”. Da allora, gli affari per i mercanti di morte dei due paesi si sono fatti sempre più fitti: secondo una ricerca dell’Archivio Disarmo basata su dati ISTAT, nel 2005 il governo italiano autorizzò contratti di vendita ad Israele, in base alla legge 185, per circa 1,3 milioni di euro. Più recentemente, come evidenzia la Rete Italiana per il Disarmo, le vendite autorizzate al governo di Tel Aviv superano complessivamente i due milioni di euro l’anno, e riguardano in particolare armi di calibro superiore ai 12,7mm e aeromobili, sistemi d’arma ad energia diretta e apparecchiature elettroniche. Tra le holding e le imprese italiane maggiormente coinvolte spiccano Finmeccanica, Simmel Difesa, Beretta, Northrop Grumman Italia, Elettronica S.p.A.. Quest’ultima, con sede a Roma, nel giugno 2009, ha costituito una joint venture con l’industria militare israeliana “Elbit” per sviluppare un sistema direzionale di “contromisura” a raggi infrarossi (Directional Infrared Countermeasure System – DIRCM), da implementare su elicotteri e velivoli da trasporto militari e “neutralizzare” la minaccia proveniente dai “Manpads”, i missili terra-aria che possono essere lanciati con sistemi a spalla. Per la cronaca, l’italiana Elettronica compare tra gli sponsor (insieme ad IBM e Finmeccanica) del convegno internazionale tenutosi nel novembre 2012 presso l’Aula Magna dell’Università “La Sapienza” di Roma, dal titolo Armi cibernetiche e processo decisionale, ed organizzato dal Centro Interdipartimentale di Studi Strategici Internazionali e Imprenditoriali (CSSII) dell’Università di Firenze, diretto da Umberto Gori, docente di Scienze politiche dell’ateneo toscano e membro del comitato scientifico dell’azienda privata israeliana “Maglan Information Defense Technologies”.
 
Ci sono poi le aziende che operano in settori d’alta tecnologia “civile” ma con ricadute in campo militare: tra esse ST Microelectronics, il gigante italo-francese dei semiconduttori, che nel 2000 ha acquisito la società israeliana “Waferscale” con investimenti pari a circa 70 milioni di dollari; Telecom Italia che nel 1998 ha acquisito il 26,4% di “Golden Lines” (una delle tre società israeliane autorizzate ad operare nella telefonia internazionale) e che insieme al alcuni partner israeliani ha costituito nel 1999 la società “Med 1” per la posa e la gestione di un cavo a fibre ottiche tra Mazara del Vallo e Tel Aviv, oggi la principale arteria per le comunicazioni telefoniche tra Israele e l’Europa. Nel maggio 2000, ancora Telecom Italia ha varato il “progetto Nautilus” per la realizzazione di circa 7.000 km di cavi a fibre ottiche nel Mediterraneo: il primo tra Catania e Haifa via Creta; il secondo tra Catania e Tel Aviv, con potenziale estensione ad Alessandria d’Egitto; il terzo da Creta verso Atene ed Istanbul. Nel 2005 Telecom Italia è divenuta l’unica proprietaria del Consorzio, dopo aver acquistato le restanti quote dai partner israeliani. Sempre nel campo della telefonia cellulare e delle tecnologie satellitari, di recente il gruppo israeliano Polar Investments ha acquisito l’italiana Telit con sede a Trieste.
 
A rendere ancora più intrigato l’interscambio in campo militare tra le aziende italiane e quelle israeliane ci sono poi i contratti stipulati all’estero da società controllate dalle maggiori holding nazionali, non considerati nei rapporti annuali del governo italiano sull’export di armi. Nel dicembre 2007, ad esempio, DRS Technologies Inc., azienda  del gruppo Finmeccanica con sede a Parsippany, New Jersey, ha sottoscritto un contratto di 6 milioni di dollari con l’U.S. Army’s Tank-Automotive and Armaments Command (TACOM) per produrre autoarticolati da 80 tonnellate per il trasporto dei carri armati “Merlava” in dotazione alle forze armate israeliane.
 
Il 2012 passerà certamente alla storia come un anno chiave nelle relazioni tra i complessi militari industriali dei due paesi. Risale a febbraio, infatti, la decisione da parte d’Israele di sottoscrivere l’accordo preliminare per l’acquisto di 30 caccia M-346 “Master” di Alenia Aermacchi da assegnare alle Tigri volanti del 102° squadrone dell’Aeronautica militare per addestrare i piloti alla guida dei cacciabombardieri di nuova generazione come “Eurofighter”, “Gripen”, Rafale, F-22 ed F-35, ma che potranno essere utilizzati anche per attacchi al suolo con bombe e missili aria-terra o antinave. I “Master” sono in via d’assemblaggio nello stabilimento Alenia di Venegono Inferiore (Varese); Northrop Grumman Italia fornirà invece il sistema per la misura di assetto e direzione “LISA 200”, basato su giroscopi a fibre ottiche realizzati nello stabilimento di Pomezia. Il giro d’affari della commessa si attesta intorno al miliardo di dollari ma prevede vantaggiose contropartite per le industrie israeliane. “Elbit Systems”, azienda specializzata nella produzione di tecnologie avanzate, svilupperà il nuovo software che sarà caricato sugli addestratori per consentire ai piloti di esercitarsi alla guerra elettronica, alla caccia alle installazioni radar e all’uso di sistemi d’arma all’avanguardia.
 
In cambio dei caccia, Tel Aviv ha imposto la vendita alle forze armate italiane di due velivoli di pronto allarme (Early warning and control – AEW&C) “Eitam” del tipo “Gulfstream 550”, prodotti dalle aziende Israel Aerospace Industries – IAI ed Elta Systems, con relativi centri di comando, controllo e sistemi elettronici avanzati (valore complessivo 800 milioni di dollari circa). Selex Elsag (Finmeccanica), s’incaricherà per conto delle aziende israeliane di fornire i sottosistemi di comunicazione dei velivoli e i link tattici secondo gli standard Nato. Le forze armate italiane dovranno pure acquistare un sistema satellitare elettro-ottico ad alta risoluzione di seconda generazione “Optasat 3000”, in grado di operare in ogni condizione atmosferica, anch’esso di produzione di IAI ed Elbit Systems. Prime contractor degli israeliani sarà Telespazio, azienda controllata da Finmeccanica e dalla holding francese Thales, che assicurerà la costruzione del segmento terrestre, il lancio e la messa in orbita del nuovo sistema satellitare tra il novembre 2015 e il dicembre 2016. Telespazio ha sottoscritto con il Ministero della difesa italiano un contratto del valore di 270 milioni di dollari. Personale della società sarà dislocato in Israele durante le fasi di preparazione al lancio del satellite, nonché presso il Centro di Controllo di Tel Aviv durante le fasi di post-lancio. Il completamento dei test in orbita sarà realizzato successivamente dal Centro Spaziale del Fucino di Telespazio e il nuovo apparato militare sarà poi pienamente integrato nel sistema satellite e radar “Cosmo-Skymed” in uso alle forze armate italiane.
 
Sempre nel corso del 2012, l’Aeronautica militare ha deciso di dotare i propri elicotteri EH101 e gli aerei da trasporto C27J “Spartan” e C130 “Hercules” con il nuovo sistema di contromisure a raggi infrarossi DIRCM co-prodotto da Elettronica e da “Elbit”, con una spesa complessiva di 25 milioni e mezzo di euro. Inoltre è stato raggiunto l’accordo perché a partire del 2013 i missili israeliani aria-terra a corto raggio “Spike” armino gli elicotteri d’attacco AW-129 “Mangusta” di AugustaWestland, altra azienda di punta del gruppo Finmeccanica. I missili, prodotti dall’israeliana “Rafael”, hanno una gittata tra gli 8 e i 25 km, e possono esseri equipaggiati con tre differenti tipologie di testata bellica a seconda dell’uso: anticarro, antifanteria e per la distruzione di bunker.
 
La collaborazione per i programmi “Optsat 3000”, M-346 ed “Eitam” consentirà alle aziende d’armi italo-israeliane di rafforzare la propria presenza nei mercati internazionali. Selex ES ed AEL Sistemas S.A, società controllata da Elbit Systems e dalla brasiliana Embraer, hanno costituito nel 2013 una joint venture per la produzione di tecnologie e sistemi radar a scansione meccanica da destinare ai velivoli d’attacco e di trasporto delle forze armate del Brasile e di altri paesi sudamericani. Inizialmente la joint venture s’incaricherà della manutenzione e del supporto dei radar “Gabbiano T20” prodotti da Selex, che saranno montati entro la metà del 2014 sui velivoli di sorveglianza aerea Embraer KC-390 e molto probabilmente anche sui nuovi velivoli senza pilota che saranno acquisiti dalle forze armate brasiliane. La partnership tra Selex e AEL potrà allargarsi in futuro anche nel campo dell’avionica di precisione e dei sistemi di sicurezza avanzati.
Roma e Tel Aviv puntano inoltre a cooperare nella produzione e nella gestione logistica del nuovo cacciabombardiere multiruolo a capacità nucleare F-35, uno dei programmi più costosi della storia mondiale dell’aviazione da guerra. Nell’ottobre 2010, Israele ha firmato un accordo con il governo degli Stati Uniti per l’acquisizione, secondo procedura Foreign Military Sales, di 20 F-35A “Lightning II” di Lockheed Martin, versione a decollo e atterraggio convenzionale del JSF, con opzione per altri 55, sempre mediante aiuti Usa. Israele sarà quindi il primo paese, non parte del consorzio che ne ha curato lo sviluppo, a ricevere il cacciabombardiere. Le consegne sono previste a partire dal 2016 fino al 2018. L’accordo per un valore di 2,75 miliardi di dollari (ma che potrebbe superare i 10 miliardi di dollari se sarà esercitata l’opzione), prevede la partecipazione alla produzione di industrie locali, prime fra tutte IAI e Elbit Systems.
 
Le aziende del gruppo Finmeccanica e quelle israeliane puntano infine a sviluppare congiuntamente nuovi velivoli a pilotaggio remoto UAV (i famigerati droni), il settore del marcato aerospaziale che ha generato i fatturati e i profitti maggiori degli ultimi anni. Insieme ai sofisticati sistemi missilistici anti-missile, quello dei droni è certamente il campo dove Israele ha mietuto i maggiori riconoscimenti internazionali. Un rapporto pubblicato il 19 maggio 2013 dalla società di consulting statunitense Frost & Sullivan ha rilevato che Israele è oggi il principale esportatore al mondo di velivoli senza pilota, superando i giganti aerospaziali con sede negli States. Frost & Sullivan ha calcolato che i contratti d’esportazione di droni israeliani hanno generato fatturati per 4,62 miliardi di dollari nel periodo 2005-2012. Il principale mercato dei droni israeliani è l’Europa, con più della metà delle vendite. Subito dopo seguono i paesi del Sud Est asiatico con il 33.3% delle esportazioni, seguiti da Sud America, Nord America e Africa. Ben sette paesi della coalizione internazionale ISAF in Afghanistan utilizzano oggi droni made in Israele, tra cui Australia, Canada, Francia, Germania e Spagna.
 
Uno dei modelli di aerei senza pilota che ha riscosso grande successo sui mercati mondiali è l’“Heron” delle Israel Aerospace Industries, un drone che viaggia a medie altitudine per tempi medio-lunghi, simile alla classe “MQ-1 Predator” in dotazione alle forze armate Usa e italiane. L’“Heron” è utilizzato prevalentemente per la sorveglianza e le attività d’intelligence contro obiettivi terrestri e marittimi; può essere equipaggiato con una serie di radar modulari, sensori e attrezzature di telerilevamento altamente sofisticate, ma come accaduto durante la guerra in Libano del 2006, può essere armato con missili aria-terra e convertito in spietato drone-killer. Il velivolo è già stato acquisito dalle forze aeree israeliane, indiane, turche e francesi, mentre Canada e Australia hanno firmato protocolli per future acquisizioni. Pure il Comando di US SOUTHCOM lo impiega in attività di contrasto delle imbarcazioni di migranti e al traffico di stupefacenti; Unione europea e l’agenzia Frontex per il “controllo” delle frontiere hanno espresso l’interesse per un suo uso nelle crociate anti-migrazione lanciate nel Mediterraneo. Qualche mese fa, il governo britannico ha firmato invece un accordo per lo sviluppo del nuovo drone “Watchkeeper”, prodotto dalla compagnia israeliana Elbit System a partire dal modello “Hermes 450” che l’aviazione israeliana ha più volte utilizzato contro la Striscia di Gaza.
 
In Israele ben 6.784 imprenditori privati si occupano di esportazione di armi. Un numero a cui va aggiunta l’industria statale e che insieme ad essa ha consentito ad Israele di raggiungere il sesto posto nella classifica dei maggiori esportatori di armi al mondo, scavalcando Canada, Cina, Svezia e Italia. Nel 2012, secondo un rapporto del quotidiano israeliano Ha’aretz, il valore totale delle esportazioni israeliane di armi è stato pari a 7 miliardi di dollari (+20% rispetto al 2011).
 
L’Italia, oltre ad essere un esportatore di armamenti è un cliente preferenziale di Israele: negli ultimi due anni le importazioni di tecnologie militari hanno superato il valore complessivo di 50,7 milioni di euro. Tra le principali aziende acquirenti compaiono l’industria Simmel che si rifornisce in Israele di componenti per bombe e la Beretta (componenti per armi automatiche, pistole e mitragliatori). A ciò si aggiungono le acquisizioni di materiale bellico realizzate con fondi non provenienti dal ministero della difesa, come avvenuto ad esempio con una decina di radar fissi e mobili  EL/M-2226 ACSR (Advanced Coastal Surveillance Radar) realizzati da “Elta Systems”. I radar dovevano entrare a far parte della nuova Rete di sensori di profondità per la sorveglianza costiera che la Guardia di finanza sta implementando per contrastare gli sbarchi dei migranti in Sicilia, Puglia e Sardegna, ma le proteste dei Comitati No radar hanno impedito sino ad oggi la piena operatività del programma. Acquistati grazie alle risorse del “Fondo europeo per le frontiere esterne”, programma quadro 2007-08 contro i flussi migratori, le apparecchiature israeliane hanno una portata di oltre 50 chilometri e sono appositamente progettate per individuare imbarcazioni veloci di piccole dimensioni. Gli EL/M-2226 fanno parte della famiglia di trasmettitori Linear Frequency Modulated Continuous Wave (LFMCW) in X-band (dagli 8 ai 12.5 GHz di frequenza), che operano emettendo microonde estremamente pericolose per l’uomo, la fauna e la flora. Per la loro installazione, la Guardia di finanza ha scelto alcune importanti aree protette e riserve naturali. Quasi a riprova di come la partnership italo-israeliana incarni appieno le contraddizioni della globalizzazione neoliberista: un crimine contro l’uomo, il diritto e l’ambiente; generatrice di militarizzazioni e guerre infinite, globali e permanenti; un business di morte che si alimenta trasferendo ingenti risorse pubbliche a favore del capitale finanziario privato, con pesanti tagli al welfare e ai diritti sociali.
 
 
Intervento all’incontro-dibattito Palestina. Dall’occupazione militare a quella umanitaria, organizzato da Free Palestine Roma, presso la Facoltà di Scienze Politiche – Università Roma tre, mercoledì 19 febbraio 2014.