Una critica all’ambiguità di Oz

Fa abbastanza strano leggere “Contro il fanatismo” di Amos Oz in questo periodo storico in cui sta avvenendo un fanatico genocidio della popolazione palestinese da parte dell’occupazione coloniale israeliana.

Fa ancora più strano leggere questo libro proprio perché l’autore è Amos Oz: colui che ha mantenuto sempre una posizione ambigua rispetto al sionismo, all’occupazione coloniale israeliana, ai diritti del popolo palestinese. Oz si è sempre dichiarato per la soluzione binazionale, senza mai criticare troppo il colonialismo israeliano se non nei metodi e senza mai opporsi alla costruzione del muro cisgiordano, ritenendo che il suo tracciato dovesse essere più o meno quello della “Linea Verde”, ovvero “il confine esistente prima del 1967”, che in realtà non è previsto nemmeno dalla Risoluzione 181 dell’ONU. Oz, quando voleva, criticava la sinistra sionista, alcune volte la elogiava, alcune volte criticava la sinistra antisionista, altre volte sosteneva guerre e altre volte i “cessate il fuoco”, per poi trovare una comfort-zone sulle posizioni del partito Meretz, uno strano miscuglio tra sionismo e ambientalismo.

Amos Oz, nel luglio 2006, ha sostenuto l’esercito israeliano durante la guerra con il Libano, scrivendo sul Los Angeles Times:

“Molte volte in passato il movimento israeliano per la pace ha criticato le operazioni militari di Israele. Non questa volta. Questa volta, la battaglia non è sull’espansione israeliana e la colonizzazione. Non c’è nessun territorio libanese occupato da Israele. Non ci sono rivendicazioni territoriali da nessuna delle due parti… Il movimento israeliano per la pace dovrebbe sostenere lo sforzo di Israele per l’auto-difesa, pura e semplice, fintanto che questa operazione ha come obiettivo soprattutto Hezbollah e risparmia, per quanto possibile, le vite dei civili libanesi”.

La Terza Lezione (terzo capitolo) si estende proprio sulla falsa riga di questa dichiarazione. Ognuno poi giudichi da sé, ma credo che queste non siano opinioni di un pacifista e nemmeno di un “anti-fanatico”. Possiamo affermare con certezza che spesso gli scrittori israeliani sono stati più un mezzo per mantenere l’opinione pubblica israeliana tra perbenismo e “indignazione”, piuttosto che un antidoto all’occupazione coloniale o alle politiche dei loro governi. Sicuramente Oz n’è un esempio.
Fa strano leggere un libro così radicale contro il “fanatismo” che ha sempre un aggettivo. È sempre il fanatismo di qualcun altro, soprattutto quando è “islamico” e mai prende di mira la cosa più fanatica: l’oppressione sistematica del colonialismo sionista. Nel leggere il libro si può intuire che, secondo Oz, è “fanatico” addirittura definire il colonialismo israeliano come “oppressione sistematica”.

Un libro abbastanza ebreo-centrico in quanto, a detta di Oz, tutto in Europa sembra avere un’origine ebraica quando sappiamo che non è così.

Nonostante sia un racconto sincero e non distorto – in quanto in alcune parti descrive ciò che lui ha vissuto in prima persona – “Contro il fanatismo” risulta essere un libro inconsapevolmente fanatico nei modi, nelle attitudini e nei dialoghi.

Ogni cosa sembra essere priva di autocritica: sia quando racconta con un’ingenuità di un bambino episodi della sua infanzia con una consapevolezza bassissima di quello che stava accadendo in Palestina all’epoca; sia quando si definisce “gerosolimitano”, proprio lui che era un certo europeo trapiantato in Medioriente; sia nell’esaltazione eurocentrica.

 

Un pregio, gli strumenti per analizzare e stralci di pensiero sul fanatismo

Come ogni libro che ha qualcosa da dire, ciò che risulta interessante non è solo quello che dice ma anche le riflessioni che è in grado di scaturire. “Contro il fanatismo” non lo definirei più “l’esempio più amplio dell’opportunismo e del doppio standard occidentale” come lo descrissi in un approfondimento su Invictapalestina. Lo definirei comunque un libro ambiguo e contraddittorio che nonostante tutto ci può dare molti spunti di riflessione sulle varie concretizzazioni del fanatismo oggi: operazione che si può fare, in questo caso, solo decontestualizzandolo dalla mano che lo ha scritto e dalla mente che lo ha pensato.
Il fanatismo è una conseguenza della nostra società dell’isteria, dell’ampliamento sensazionalistico di situazioni sia complicate sia che la mente tende ad ampliare.

Il fanatismo è l’anima di ogni assolutismo-preteso-tale che non lascia spazio al pluriversalismo. Il fanatismo è il motore reazionario tanto della rigidità inflessibile del senso comune quanto dei nazionalismi estremistici; tanto dei fondamentalismi religiosi quanto dei fondamentalismi di mercato e della finanza globalizzata; tanto nei luddisti quanto nei transumanisti della Silicon Valley; tanto della criminalità organizzata quanto nella criminalità istituzionale di Stato; tanto delle culture war quanto della normalizzazione di una violenza sistematica.

Il fanatismo non è solo una modalità d’espressione, è spesso una condizione che ci si ritrova a vivere senza accorgersene perché travolti da quel flusso normativo e di narrazione che ti stare dentro in un sistema senza riconoscerlo. Questa è la condizione dei palestinesi, che hanno normalizzato il conflitto che vivono, e degli israeliani che sono i privilegiati dell’occupazioni e dell’ideologia sioniste. Non parlerei di fanatismo in merito alla Resistenza palestinese perché il fanatismo di un’oppressione genera un’innaturale disperazione e naturale voglia di riscatto: è l’oppresso che grida perché non può fare altro.

 

Cosa è e non è il fanatismo. Il “compromesso” è sempre al ribasso

Sono d’accordo con Oz quando afferma che il fanatismo è “il gene del male”, ma credo che prima di definirlo tale si debba distinguere tra cosa è fanatismo e cosa non lo è, tra ciò che è fanatico e ciò che non lo è. Se non facciamo questi distinguo concettuali si rischia di entrare in una profonda ambiguità, come il pensiero di Oz a tal riguardo.

Se è vero che il fanatismo è “il gene del male” è anche vero che ribellarsi ad un sistema di oppressione e repressione (che per definizione è fanatico) non può essere considerato fanatismo. Secondo la logica di Oz sembra quasi che Gandhi sia stato un fanatico o che addirittura Mandela sia stato un fanatico; ma noi sappiamo che la storia è segnata di risposte rivoluzionarie proporzionate quantitativamente alla mole insostenibile dell’oppressione a cui hanno reagito. Quello, a mio parere è il tema della liberazione: il momento possibile per creare le condizioni per porre fine ai fanatismi in una società nuova basata su altre regole.

Il “rimanere nel limbo” di Amos Oz gli permette di uscire indenne, ma intriso nella paura di non-compromissione di non esporsi troppo “se non ne vale la pena” (dove “non valere la pena” significa “senza avere benefici”). Se il fanatismo è “il gene del male”, lo è ancor di più quando non si vede, quando non lo si vuole vedere omertosamente, o lo si minimizza.

Il fanatismo genera mentalità rigide che si notano dal loro carattere censorio: o estremamente esclusivo o estremamente inclusivo; o estremamente idealistico o estremamente pragmatico, o estremamente ateo o estremamente religioso. Il fanatismo è inevitabilmente conformismo e uniformità, eccessiva idealizzazione senza principio di realtà, il culto della personalità soprattutto quando non ha nemmeno i meriti affinchè venga sacralizzata. Il fanatismo è il bisogno di appartenere e il desiderio che tutti universalizzino e riconoscano canoni e norme che non sono mai state universali.

Non credo che il fanatismo sia una componente della natura umana, ma piuttosto un’emozione aizzata dal potere per far crescere nell’essere umano un’emozione forte, travolgente e incontrollabile. Oz analizza in parte questo tema, ma si dimentica il fanatismo che è in lui. Parla di “spettacolare vittoria di Israele nelle Guerra dei Sei Giorni” e di una non specificata “ideologia palestinese”, quando ad oggi sappiamo che c’è stata solo l’ideologia israeliana per eccellenza: il sionismo.

Ciò che invece risulta importante è quando parla di immedesimarsi “nei punti di vista del prossimo”: una cosa che le nostre classi dirigenti, i grandi partiti attuali e i media mainstream non guardano affatto.
In Oz il concetto di “compromesso” equivale a “vita”, mentre il “fanatismo” è uguale a “morte”. Il compromesso è visto come una soluzione al fanatismo, senza mai pensare che le cose più fanatiche – soprattutto nelle democrazie – sono state fatte grazie ai compromessi fatti che sono sempre stati sbilanciati. Spesso il compromesso si concretizza in una forma autoritaria che obbliga/induce – per una fantomatica “necessità” – coloro che discordano ad aderire a qualcosa che non vorrebbero: pensiamo alla logica del “voto utile” spacciata come salvifica dalle forze neoliberali, al centralismo democratico nel PCI, al personalismo su cui si sta costruendo la politica oggi, ai governi di larghe intese i cui programmi appaiono paritari e poi si sbilanciano in base ai rapporti di forza. Per non parlare della corsa al riarmo data dalla convinzione secondo cui è democratico armarsi.

Tutti i compromessi di cui si ha notizia sono tutti “compromessi al ribasso”. Per me tutto questo è fanatismo vestito di abiti falsamente democratici ma continua a seguire logiche devianti. Potremmo dire che in Oz, il compromesso è più “equidistanza”. Nulla è più fanatico dell’equidistanza, del falso interessamento vestito da indifferenza: un eterno limbo in cui sedersi e da cui sparare sentenze di genuinità.

Il compromesso è “doloroso” – come dice lo stesso Oz – poiché ti fa credere di vincere ma non si porta a casa mai nulla. Ciò che lascia l’amaro in bocca, nelle democrazie occidentali, è che nonostante persistano forme di fanatismo, viene considerato fanatico anche colui che spiattella la verità in faccia. Al posto di essere visto come qualcosa di positivo, continua ad essere percepito come “fanatico”, odioso e irritante proprio colui che denuncia le ingiustizie ed esercita il dissenso con cognizione di causa.

Ciò che emerge nella lettura di questo bellissimo e intrigante pamphlet è che è “fanatico” anche colui che ha ideali, valori, ha una visione di mondo. È fanatico anche colui che è “coerente”.
Secondo Oz è meglio l’immobilismo apolitico rispetto alle battaglie politiche, alle lotte per la liberazione, alle lotte per l’indipendenza, alle lotte per un mondo più giusto. Tutto perché, secondo lui quelli che si oppongono al fanatismo “sono convinti che la vita sia un fine e non un mezzo”.

Oz cita Kant, uno dei padri della morale anti-utilitarista per eccellenza, mentre conduce un discorso prettamente utilitaristico su moltissimi fronti. Oz confonde l’essere fanatico con l’avere dei valori, l’essere fanatico con l’avere ideali. Oz parla di una comfort-zone anti-fanatica che si concretizza nel non fare niente, lasciare tutto come è, navigare a vista o – nel peggiore dei casi – guardare gli altri che lottano per le miglior causa e poi giovarne tutti una volta conquistate. Oz parla di non-lotta e questo, secondo me, è un esempio di fanatismo del senso comune reazionario, di un certo moderatismo che nulla ha di pacifico: il moderatismo che proclama la sua indifferenza quando c’è da lottare e il moderatismo che, dopo le conquiste, fa di tutto per mettere le sue bandierine su quelle conquiste a cui non ha mai contribuito. Un po’ come la grande massa del moderatismo italiano con il 25 aprile dopo la liberazione dal fascismo: tutti si scoprirono antifascisti quando i partigiani furono purtroppo solo una “minoranza vittoriosa”.

 

“Asilo globale” e il fanatismo del superfluo
Nell’elencare le forme di fanatismo, Oz afferma che il XX secolo è stato generoso a darci delle dimostrazioni: regimi totalitari, ideologie mortifere, lo sciovinismo aggressivo, le forme violente di fondamentalismo religioso e l’idolatria universale per miti come “Madonna o Maradona”. L’apertura all’infantilizzazione di massa è forse uno degli aspetti peggiori della globalizzazione, secondo Oz. Come dargli torto. La perdita di convinzioni di base, la distruzione e l’erosione di molte certezze ha aperto la strada ideologicamente all’individualismo, all’edonismo, al consumismo, ovvero al superfluo.
Il fanatismo del superfluo oggi ci ha condotto a ricercare la felicità istantaneamente: non tanto il diritto di lottare per la felicità, ma piuttosto il vivere l’illusione di trovarla nei supermercati, nei negozi e nel consumo culturale. Il “fanatismo del superfluo” è la convinzione di “permettersi la felicità a colpi di portafoglio” o ancora peggio a desiderare il “mondo dei ricchi”.

 

Umorismo come antidoto al fanatismo

Alla fine della seconda lezione (secondo capitolo del libro) io credo ci sia il vero motivo per cui vale la pena leggere questo libro così controverso e così riflessivo.

Oz descrive un semplice antidoto al fanatismo, ovvero l’umorismo, il saper ridere di se stessi, il non prendersi sul serio o comunque smorzare la propria personalità seria con l’ironia in modo da non sembrare incrollabili.

Saper ridere, fare satira, avere ironia sono sempre stati elementi trasgressivi che hanno rotto il fanatismo dei severi moralismi religiosi e che oggi più che mai servono per liberare l’immaginario e la parola per rompere i binari imposti dal fanatismo neoliberale di certi soffocanti moralismi laici.