Nelle due sessioni di giovedì 6 marzo si affrontano diversi temi.
Dapprima si dibatte sugli aspetti tecnici legati all’eliminazione di armi tecnologicamente molto complesse e pericolose: la Nuova Zelanda e la Malaysia sono in prima fila per l’attuazione degli articoli 4 e 5 relativi al tema in discussione.
L’Indonesia riprende il tema dell’universalizzazione (art. 12) toccato da come molti altri Stati.
Il Cile chiede che vi sia durante il processo di eliminazione di tali armi la supervisione di un ente internazionale che possa documentare e verificare la procedura.
Kazakistan e Kiribati avevano già iniziato nel passato informalmente un lavoro per l’assistenza alle vittime delle armi nucleari, come prevede oggi il trattato negli art. 6 e 7: circa 260 test atomici furono eseguiti su Kiribati da Regno Unito e USA; viene presentato un report dettagliato dove si evince che la popolazione di Kiribati non era a conoscenza dei test.
Negli articoli 6 e 7 sarebbe necessario porre anche la richiesta di giustizia verso tali vittime. In questo contesto non bisogna mai dimenticare le vittime del fall-out di un’esplosione atomica, soprattutto le donne essendo quelle maggiormente colpite dal cancro.
Il Sudafrica ringrazia precedenti interventi per il report. Basandosi sul “Vienna action plan” si sta impegnando nell’assistenza alle vittime.
Secondo il Vaticano troppe persone stanno ancora soffrendo per gli effetti legati al fall-out nucleare. il trattato fornisce una cornice cruciale per eliminare tali terribili armi e dare tutta l’assistenza alle vittime. Il supporto della Santa Sede resta invariato, anche riguardo alle comunità indigene colpite dalle radiazioni durante i test atomici.
Oltre a ribadire le dichiarazioni precedenti, la delegata della Costa Rica invita tutti gli Stati parte ad armonizzare le proprie politiche con la complementarietà prevista nel trattato per diventare un modello virtuoso verso tutti gli altri Stati.
Il delegato della Svizzera ribadisce tutta l’assistenza necessaria alle vittime nucleari.
La sessione della mattina si chiude con una drammatica testimonianza in cui l’oratore ha perso nel tempo padre, fratello e sorella a causa dei test britannici nel Pacifico: la cosa maggiormente insopportabile è la cortina di omertà che sussiste nel Regno Unito su tali temi.
Nella sessione pomeridiana si ricorda che Cina e USA hanno deciso nel 2024 di usare l’intelligenza artificiale per controllare le armi nucleari. E’ una scelta pericolosa, perché tale tecnologia non possiede alcuna empatia in fase decisiva e non è in grado di capire quale sia la decisione più corretta da implementare, giacché basa le sue decisione su dati simili precedentemente immagazzinati in un data base.
Si intuisce che lasciare tutto in mano ad un software senza introdurre controlli umani che convalidino o meno la decisione che l’intelligenza artificiale crede possa aver preso come la migliore possibile, potrebbe concretamente porci di fronte ad un conflitto nucleare su larga scala per un errore di interpretazione.
Si propone che il TPAN venga aggiornato introducendo un articolo relativo all’IA con esperti nel settore che possano esplorare come gestire tale tecnologia limitando o eliminando ogni rischio legato ad una decisione errata dell’IA stessa.
I successivi interventi da parte della società civile e/o degli Stati presenti considerano utile prendere in considerazione come gestire l’intelligenza artificiale, ma senza un team di esperti sul tema le dichiarazioni restano generiche.
Se il gruppo scientifico continuerà a crescere all’interno dell’ambito del lavoro sul TPAN, sarà possibile identificare un ente scientifico di riferimento che sia in grado di rispondere a tutti gli aspetti tecnici e che diventi un riferimento ufficiale riconosciuto a livello internazionale.
Si cambia tema passando all’impatto sul genere con studi sugli ”impatti di una detonazione nucleare sui bambini e le bambine” e la presentazione di un rapporto da parte del Messico. Entrambi sono molto vulnerabili, con un’alta percentuale di ammalati di cancro, tuttavia le bambine e le donne incinte risultano maggiormente a rischio. Tali studi permettono di intervenire tempestivamente a livello medico.