Secondo la normativa europea (Decisione Ce 573/2004), come ribadisce il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa, ed anche come rilevato in più occasioni dal Garante nazionale per i detenuti, nei trasferimenti di persone private della libertà personale in vista del rimpatrio, la coercizione può essere esercitata nei confronti dei rimpatriandi, che rifiutano o si oppongono all’allontanamento, entro limiti precisi. Secondo le linee guida di Frontex il rischio di fuga non può essere meramente “ipotetico”, ma “serio ed immediato”. In diverse occasioni è stato criticato il ricorso all’uso generalizzato e prolungato delle fascette ai polsi, modalità di contenzione che attentano alla dignità della persona e possono tradursi in trattamenti inumani o degradanti. L’imposizione di fascette ai polsi accresce e non diminuisce il rischio di atti di autolesionismo.

Tutte le misure coercitive devono essere proporzionate e non eccedere un uso ragionevole della forza. Le stesse misure devono essere applicate sulla base di una valutazione individuale e solo quando necessario, non per tutto il tempo del trasferimento. Queste regole, tuttavia, sono violate in modo eclatante con i trasferimenti forzati in Albania, “in maniera sistematica, senza valutazione della necessità e proporzionalità della misura”, come verificato anche in passato, dalla ricerca Rimpatri forzati e pratiche di monitoraggio, pubblicata dal Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari assieme all’Ufficio del Garante delle persone sottoposte a limitazioni della libertà personale della Puglia.

Il vero motivo delle fascette ai polsi dei migranti “espellendi” trasferiti l’altro ieri dai CPR italiani, e quindi dal CPR di Brindisi (Restinco) in Albania lo ha fornito il ministro dell’interno Piantedosi, rispondendo alla domanda di un giornalista nella conferenza stampa a margine del Vertice dei ministri dell’interno MED 5, di Italia, Malta, Spagna, Grecia e Cipro, concluso ieri a Napoli. Il titolare del Viminale ha affermato che si tratta di individui considerati pericolosi. “Delle 40 persone trasportate in Albania, ci sono ben cinque casi di condanne per violenza sessuale, un caso di tentato omicidio, avevano precedenti condanne per armi, reati contro la proprietà, furto, resistenza a pubblico ufficiale, lesioni personali”, ha detto Piantedosi, aggiungendo che “C’è un ampio campionario di precedenti, che ci permette di identificare la caratterizzazione delle persone giudicate pericolose e, come tali, soggette a detenzione, come previsto dalla nostra legge”.

Se le persone trasferite in Albania fossero davvero responsabili di reati tanto gravi, o presentassero profili di pericolosità tanto elevati, avrebbero dovuto essere ristretti in un istituto di pena, perché il trattenimento amministrativo è finalizzato all’allontanamento forzato dal territorio, non alla sanzione o all’isolamento di soggetti pregiudicati o particolarmente pericolosi. Per non parlare della funzione rieducativa della pena, principio costituzionale (art.27) che ormai, non solo per gli stranieri, è stato ridotto a carta straccia.

 

2. […] La  Corte Costituzionale con sentenza n. 78/2007 ha affermato che “in realtà è proprio la condizione di persona  soggetta all’esecuzione della pena che abilita ex lege – ed anzi costringe – lo straniero a permanere nel territorio dello Stato; e ciò, tanto se l’esecuzione abbia luogo nella forma intramuraria, quanto se abbia luogo, invece – a seguito della eventuale concessione di misure alternative – in forma extramuraria. In altre parole, nel momento stesso in cui prevede che l’esecuzione della pena “prevalga”, sospendendone l’attuazione, sulla espulsione cui il condannato extracomunitario sarebbe soggetto, il legislatore adotta una soluzione che implica l’accettazione della perdurante presenza dello straniero nel territorio nazionale durante il tempo di espiazione della pena stessa”.

La pericolosità sociale degli immigrati sottoposti alla procedura di allontanamento forzato dal territorio dello Stato non può essere rimessa ad una mera valutazione discrezionale dell’autorità di polizia, o dei vertici del Viminale, che dispongono in base a questo criterio il trasferimento da un centro di detenzione amministrativa ad un altro, ma deve essere oggetto di un provvedimento individuale e motivato che consenta all’interessato l’esercizio dei diritti di difesa e di ricorso giurisdizionale. La valutazione di pericolosità sociale non può essere desunta esclusivamente da una sentenza di condanna, ad esempio se nei confronti di quello stesso detenuto il magistrato di sorveglianza, in prossimità del fine pena, abbia dichiarato cessata la pericolosità sociale.

 

3. Le dichiarazioni del ministro Piantedosi sulla “pericolosità” degli immigrati trasferiti nel CPR di Gjader in Albania sono di una gravità senza precedenti, perché l’accertamento della pericolosità e di eventuali condanne penali, non si conosce quali e se già definitive, non costituisce automaticamente presupposto legale per il trattenimento in un centro di detenzione per i rimpatri, e tantomeno giustifica trasferimenti che dovrebbero essere adottati in vista dell’effettivo rimpatrio, e non in base ad una presunta pericolosità delle persone destinatarie di provvedimenti di allontanamento forzato.

In base all’art.19 del T.U 286/98., uno straniero irregolarmente soggiornante è inespellibile nel caso in cui corra il rischio di subire persecuzioni, trattamenti disumani o degradanti, nel proprio paese di origine, o nel paese in cui dovrebbe essere inviato a seguito del provvedimento di espulsioneInoltre anche una persona che abbia ricevuto una condanna penale non perde il diritto a chiedere asilo, e comunque non può essere soggetto a prassi di contenzione sproporzionate, come il ricorso prolungato alle fascette ai polsi, a condizioni di trattenimento amministrativo discriminatorie, o a misure di sicurezza che non siano ricorribili davanti all’autorità giudiziaria. Secondo l’art.2 del Testo Unico in materia di immigrazione n.286/98, “ Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti.” Norma che vale anche nel caso di persone con precedenti penali o ritenute “socialmente pericolose”. […]

4.[…] Lo straniero trattenuto nei CPR può rivolgere istanze o reclami orali o scritti, anche in busta chiusa, al Garante nazionale e ai garanti regionali o locali dei diritti delle persone private della libertà personale. Come sarà assicurata questa modalità di reclamo alle persone trasferite nel CPR di Gjader in Albania che, per quanto risulta allo stato attuale, sono state anche private del diritto di corrispondenza telefonica con l’esterno, garantita dalla legge? E come saranno mantenuti i contatti con i difensori in Italia, anche alla luce dei ridotti margini dei diritti di difesa nelle procedure di convalida per via telematica? […]

5. In ogni caso la Corte di Giustizia dell’Unione europea potrebbe essere chiamata a pronunciarsi sulla mancata applicazione, nell’ordinamento italiano, di una importante previsione (art.15) contenuta nella Direttiva rimpatri (2008/115/CE) tuttora vigente, secondo cui dovrebbe essere garantito il riesame della misura di trattenimento amministrativo ad istanza di parte, disposizione che, anche in assenza di una specifica previsione nell’ordinamento nazionale, potrebbe peraltro risultare direttamente applicabile perché è sufficientemente chiara e precisa. La stessa Direttiva (art.15.4) precisa tra l’altro che “Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”. Altra norma del diritto dell’Unione europea che non è stata trasposta nell’ordinamento italiano, ma che risulta tanto chiara e precisa che potrebbe anche essere oggetto di applicazione diretta.

L’intero impianto della Direttiva 2008/115/Ce contiene norme che possono essere applicate soltanto a persone che si trovano in territorio di uno dei paesi membri o che vengono accompagnati da questi paesi negli Stati di origine. Ma non fornisce alcuna base legale al trasferimento forzato dei migranti dai CPR italiani in Albania, atteso che si tratta di misure coercitive destinate all’attuazione di provvedimenti di rimpatrio, che possono essere effettivamente eseguiti soltanto dal territorio italiano. Si può dunque concludere che la detenzione amministrativa nel centro per i rimpatri di Gjader non è finalizzata all’esecuzione dell’ accompagnamento forzato nel paese di origine, che comunque dovrà avvenire con partenza dal territorio italiano, ma ad una mera esigenza punitiva di dissuasione dell’ingresso e del soggiorno irregolare, e forse al decongestionamento dei centri di detenzione italiani. Che comunque, nel momento attuale, non sono certo “congestionati”, pur tenendo conto della parziale indisponibilità di alcune strutture per lavori di manutenzione straordinaria e dei continui rinvii dei piani governativi per l’apertura di nuovi CPR in territorio italiano.

 

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