Riceviamo dal Collettivo Rotte Balcaniche e volentieri pubblichiamo un aggiornamento sulla drammatica situazione del suo collaboratore Abdulrahman Al Khalidi, giornalista saudita e attivista per i diritti umani detenuto da tre anni e mezzo in Bulgaria, dove aveva cercato protezione, sotto pressione dei servizi segreti sauditi. Nelle ultime ore si sta aggravando il rischio di una deportazione che significherebbe una condanna a morte certa.
E’ più urgente che mai fare pressione sulle autorità bulgare ed europee e obbligarle a rispettare il diritto europeo e internazionale, in primis il principio di non respingimento..
Sono Abdulrahman Al-Bakr (Al-Khalidi) e scrivo con urgenza per denunciare le continue violazioni dei miei diritti e il palese disprezzo per lo stato di diritto relativo al mio caso.
Con una sentenza del 26 marzo 2025, il Tribunale Amministrativo di Sofia ha ordinato il mio immediato rilascio dal centro di detenzione per richiedenti asilo, dove sono rinchiuso da oltre tre anni e mezzo. Si tratta della seconda decisione definitiva e inappellabile che dispone la mia liberazione immediata: la prima risale al 18 gennaio 2024, mentre l’ultima è stata pronunciata il 26 marzo 2025 e mi è stata comunicata nel pomeriggio di venerdì 28 marzo.
Quello stesso pomeriggio, alle 17:20, due uomini in abiti civili si sono presentati nella sezione dell’Agenzia Statale per i Rifugiati (SAR) del centro di detenzione di Busmantsi, dove mi trovavo, e mi hanno convocato. Si sono identificati come agenti della Direzione Migrazione di Sofia, e hanno iniziato a parlarmi in bulgaro, senza che io potessi comprendere cosa stesse accadendo e senza alcun preavviso. Non avevo idea di cosa stesse succedendo. Ho pensato che mi stessero portando fuori per essere rilasciato, come stabilito dalla sentenza del tribunale. Invece, hanno chiamato un interprete al telefono per informarmi del mio trasferimento alla sezione migrazione del centro di detenzione, dove vengono trattenuti gli stranieri soggetti a misure di espulsione e deportazione. A quel punto ho capito che le autorità, anziché rispettare l’ordine del tribunale, stavano facendo di tutto per trattenermi e preparare la mia deportazione il prima possibile, nonostante il mio procedimento di asilo sia ancora in corso.
L’ordine della mia detenzione, emesso dall’Agenzia Statale per la Sicurezza Nazionale (SANS), mi è stato letto e tradotto tramite un interprete al telefono. Tuttavia, la situazione era così tesa e confusa che non sono riuscito a comprendere appieno cosa mi veniva detto o richiesto. Non mi è stata consegnata alcuna copia scritta nella mia lingua. Quando ho tentato di contattare il mio avvocato, l’agente che leggeva l’ordine, I.B., insieme al suo collega, mi ha immobilizzato con la forza, mi ha sottratto il telefono e mi ha impedito di mettermi in contatto con il mio legale. Poi mi hanno costretto a firmare, minacciando che, se mi fossi rifiutato, non avrei ricevuto una copia per presentare ricorso. Ad oggi, non ho ancora ricevuto una copia ufficiale tradotta in arabo. Inoltre, sono stato aggredito fisicamente da funzionari che non avevano alcuna autorità per trattenermi con la forza o sottrarmi il telefono – un bene personale consentito dal regolamento del centro di detenzione. Mi è stato anche impedito di comprendere la base legale della mia continua detenzione, in un evidente tentativo di isolarmi e privarmi di qualsiasi possibilità di difesa.
Le autorità giustificano la mia detenzione con il pretesto della sicurezza nazionale, facendo riferimento all’Articolo 67(3) della Legge sull’Asilo e sui Rifugiati (ZUB). Tuttavia, questa interpretazione è del tutto arbitraria e contraria ai principi fondamentali del diritto internazionale.
Secondo la legislazione europea, in particolare l’Articolo 8(1) della Direttiva sulle Condizioni di Accoglienza (2013/33/UE), la detenzione di un richiedente asilo è consentita solo come extrema ratio, quando non esistono alternative meno coercitive e quando è necessaria e proporzionata per scopi specifici, come la verifica dell’identità o la tutela della sicurezza nazionale, sulla base di una valutazione individuale. Nel mio caso, il tribunale ha già stabilito due volte il mio rilascio immediato e, nel primo caso, le autorità amministrative hanno addirittura tentato di appellare una sentenza definitiva e inappellabile. Il mio procedimento di asilo è ancora in corso e, secondo il diritto internazionale, qualsiasi misura restrittiva basata sulla sicurezza nazionale può essere applicata solo dopo una decisione definitiva sulla richiesta di asilo. Utilizzare questo pretesto prima che il mio caso venga esaminato nella sua interezza è una flagrante violazione del principio di non-refoulement e un tentativo di aggirare il giusto processo. Anziché rispettare la sentenza del tribunale, la SANS sta sfruttando cavilli giuridici per giustificare la mia continua detenzione e preparare la mia espulsione in qualsiasi momento, mettendo la mia vita in pericolo.
L’Agenzia Statale per la Sicurezza Nazionale, la Polizia per l’immigrazione e l’Agenzia per i rifugiati hanno ancora una volta dimostrato il loro disprezzo per gli accordi internazionali, i diritti fondamentali, le normative europee e le convenzioni delle Nazioni Unite. Oltre a calpestare la mia dignità e la mia esistenza, hanno anche scelto di infliggermi questo trattamento arbitrario durante l’Eid al-Fitr – la festività più importante per i musulmani, un momento di gioia condivisa anche con amici non musulmani. Hanno distrutto la mia felicità e quella dei miei figli, aggravando la sofferenza psicologica continua e deliberata che subisco da oltre tre anni e mezzo (da ottobre 2021), proprio quando la mia liberazione avrebbe potuto fare la differenza.
Questo non è un caso isolato, ma fa parte di una strategia di pressione continua per spezzare la mia determinazione e costringermi a rinunciare alla mia richiesta di asilo. Oggi, 31 marzo, segna anche il primo anniversario dell’aggressione che ho subito per mano di alcuni agenti di polizia, che non solo non sono stati puniti, ma sono stati reintegrati nel loro incarico come se nulla fosse accaduto.
Non sono un criminale, non sono accusato di alcun reato, né ho subito condanne per cui dover chiedere grazia o perdono. Mi è stato negato qualsiasi accesso a una tutela legale effettiva e al diritto di contestare le decisioni di espulsione, con il pretesto incostituzionale che “le decisioni dell’Agenzia Statale per la Sicurezza Nazionale non sono soggette a controllo giudiziario”.
Questo schema di disprezzo per la magistratura e abuso di potere non rappresenta soltanto un pericolo per la mia vita, ma anche una minaccia alle libertà civili in generale, rafforzando un sistema di impunità in cui misure amministrative coercitive vengono applicate senza alcun bisogno di prove o motivazioni concrete.
Esorto la comunità internazionale, le organizzazioni per i diritti umani e i giornalisti a denunciare questa ingiustizia e a fare pressione sulle autorità bulgare affinché rispettino i loro obblighi legali. La mia vita e la mia libertà dipendono da questo.