La recente nota dell’ISTAT sui prezzi al consumo ci informa che “secondo le stime preliminari, nel mese di marzo 2025 l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività (NIC), al lordo dei tabacchi, aumenta dello 0,4% su base mensile e del 2,0% su marzo 2024, dal +1,6% del mese precedente” ( https://www.ripartelitalia.it/wp-content/uploads/2025/03/CS_Prezzi-al-consumo_Prov_Marzo2025.pdf).

Un’inflazione che continua ad erodere i salari, che – come certificato dall’Eurostat – spinge tanti verso un secondo lavoro (a fine 2024 erano poco più di 166mila, senza però considerare la grande penetrazione del lavoro sommerso: https://ec.europa.eu/eurostat/databrowser/view/lfsq_e2gis/default/map?lang=en) e che sempre più spesso sta alla base della necessità di cambiare lavoro per cercare migliori condizioni salariali.

Un caso emblematico, in questo senso, riguarda i Comuni: nel 2023 – stando ai dati del Rapporto IFEL – ben 16mila dipendenti dei Comuni si sono dimessi, contro gli 11mila del 2017, con un aumento del 45,5% in 6 anni, sostanzialmente a causa di stipendi troppo bassi. Infatti, nei Comuni le retribuzioni sono inspiegabilmente inferiori del 15,3% rispetto alle Regioni, del 19,6% rispetto ai ministeri e del 23,2% rispetto alle agenzie fiscali. E salari bassi sono spesso anche alla base di una nuova emigrazione di italiani, che – come evidenzia la Fondazione Nord Est – non è dissimile per dimensioni a quelle del passato: in 13 anni, dal 2011 al 2023, sono 550 mila i giovani italiani di 18-34 anni emigrati all’estero. Giovani espatriati che ritengono che “i salari non sono sufficienti rispetto al costo della vita o coerenti con il lavoro svolto”: https://www.fnordest.it/gate/contents/documento?openform&id=6E71F68AAA80B472C1258BC0002A3794.

Le questioni salariali sono fondamentali per la riduzione delle disuguaglianze e per la realizzazione della giustizia sociale. E la riduzione delle disuguaglianze e della povertà lavorativa sono un traguardo fondamentale per la realizzazione della giustizia sociale. In Italia i salari reali sono diminuiti nel 2022 e 2023, confermando una dinamica salariale negativa nel lungo periodo, con salari reali inferiori a quelli del 2008. L’analisi delle tendenze salariali in un arco temporale di 17 anni evidenzia come l’Italia abbia subito le perdite maggiori in termini assoluti di potere d’acquisto dei salari a partire dal 2008.

E’ quanto certifica il recente Rapporto mondiale sui salari 2024-2025 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro-ILO. Tra i paesi a economia avanzata del G20, le perdite di salario reale sono state dell’8,7% in Italia, del 6,3% in Giappone, del 4,5% in Spagna e del 2,5% nel Regno Unito. In Italia, la perdita è stata particolarmente significativa a seguito della crisi finanziaria mondiale (periodo 2009–12). Per contro, la Repubblica di Corea si distingue per aver registrato un aumento salariale complessivo del 20 per cento tra il 2008 e il 2024.

E le misure di adeguamento salariale degli ultimi due anni non sono state sufficienti a compensare l’aumento del costo della vita. “Nel caso dell’Italia, dove non esiste un salario minimo legale, i salari – si legge nel Rapporto – vengono fissati attraverso la contrattazione collettiva. I contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) che scaturiscono dai negoziati e dagli accordi tra le organizzazioni datoriali e i sindacati definiscono dei minimi di salario (i c.d. minimi tabellari) per ciascun settore, professione e livello di inquadramento, coprendo la maggior parte dei lavoratori dipendenti e garantendo un livello minimo di retribuzione in base alla categoria lavorativa e all’anzianità di servizio. Le retribuzioni contrattuali orarie nominali calcolate su una media dei CCNL sono aumentate del 15 per cento negli ultimi 10 anni. In termini reali, le retribuzioni hanno tuttavia subito una perdita di oltre 5 punti percentuali e prodotto un calo del potere d’acquisto dei lavoratori. L’impatto della crisi del costo della vita è particolarmente evidente. I salari reali sono rimasti relativamente stabili per poi diminuire rapidamente a partire dalla metà del 2021. Questa decrescita è proseguita fino alle fine del 2022, dopodiché i salari reali hanno ripreso a crescere, pur restando al di sotto dei livelli dell’inizio del 2015.”

Il calo significativo dei salari reali e la concentrazione dei lavoratori con bassi salari in famiglie a basso reddito — maggiormente esposte a un’inflazione superiore a quella registrata dall’indice dei prezzi al consumo (IPC generale) — indicano come in Italia i lavoratori a basso reddito abbiano subito una perdita significativa in termini di salari reali tra la metà del 2021 e il 2022. E quasi il 52% dei lavoratori italiani con bassi salari sono donne. Quanto ai lavoratori migranti, in Italia percepiscono un salario orario inferiore del 26,3% rispetto a quello dei lavoratori nazionali. Un divario che è superiore alla media dei paesi europei ed è aumentato rispetto al tasso del 21,6% del 2006. Per le lavoratrici migranti, la differenza è addirittura ancora più importante in quanto il divario salariale generale si cumula con quello di genere (il divario tra i salari delle lavoratrici migranti rispetto a quelli dei lavoratori migranti). Quest’ultimo si attesta al 10,3% se misurato con il salario orario mediano e al 22% se calcolato attraverso il raffronto dei salari mensili.

Il Rapporto sottolinea la necessità che misure destinate a ridurre le disuguaglianze puntino a rafforzare le politiche salariali e le istituzioni deputate a governare queste politiche, oltre a prendere di petto le cause profonde all’origine dei bassi salari. Allo stesso tempo appare indispensabile promuovere l’uguaglianza e le pari opportunità in materia di trattamento salariale con politiche a sostengo dell’uguaglianza, dell’equità e della non discriminazione di genere e di gruppi diversi di lavoratrici e lavoratori (disuguaglianze orizzontali). “Le disuguaglianze di genere, si legge nelle conclusioni del Rapporto, sono spesso radicate negli stereotipi legati al ruolo delle donne nella società e nel lavoro.

Da qui la necessità di: promuovere pari opportunità e parità di trattamento, inclusa la parità retribuzione per lavoro di egual valore; favorire una condivisione più equilibrata delle responsabilità familiari; promuovere investimenti nell’economia della cura. Infine, particolari dinamiche di disuguaglianza sorgono quando le persone appartengono a più gruppi (ad esempio, donne che sono anche lavoratrici migranti). Questa intersezionalità richiede degli interventi mirati per l’eliminazione degli svantaggi cumulati da lavoratrici e lavoratori.”

Qui il Rapporto mondiale sui salari 2024-2025 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro-ILO: https://www.ilo.org/sites/default/files/2025-03/rapporto_mondiale_sui_salari_2024_nota_italia_3.pdf.