Visto che non volete gli USA e nemmeno il riarmo dei Paesi Europei, vorrà dire che pensate a una comunità hippie demilitarizzata! Sentenziava qualche giorno fa Giorgia-donna-madre-cristiana.

E’ evidente che con l’uso di quei due termini “hippie” e “demilitarizzata” la presidente del consiglio che è sicuramente una efficace comunicatrice voleva colpire, non solo Schlein, ma tutto lo schieramento pacifista e ambientalista che si colloca a sinistra. Non a caso il fenomeno hippie degli anni 60 si caratterizzava per una grande attenzione all’ambiente, alla pace, ai diritti civili. Tutti termini che stanno alla destra come i cavoli stanno alla merenda. E anche il termine demilitarizzata era chiaramente usato in termini di scherno, di derisione, per tutti quelli che pensano che la pace non si prepari riarmando gli Stati ma seguendo ben altre vie.

E’ chiaro che nella efficace superficialità comunicativa di chi viene dal MSI e dal culto militarista come Giorgia-donna-madre-cristiana-armata può risultare incomprensibile che esistano altre vie per difendersi rispetto alle forze armate e altri metodi per risolvere in conflitti che non siano le guerre, ma l’alternativa in realtà esiste. E oltre a essere propria della rispettabilissima cultura hippie è un fatto documentato nella storia e negli studi e accademici oltre che ampiamente dimostrato da schiere di seri ricercatori.

Certo la presidente del consiglio non sa chi siano personaggi come Gene Sharp o Antonino Drago che con i loro libri le permetterebbero di uscire dai luoghi comuni di facile presa sull’opinione pubblica. Non passa per la testa ai nostri fautori del riarmo che ogni coltello mostrato tra i denti all’ipotetico nemico ne causa una reazione simmetrica? E quando appunto le parti saranno armate fino ai denti prima o poi a una delle due viene la voglia di usarlo quel coltello.

Erica Chenoweth ha scritto recentemente l’illuminante testo “Come risolvere i conflitti – senza armi e senza odio con la resistenza civile”. La ricercatrice statunitense ha svolto un’approfondita ricerca su centinaia di conflitti, rivolte, rivoluzioni, dell’ultimo secolo dimostrando dati alla mano e quindi in modo scientifico e non ideologico come la resistenza civile senza armi abbia avuto riscontri positivi in quantità doppia rispetto ai conflitti affrontati con le armi. E ovviamente con una perdita di vite umane e beni materiali incommensurabilmente minore. Si pensi a quante energie, quanti capitali finanziari e umani assorbe la struttura militare.

Quanta cura è messa nella preparazione, nelle esercitazioni, nell’organizzazione. Le molte situazione di resistenza e difesa civile vincenti documentate a livello storico si sono in massima parte basate invece sullo spontaneismo e l’improvvisazione. Quali potenziali enormi potrebbero esserci nel momento in cui fosse adeguatamente preparata, organizzata, insegnata, finanziata!

Naturalmente occorre precisare che difesa civile non è solo quella dei confini, ma dei diritti dei cittadini, delle libertà civili, delle norme di convivenza, è difesa ad esempio da possibili militari golpisti all’interno dei propri confini. Per questo non è appannaggio solo di pattuglie di esperti che lo facciano per professione, anche se pure questo serve, ma è un compito dell’intera popolazione, si impara fin dalle scuole.

Per tornare al libro che si citava, l’aspetto caratterizzante dell’approccio di Chenoweth è il pragmatismo. Lascia da parte gli aspetti etici della nonviolenza, i substrati ideologici, per dimostrare come la resistenza civile sia semplicemente più efficace al di là delle convinzioni filosofiche e della concezione della vita e del suo rispetto del prossimo che si abbiano. Oltre ad esaminare centinaia di conflitti affrontati in modo nonviolento la ricercatrice documenta in modo efficace tutte le condizioni che dovrebbero essere soddisfatte per garantire la vittoria a una resistenza civile che contempli anche la prevenzione dei conflitti.

Uno dei fattori chiave è sicuramente la preparazione. Così come esiste una esercitazione riferita alle strategie militari anche la resistenza civile che contempla anche la difesa popolare nonviolenta deve essere accuratamente preparata e organizzata. Non può essere improvvisata. Eppure anche quando è improvvisata la resistenza civile mostra illuminanti spiragli.

Pensiamo alle decine di spontanei casi di resistenza nonviolenta dei cittadini ucraini nei primi giorni dell’invasione russa. Con il dialogo, la non collaborazione, la resistenza passiva, anche se attraverso tecniche del tutto improvvisate gli ucraini avevano ottenuto non indifferenti successi prima che tutto precipitasse con la scelta sciagurata dell’opzione bellica.

Per venire all’Europa che ora stanzierà 800 miliardi per le forze armate, l’alternativa non solo a questa follia ma anche all’esercito europeo si chiama “Corpi civili europei di pace”, un’intuizione di più di 30 anni fa da parte dell’allora europarlamentare dei Verdi Alex Langer.

Mentre si sta affermando sempre più l’idea che la guerra continui a essere l’unico modo per risolvere i conflitti, il riarmo sappiamo che toglie preziose risorse all’umanità e si corre il serio rischio che la “guerra mondiale a pezzetti” si trasformi in una guerra mondiale di stampo nucleare. L’Europa invece può indicare la via al mondo.

Il rapporto Bourlanges/Martin adottato dal Parlamento Europeo 30 anni fa, il 17 maggio 1995 prevedeva proprio la creazione di CCPE con il compito di addestrare osservatori, mediatori e specialisti nella risoluzione dei conflitti. Tra i promotori di questa iniziativa proprio l’europarlamentare Alex Langer poi scomparso prematuramente e tragicamente nel luglio 1995 anche a causa delle sofferenza interiore causatagli dai massacri di Bosnia.

I CCPE dovrebbero essere chiamati a intervenire a livello di prevenzione, gestione dei conflitti e ripristino di condizioni di dialogo tra le parti. Questa organizzazione potrebbe operare principalmente a livello europeo ma essere impiegata su mandato ONU anche in altre aree del mondo. I CCPE possono rappresentare davvero un innovativo supporto alla diplomazia e essere messi in relazione a seconda delle situazioni anche con i peacekeeper militari chiamati a offrire protezione. Questo può essere il contributo affinché l’Unione Europea esplori con coraggio e lungimiranza nuove strade che consentano di mettere la guerra tra i tabù dell’umanità dimostrando che altre vie, più efficaci per la risoluzione dei conflitti e eticamente sostenibili sono percorribili.

L’UE ha insomma una straordinaria occasione di rafforzare la sua politica estera e di sicurezza comune creando un nuovo strumento pratico che potrebbe essere messo a disposizione delle parti belligeranti, prevenire l’escalation della violenza e apportare una soluzione pacifica alle crisi, difendere il proprio Paese e nello specifico l’Unione dei Paesi europei.

Ma cosa è successo dopo il 1995? Ce lo racconta in breve la docente, scrittrice e attivista Marianella Sclavi: “l’architettura del governo europeo è piena di veti e controlli incrociati, e quando finalmente nel 2001 la istituzione dei Corpi civili di Pace Europei è stata deliberata, questi erano già stati scorporati (divisi per materie, per tematiche..) e fatti dipendere da una serie di apparati i quali, tenendo ferma la proclamazione degli alti e ambiziosi obbiettivi, ne hanno reso impossibile il funzionamento. Non è una questione di cattiva volontà: semplicemente la proposta è stata reinterpretata entro organismi adatti a interventi settorializzati e specifici, diversi e opposti a un approccio integrato e dal basso. In altre parole, dalla metà degli anni ’90 in poi la sigla è stata ribadita senza un dibattito sui cambiamenti istituzionali in grado di promuovere questo approccio e renderlo per davvero operativo. La proposta dei CCP è diversa dall’avere una squadra che occasionalmente si mette al lavoro in situazioni di emergenza. Riguarda un dispositivo stabile, permanente, che rappresenta e incorpora un modo sistematico un patrimonio culturale relativo alla trasformazione dei conflitti sia all’interno di un territorio che nei rapporti fra stati. Pur avendo anche bisogno in determinate situazioni di un appoggio militare, è l’arma della nonviolenza che sostituisce quella dei cannoni.”

Certo, ora è dura, abbiamo dei generaletti al parlamento europeo invece che dei giganti della cultura e della politica come Alex Langer ed è veramente un periodo cupo ma la speranza che ci siano europarlamentari intelligenti in grado di raccogliere quel messaggio non è spenta. Se ne faccia una ragione la nostra benearmata Giorgia nazionale, quella che chiama con scherno “comunità hippie demilitarizzata” è il
modello di Europa pacifica, solidale, ecologica, che tanti abbiamo in mente di realizzare.