Rearm Europe Plan, ovvero si vis pacem para bellum
di Maurizio Simoncelli
Come è noto, la Commissione Europea ha proposto (e il Parlamento Europeo ha approvato) un piano di spese per 800 miliardi di euro per la difesa da possibili minacce, leggasi provenienti dalla Russia.
Tutto questo avviene all’interno di dichiarazioni ufficiali, riportate acriticamente dalla maggior parte dei mass media, che affermano che l’UE spende troppo poco per la difesa, come sostenuto dagli USA e ribadito in sede NATO.
Se andiamo a esaminare i dati (tratti dal piano e elaborati da Gianni Alioti), la realtà è ben diversa.
L’UE ha aumentato le sue spese per la difesa nel periodo 2014-2024 del 121,7%; in particolare le spese per investimenti sono cresciute nello stesso periodo del 325%.
Con Rearm Europe (rinominato poi Readiness 2030) dovremmo passare entro quattro anni a una spesa annua per la difesa da 370 miliardi di euro a circa 700 miliardi, in Italia dai 33 attuali a 70.
Una cifra elevata che andrebbe confrontata con quelle globali, per cui la NATO, secondo i dati del Military Balance, nel 2024 ha speso per la difesa il 58,5% del totale mondiale (circa 2.400 miliardi di dollari secondo il SIPRI), seguita dal 9,6% cinese, dal 5,9% russo, dal 3% indiano e dal 33% del resto del mondo.
Sommando i budget attuali delle sole Germania, Francia e Italia, si arriva a 185 miliardi di dollari, cifra superiore a quella della Russia.
La NATO europea arriva nel 2024 a 450 miliardi di dollari, cifra quasi doppia di quella cinese e tripla di quella russa.
Insomma, la notizia che l’UE e la NATO europea spendono poco è una fake news che però sta condizionando e condizionerà ancora più nel futuro la vita politica, sociale ed economica dell’Europa, dove non viene detto l’impatto di queste spese che colpiranno pesantemente la sanità, l’istruzione, l’ambiente ecc.
Ugualmente viene sottaciuto che i fondi del piano sono destinati non alla difesa europea, ma ai singoli Stati e soprattutto alle singole aziende belliche nazionali, senza risolvere minimamente il problema di fondo, cioè la frammentazione in 27 centri di comando e in 27 forze armate nazionali, diversamente equipaggiate e organizzate.
Come esempio di questa frammentazione antieconomica, il Rapporto Draghi ha citato la dotazione di 11 tipi di carri armati differenti, con annessi problemi di manutenzione, pezzi di ricambio e personale tecnico.
Secondo il Military Balance 2025, l’UE dispone globalmente di 1.400.000 militari a cui si possono aggiungere 1.100.000 riservisti.
La Gran Bretagna e la Turchia (NATO europee) dispongono rispettivamente di 141.000 e 355.000 militari, nonché di 70.000 e 378.000 riservisti.
È una massa imponente, ma da più parti si propone un ulteriore rafforzamento numerico sia attraverso un incremento parziale, sia l’intenzione di reintrodurre la obbligatoria.
In conclusione, è evidente che non si affronta la questione di una necessaria riforma dell’UE, cioè quella di una vera unità, con un governo effettivo, con un’unica politica estera e di difesa.
L’UE appare ora impantanata muscolarmente in mezzo al guado dei nazionalismi e dei sovranismi, incapace di proseguire nella via indicata dal Manifesto di Ventotene e nello spirito di pace e di cooperazione emanante da esso.