a. Secondo quanto comunicato dall’agenzia NOVA, l’Agenzia di sicurezza interna della Libia (Asi), legata alle autoproclamate Forze armate arabe libiche (Faal), una entità militare operante nell’est e nel sud del paese, guidata adesso da Ousama Al-Dressi ed in passato da Saddam Haftar, figlio del generale Khalifa Haftar, storicamente vicino alla Russia, ma riconosciuta con la stessa denominazione anche dal governo di Tripoli, ha annunciato la “sospensione” delle attività di dieci organizzazioni non governative internazionali, tra cui anche diverse ONG italiane, e dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). L’Asi accusa queste entità di “attività ostili” volte a minare la sovranità dello Stato libico, alterarne l’equilibrio demografico e favorire il radicamento dei migranti irregolari nel Paese.
Le organizzazioni sotto attaco sono International Rescue Committee, Norwegian Refugee Council, Terre des Hommes Italia, International Medical Corps, Danish Refugee Council, Médecins Sans Frontières, CARE Germania-Lussemburgo, Intersos, Acted e Cesvi, oltre all’Unhcr. Le accuse variano dal “favoreggiamento del cambiamento demografico” al presunto “incoraggiamento di valori contrari all’identità libica, come il cristianesimo, l’ateismo, la promozione dell’omosessualità e della decadenza morale”. Secondo l’Asi, “La cooperazione tra l’Unhcr e l’Irc si è concretizzata in una rete parallela di assistenza medica ai migranti irregolari, alimentando nei fatti un modello di insediamento strutturato e duraturo di queste popolazioni sul territorio libico, ciò rappresenta una grave violazione della sovranità libica e del principio di non ingerenza sancito dal diritto internazionale”.
Come riporta l’agenzia NOVA l’Agenzia per la sicurezza libica ha evocato come monito le recenti tensioni sociali verificatesi in Tunisia tra cittadini locali e gruppi di migranti africani, sottolineando come “una simile dinamica, se replicata in Libia, potrebbe avere conseguenze drammatiche, in un contesto già segnato dalla diffusione delle armi”. Come aggiunge la stessa agenzia, “Il Consiglio libico nazionale di sicurezza ha recentemente definito la presenza crescente di migranti “una minaccia strategica”, associando l’immigrazione irregolare a rischi per la stabilità economica e sanitaria, oltre che per la coesione sociale. Il tema è stato oggetto anche di numerose discussioni nei colloqui tra Tripoli e le capitali europee”.
Per l’Asi, le organizzazioni in questione “sarebbero state strumentalizzate da potenze esterne per influenzare le dinamiche interne della Libia, aggirando i canali istituzionali locali e facendo leva sul linguaggio dei diritti umani per legittimare l’ingerenza”. L’Asi conclude affermando il proprio impegno nel “difendere la sovranità e l’identità del Paese da ogni progetto straniero che miri a modificare l’equilibrio sociale e demografico della Libia”, e promette di “continuare a contrastare con fermezza ogni attività condotta da entità esterne senza la piena autorizzazione delle autorità libiche”.
Il portavoce del Servizio di sicurezza interna, Salem Ghaith, ha affermato che “Le operazioni ostili prendono di mira l’entità statale e la sicurezza interna, e le sedi centrali di alcune di queste organizzazioni sono state chiuse dopo che sono state scoperte le loro attività sospette”. In particolare, l’Internal Security Service ha pubblicato una dichiarazione su una pagina Facebook in merito a quelli che ha definito “crimini e atti che minacciano la sicurezza dello Stato e sono sostenuti da attività di intelligence ostili e dalle loro armi rappresentate da alcune organizzazioni non governative, che pianificano di diffondere l’ateismo, il cristianesimo, l’omosessualità, la decadenza morale e l’insediamento”. In particolare riguardo l’”International Relief Organization” le informazioni di follow-up avrebbero confermato il coinvolgimento di questa organizzazione non governativa internazionale in “attività ostili volte a insediare immigrati clandestini”. Si aggiunge che “l’organizzazione francese Medici Senza Frontiere ha formato i medici libici sull’aborto sicuro, che viola la legge islamica, senza che le autorità competenti ne fossero a conoscenza”.
La dichiarazione dell”Internal Security Service” prosegue: “Oltre a quanto sopra, sono state chiuse le seguenti organizzazioni non governative internazionali: l’International Medical Corps, il Consiglio danese, Medici senza frontiere, la tedesca CARE, l’italiana InterSOS, l’italiana ACTED e l’italiana CEVI”, per il loro coinvolgimento nelle stesse attività ostili e crimini. Si aggiunge che “il progetto di insediare immigrati clandestini di nazionalità africana all’interno del paese rappresenta un’attività ostile che prende di mira la demografia libica e crea una società ibrida i cui segmenti sono incompatibili dal punto di vista religioso, morale e sociale. Il risultato inevitabile è una mancanza di omogeneità e le crisi risultanti con conseguenze disastrose. Il miglior esempio di ciò è quanto accaduto nella sorella Repubblica di Tunisia, con gli scontri e la violenza tra cittadini tunisini e immigrati clandestini di nazionalità africana”.
b. Sono sempre più numerose le prove di un vero e proprio commercio di esseri umani tra le autorità tunisine e quelle libiche, mentre le indagini della Corte Penale internazionale, malgrado i tentativi di delegittimazione da parte dei governi europei, e del governo italiano in particolare, stanno proseguendo, non solo sui miliziani torturatori come Almasri che operano in Tripolitania, ma anche nei confronti di comandanti militari che controllano la Cirenaica ed il Fezzan. E potrebbero svelare la rete di complicità inconfessabili tra attori istituzionali, milizie armate e bande criminali che detengono i migranti in veri e propri campi lager, siano essi governativi o “informali”, ad est ed a ovest del paese, nei quali vengono fatti confluire gli sfortunati migranti intercettati in mare dalle sedicenti guardie costiere libiche, a vario titolo finanziate ed assistite dall’Italia e dall’agenzia Frontex per la sorveglianza delle frontiere esterne dell’Unione europea.
E’ tempo di sospendere il Memorandum d’intesa tra Italia ed Libia, firmato nel 2017 da Gentiloni, e di denunciare la incostituzionalità del decreto Piantedosi del 2023 ( legge n.15/2023), nella parte in cui si prevede che le autorità libiche possono denunciare alle autorità italiane il comportamento delle navi del soccorso civile che non si piegano agli ordini di “rendition” (riconsegna) dei naufraghi soccorsi in acque internazionali alle autorità libiche, e fanno rotta verso un porto sicuro di sbarco in Italia. La sospensione imposta in Libia alle attività di assistenza ai migranti in transito in quel paese operate da UNHCR e ONG impone anche di riconsiderare la legittimità internazionale della zona SAR libica che nella sua attuale configurazione, come impropriamente riconosciuta dall’IMO (Organizzazione marittima internazionale), demanda le attività SAR (di ricerca e salvataggio) ad autorità marittime come quelle “libiche” che non possono garantire una centrale di comando unificato, soccorsi tempestivi e sbarco in porti sicuri, nei quali i diritti ed i corpi dei naufraghi riportati a terra non siano esposti ad ogni sorta di abusi. Abusi che sono documentati proprio nei Rapporti internazionali, formati con le testimonianze dei migranti assistiti dalle organizzazioni che oggi sono state sospese in Libia. Mentre prosegue la collaborazione tra autorità italiane e entità dlla sicurezza libica, sospettate di arresti arbitrari e deportazioni forzate, come si è verificato a partire dal caso Hirsi del 2009 ad oggi, senza soluzione di continuità.
Secondo la sentenza del Tribunale di Crotone, del 26 giugno 2024, nonostante il Memorandum d’intesa firmato tra Italia e Libia nel 2017, “allo stato attuale non è possibile considerare la Libia un posto sicuro ai sensi della Convenzione di Amburgo, essendo il contesto libico caratterizzato da violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani e non essendo stata mai ratificata la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati da parte della Libia”.
Diventa per questo ancora più grave, e penalmente rilevante, le responsabilità delle autorità europee ed italiane che prestano una collaborazione continuativa con libici e tunisini, una estesa “cooperazione operativa” che rende possibili e impuniti intercettazioni in mare, sequestri e respingimenti collettivi a terra, torture di ogni genere a scopo di estorsione nei campi di detenzione. Come potrà emergere presto nel procedimento che, oltre Almasri, coinvolge altri esponenti delle forze di sicurezza libiche, se non si riuscirà a bloccare l’attività della Corte Penale internazionale, delegittimando i giudici dell’Aja e facendo scomparire i testimoni d’accusa. Le indagini in corso al Tribunale dei ministri sul caso Almasri saranno una verifica dello Stato di diritto, e dunque dell’indipendenza della magistratura e del rispetto della legalità internazionale nel nostro paese. Non si potranno certo ignorare le gravissime violazioni dei diritti umani in Libia, per responsabilità delle milizie e dei trafficanti, ma anche degli attori statali europei che alimentano quella che nella stessa Libia (ed in Tunisia) è diventata una vera e propria “caccia al migrante”.