Entro il 2040, la città di New York e Long Island potrebbero perdere oltre 80.000 abitazioni a causa delle inondazioni, secondo quanto riporta Averting Crisis, un nuovo rapporto pubblicato lunedì dall’organizzazione no-profit Regional Plan Association (RPA).
Di Cristen Hemingway Jaynes
Il rapporto afferma che in ogni distretto di New York City è probabile che alcune aree diventino impossibili da sviluppare, contribuendo alla carenza di alloggi nella zona, che potrebbe arrivare a 1,2 milioni di unità abitative.
«La comunità sta affrontando una grave crisi abitativa in tutto il paese, caratterizzata da costi in aumento, abitazioni limitate e un settore edilizio stagnante. Questa crisi è in gran parte alimentata da regolamenti urbanistici restrittivi che impongono onerosi requisiti procedurali, vietano l’edilizia multi familiare e creano numerosi ostacoli tecnici», si legge nel rapporto.
«Purtroppo, i rischi climatici — in particolare le inondazioni — continueranno ad aggravare la situazione immobiliare. Il crescente pericolo di inondazioni legate al cambiamento climatico mette a rischio sia le abitazioni esistenti sia quelle future situate nelle zone esposte ad alluvioni.»
Negli ultimi decenni, l’area di New York City ha registrato una carenza di abitazioni, contribuendo all’aumento degli affitti e dei prezzi delle case, come riportato dal New York Times. Allo stesso tempo, la città fatica a far fronte all’aumento delle inondazioni e degli eventi meteorologici estremi causati dal riscaldamento globale.
«Prima decideremo, come città, di investire in misure di resilienza per aiutare i quartieri ad adattarsi — sia che si tratti di fortificarli o di trasferirli — e prima eviteremo di lasciare una crisi ancora più grande alla prossima generazione», ha dichiarato Amy Chester, direttrice esecutiva della no-profit Rebuild by Design, come riportato dal New York Times.
Nell’area metropolitana che comprende New York, il Connecticut e il New Jersey, quasi un milione di edifici multi familiari e abitazioni varie presentano un alto rischio di inondazione, secondo il rapporto.
Entro il 2050, si prevede che il numero di alloggi a rischio a prezzi accessibili nelle zone costiere triplicherà. Con l’aumento continuo delle emissioni di gas serra, gli eventi meteorologici estremi — aggravati dall’innalzamento del livello del mare — diventeranno sempre più frequenti, intensi e distruttivi.
«Nel tempo, la pianificazione urbanistica è stata attuata in modo da favorire l’espansione urbana dispersiva, limitando lo sviluppo compatto. Di conseguenza, la nostra attuale normativa urbanistica aggrava sia la crisi abitativa sia quella climatica. Le stesse regole urbanistiche che ostacolano lo sviluppo di abitazioni compatte stanno esponendo i residenti a rischi climatici sempre più frequenti e gravi», si legge nel rapporto.
Nel documento, la Regional Plan Association ha fornito spunti per una riforma del sistema di destinazione urbanistica e indicazioni su politiche necessarie per affrontare congiuntamente le esigenze di adattamento climatico e quelle abitative dell’area di studio, che includeva New York City e le zone suburbane delle contee di Suffolk, Nassau e Westchester.
Delle 82.000 abitazioni che potrebbero essere distrutte entro il 2040, più della metà si trovano, secondo le previsioni, sull’isola di Long Island.
«Tra i numerosi rischi climatici che minacciano l’area oggetto dello studio, le inondazioni potrebbero avere l’impatto maggiore, poiché circa 77.300 acri di terreno residenziale (pari al 10,5%) potrebbero essere soggetti a future alluvioni e, entro il 2040, fino a 82.000 unità abitative potrebbero andare perdute a causa di inondazioni permanenti, croniche e costiere», afferma il rapporto.
«In molti comuni della contea di Westchester e soprattutto a Long Island, la pianificazione urbanistica, gestita a livello locale, spesso limita lo sviluppo residenziale in aree con buon accesso ai trasporti, opportunità lavorative e basso rischio di inondazione. Nonostante la vicinanza a New York City, i sobborghi di Long Island e della contea di Westchester vietano lo sviluppo multi familiare in oltre il 95% del loro territorio residenziale.»
Nella città, i quartieri sul lungomare di Brooklyn e del Queens — come Canarsie e i Rockaway — sarebbero i più predisposti a subire le maggiori perdite dovute alle inondazioni.
Alcuni nuovi progetti di sviluppo nella penisola di Rockaway nel Queens — dove vivono circa 125.000 persone — stanno cercando di proteggere i residenti dalle inondazioni, offrendo zone ad alta concentrazione abitativa a prezzi accessibili.
Un sistema di dune artificiali nei Rockaway, con pareti in acciaio e pietra al centro, aiuterà a proteggere il lato oceanico della penisola. Tuttavia, sul lato della baia, che si allaga regolarmente, non si sono registrati grandi progressi.
Altre misure di mitigazione a New York City, in diverse fasi di realizzazione, includono paratie mobili e muri anti alluvione nel Lower East Side di Manhattan, così come sistemi di drenaggio che collegano le fognature pluviali a stagni e laghi naturali.
Secondo il rapporto, l’area ha già bisogno di 362.000 nuove abitazioni per ridurre il sovraffollamento, offrire alloggi a chi si trova in rifugi temporanei e affrontare i bassi tassi di disponibilità. Si stima inoltre che entro il 2040 saranno necessarie ulteriori 895.000 unità per compensare le perdite causate dalle inondazioni, i cambiamenti nella formazione dei nuclei familiari e il degrado edilizio.
Secondo il rapporto, le città dovrebbero concentrare lo sviluppo urbano in zone regionali a rischio di alluvione relativamente basso, vicine a poli commerciali e ai trasporti pubblici.
Max Besbris, professore di sociologia all’Università del Wisconsin-Madison, ha affermato che la minaccia del riscaldamento globale impone ai responsabili locali di “ripensare l’idea tradizionale di abitazione”. «Ciò significa costruzioni più dense, case più efficienti dal punto di vista energetico, e probabilmente rinunciare all’ideale suburbano della villetta isolata con lo steccato bianco», ha dichiarato Besbris, secondo quanto riportato dal New York Times.
Traduzione dall’inglese di Laura Proja. Revisione di Thomas Schmid.