L’acqua è una risorsa indispensabile per la vita. Basta questa semplice considerazione per comprendere che non deve essere privatizzata, soprattutto perché sta già diventando un bene scarso in seguito ai cambiamenti climatici, che producono fenomeni estremi di siccità o scarse precipitazioni anche in Italia.

Sono urgenti azioni e interventi di prevenzione e adattamento, oltre che mitigazione, alla quale sembra che il mondo voglia rinunciare, perché significa uscire dalle fonti di energia fossile.

Corrado Oddi, del Coordinamento nazionale del Forum Italiano Movimenti per l’Acqua, ci aiuta con questa intervista a fare il punto della situazione attuale.

Perché l’acqua e la sua gestione devono essere pubbliche?

Ci sono almeno tre ragioni di fondo per sostenere che l’acqua e la sua gestione devono essere pubbliche.

La prima ragione è un ragionamento di principio, un elemento di fondo: l’acqua è una risorsa essenziale per la vita, pertanto si definisce come bene comune fondamentale, anzi paradigma di tutti i beni comuni; in quanto tale, non può essere assoggettato alla proprietà privata e alle logiche di mercato e profitto.

A maggior ragione, nel momento in cui il cambiamento climatico la rende una risorsa scarsa, dunque potenzialmente portatrice di conflitti, anche di guerre, sia a livello internazionale che tra gli Stati e i soggetti utilizzatori.

La seconda ragione è che, dove si procede alla privatizzazione del servizio idrico, emergono tutte le contraddizioni e le forti conseguenze negative di questa scelta sia per le persone, sia per la preservazione della risorsa.

In particolare si verificano:

  • Forti aumenti delle tariffe. Solo per dare un dato sintetico, dal 2011 al 2023 le tariffe sono aumentate di più del 75%, tre volte di più dell’inflazione che, nello stesso periodo, è stata di circa il 25%. Ormai il peso delle tariffe sui redditi familiari inizia a diventare molto significativo: secondo un’indagine di Cittadinanzattiva, nel 2023 una famiglia media ha speso 478 €. Ovviamente l’aumento delle tariffe è stato più alto dove sono andate avanti le privatizzazioni. Infatti nei 10 Comuni capoluogo di provincia con le bollette più alte ci sono gestioni di Società per azioni con partecipazioni miste pubblico-private, ma con un ruolo determinante del soggetto privato.
  • Una particolare tendenza all’aumento del consumo della risorsa, visto che per le aziende di natura privatistica “vendere” più acqua significa avere maggiori profitti
  • Investimenti insufficienti, in particolare per quanto riguarda l’ammodernamento e la ristrutturazione delle reti idriche. Le perdite della rete idrica continuano a essere vicine al 40% dell’acqua immessa e le condotte risultano molto vetuste, visto che il 35% ha un’età compresa tra i 31 e i 50 anni e il 22% supera i 50 anni. Questo dato, molto negativo, si spiega con il fatto che le reti sono di proprietà dei Comuni, mentre i soggetti gestori le hanno semplicemente in concessione, per cui questi ultimi non hanno nessun interesse ad investire nel loro miglioramento.
  • Diminuzione dell’occupazione: anche qui per ottenere maggiori profitti si considera il lavoro come un costo da diminuire quanto più possibile.

Va sottolineato inoltre che i principali artefici delle privatizzazioni sono 4 grandi multiutility di proprietà mista pubblico-privata, quotate in Borsa: IREN, A2A, HERA e ACEA.

Esse sono mosse da una logica molto chiara, che è quella di produrre profitti e distribuire dividendi ai soci, secondo l’idea di “creare valore per gli azionisti”, anziché fornire un servizio pubblico efficace per la cittadinanza. “Creare valore per gli azionisti” diventa una priorità che annichilisce gli interessi degli utenti.

La terza ragione è che si sono tenuti nel 2011 i referendum sull’acqua pubblica, con un pronunciamento chiarissimo: la maggioranza assoluta dei cittadini italiani si è espressa a favore della ripubblicizzazione del servizio idrico (e anche degli altri servizi pubblici locali), in considerazione del fatto che si è superato il

quorum dei votanti ( 54% degli aventi diritto) e più del 90% ha votato per abrogare l’obbligo alla privatizzazione e il riconoscimento del profitto garantito dalle bollette. Si tratta, dunque, anche di una grande questione democratica, e cioè del rispetto della volontà popolare, che invece in tutti questi anni è stata sempre contraddetta e aggirata.

Come si sta muovendo il Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel portare avanti i propri obiettivi?

La premessa di fondo è che, sin dall’indomani del pronunciamento referendario, tutti i governi, nessuno escluso, in sintonia con le grandi multiutility, si sono adoperati per non metterne in pratica il suo esito, anzi l’hanno platealmente ignorato. Da ultimo il governo Draghi, che ha deciso di eliminare la possibilità di gestire il servizio idrico tramite Aziende speciali, soggetti di diritto pubblico, elemento che aveva rappresentato uno dei punti più rilevanti del risultato che proveniva dai referendum.

Lo stesso governo Meloni ha tentato, per fortuna finora senza riuscirci, anche per la nostra opposizione, di far entrare i soggetti privati all’interno delle SpA a totale capitale pubblico.

A fronte di queste scelte scellerate di continua spinta alle privatizzazioni, che il pronunciamento referendario ha di certo rallentato, ma non fermato, l’iniziativa del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua si è già rivelata molto importante e sta continuando ad andare avanti. In primo luogo, battendosi nei territori per realizzare la ripubblicizzazione del servizio idrico, contrastare il cambiamento climatico e la siccità, preservare e tutelare la risorsa rispetto ai rischi di inquinamento e peggioramento della sua qualità.

Insomma, con la mobilitazione pacifica e determinata,  e con le proposte, come abbiamo sempre fatto, continua il nostro impegno per affermare l’acqua come bene comune e sottrarla alle logiche del mercato e del profitto.

https://www.acquabenecomune.org