E’ iniziato ieri ad Ancona il processo “Oro Nero”, che vede sul banco degli imputati i vertici della Raffineria Api di Falconara,  nonché i tecnici dell’impianto con l’accusa di disastro ambientale. Il caso specifico si riferisce all’incidente avvenuto nell’aprile del 2018, quando un problema al serbatoio TK61, cioè l’inclinazione del tetto galleggiante, provocò la fuoriuscita di idrocarburi con le relative esalazioni che si propagarono in tutto il territorio circostante. 

Ma come abbiamo più volte denunciato tutta la storia di questo mega impianto, uno dei più pericolosi presenti in Italia, è caratterizzata da eventi di questo tipo,  che mettono continuamente a repentaglio la salute e la vita di chi abita a Falconara e nelle località di tutta la zona. 

L’ultimo grave episodio si è verificato venerdì 28 marzo alle 22.30, quando la perdita di gasolio da un serbatoio ha provocato un incendio le cui fiamme, visibili anche da decine di chilometri di distanza,  si sono innalzate al cielo e hanno tenuto la popolazione falconarese e non solo con il fiato sospeso per circa mezz’ora, quando sono state finalmente domate.

In concomitanza con la prima udienza nel pomeriggio più di duecento persone si sono riunite nella centrale Piazza Roma di Ancona,  per ribadire ancora una volta la necessità, come hanno sottolineato gli attivisti del movimento “Fermiamo il disastro ambientale”, della  “progressiva dismissione degli impianti della raffineria Api con un piano di bonifiche pubbliche, che preveda il concorso del privato secondo il principio “chi inquina paga”, che tutelino il lavoro e risarciscano la cittadinanza, per evitare l’ennesima cattedrale nel deserto”. Ma questo è un obiettivo di medio termine; nell’immediato “dato che la raffineria non è in grado di limitare il danno permanente inflitto, urge la sospensione temporanea delle sue attività, che reclamiamo nella responsabilizzazione di tutti gli organi competenti e implicati, dalla magistratura attraverso il sequestro degli impianti senza facoltà d’uso, all’amministrazione comunale con un’ordinanza per limitazione e tutela del rischio sanitario, alla Regione Marche e i ministeri competenti attraverso la sospensione dell’Autorizzazione integrata ambientale”. 

In piazza erano presenti anche delegazioni di altri movimenti del territorio, come il  “Comitato No Edison di Jesi”, che da mesi si batte per impedire la realizzazione di un grande impianto di rifiuti e il Comitato che ad Ancona è in lotta da tempo contro il progetto della costruzione di una grande banchina nel porto, per consentire l’attracco della grandi navi da crociera, con le relative conseguenze che ciò comporterebbe. 

Un’altra mobilitazione da segnalare è quella in corso a Pesaro, dove si vuole dare vita ad un grande impianto di liquefazione di gas in una zona alluvionale, ad alto rischio sismico, con un territorio sabbioso e a poche decine di metri dalle abitazioni. 

Tutti progetti e insediamenti figli di una logica perversa, che in nome del profitto se ne infischia di chi vive nei territori, umani e non umani, e grazie ad una classe politica complice continua a massacrare l’ambiente. 

Per fortuna c’è chi non abbassa la testa e si organizza, nella consapevolezza che solo la mobilitazione dal basso può fermare il disastro ambientale.