Ormai uomini, donne, bambini che annegano sulla rotta libico-tunisina non fanno più notizia, anche perché non devono intaccare la propaganda governativa secondo cui, con il calo degli “sbarchi”, sarebbero diminuite le vittime. Se questa affermazione ricorrente nelle dichiarazioni della presidente del consiglio risultasse anche vera in termini assoluti, non sono mai state così alte le probabilità di annegare, o di essere lasciati annegare, per chi è costretto alla fuga da paesi come la Libia e la Tunisia nei quali, a seguito degli accordi con l’Italia e l’Unione europea, dilaga la caccia al migrante.
Di molti naufragi non si ha neppure notizia, come non si ha notizia della sorte, spesso disperata, delle persone intercettate in acque internazionali dalle guardie costiere libiche e tunisine e riportate a terra, oltre 600 corpi, esseri umani deportati, e non solo soccorsi, in Tunisia la scorsa domenica. Anche in questo caso, con naufragi o persone “cadute” in mare, sarebbero 18 le vittime recuperate dai tunisini in vari “incidenti”.
La rimozione dei naufragi, dopo l’allontanamento delle navi delle ONG destinate a porti sempre più lontani per lo sbarco, da ultimo La Spezia e Marina di Carrara, a quattro giorni di navigazione dall’area dei soccorsi, diventa ancora più offensiva per le vittime, e per il senso comune, quando le ricostruzioni non provengono dalle fonti istituzionali preposte, attraverso comunicati ufficiali, ma sono frutto di informazioni passate presumibilmente da organi di polizia, a giornalisti che talora non avvertono neppure le contraddizioni evidenti e le ipotesi insostenibili che lasciano trapelare soltanto una precisa volontà di nascondere fatti e responsabilità. Almeno fino a quando, con l’arresto dello scafista di turno, si ritiene rinsaldato il circuito della sicurezza con il consueto richiamo alla lotta contro i trafficanti e l’immigrazione “illegale”, per la “difesa dei confini” contro il rischio “invasione”. Per la presidente del consiglio tutti i migranti costretti a entrare in territorio italiano attraverso canali irregolari, in assenza di canali legali di ingresso, anche per richiedenti asilo, sarebbero tutti da considerare un potenziale pericolo per la collettività, anche se la Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha respinto l’assimilazione tra naufraghi e “clandestini”.
Come si è verificato in altre occasioni lo scorso anno, a settembre, e poi il 31 dicembre, se ci sono vittime, le persone “cadono in mare” poco dopo la partenza dalle coste, per le cattive condizioni del mare, anche quando i bollettini meteo non danno allarmi di burrasca. Si riferisce ancora che le stesse imbarcazioni proseguono la loro navigazione e si ribaltano o affondano una volta che hanno quasi raggiunto il limite delle nostre acque territoriali (12 miglia dalla costa di Lampedusa), con altre vittime, o con la tardiva scoperta di cadaveri a bordo. Perché, secondo quanto dichiarano i naufraghi, dalle prime chiamate di soccorso sono passate ore, se non giorni. Mentre gli assetti aerei di Frontex che controllano, anche con droni, ogni punto del Mediterraneo centrale, seguono alla perfezione i movimenti delle navi delle ONG, o sono molto efficienti nel tracciare per le autorità libiche e tunisine barchini da intercettare, ma arrivano sempre per ultimi a segnalare le imbarcazioni in difficoltà, che si dovrebbero soccorrere immediatamente.
L’ultimo naufragio, costato oltre 40 dispersi e sei vittime recuperate, sarebbe avvenuto “al largo delle coste tunisine”, anche se si riferisce che” il barcone è stato intercettato, prima di affondare, nelle acque antistanti Lampione”, dunque vicino a Lampedusa, dove sarebbero intervenute le motovedette Cp324 della Capitaneria e V1302 delle Fiamme gialle. Si è trattato dunque di un “naufragio a più riprese”. Per quanto riferito dal GR 3 RAI regionale di mercoledì 19 marzo, i 40 dispersi sarebbero caduti in mare “poco dopo la partenza dalla Tunisia”, aggiungendosi però che poi “tutti sarebbero finiti in mare dopo il ribaltamento del gommone” nei pressi di Lampedusa-Lampione. Potremmo dire, quasi un naufragio “in differita”.
Ma quale è stato il ruolo della guardia costiera tunisina, che negli stessi giorni, tra il 16 e il 17 marzo, ha intercettato in mare oltre 600 persone, con l’ulteriore notizia di 18 vittime “recuperate” dai tunisini sulla stessa rotta del gommone naufragato nelle acque di Lampedusa-Lampione? Il gommone poi affondato dopo essersi ribaltato in zona SAR italiana è apparso dal nulla, o veniva monitorato nella sua rotta di avvicinamento alle acque territoriali italiane?
I tracciati aerei di un velivolo Frontex, pubblicati da Sergio Scandura, corrispondente per il Mediterraneo di Radio Radicale, se collegati allo scarno comunicato della Guardia costiera, permettono comunque di verificare con una certa precisione qual è la zona nella quale il gommone proveniente dalla Tunisia si è ribaltato, facendo finire in acqua tutti i suoi occupanti.
Come scriveva Sergio Scandura martedì 18 marzo, l’Operazione SAR ha avuto luogo a 14 miglia da Lampedusa secondo pattern di ricerca dispersi del velivolo Frontex in volo con il callsign di emergenza SAR #RIMA assegnato da ITMRCC di Roma. Il velivolo DA42 di Frontex è tornato a Lampedusa alle 19:36 CET dopo 6 ore e 45 minuti di ricerca. Nel pattern, il centro delle orbite di ricerca del velivolo Frontex è localizzato all’interno delle acque territoriali italiane che circondano Lampedusa alle coordinate: 35 35N 012 14E In questo momento (20:28 CET di martedì) anche un ATR MPA #Manta_10_01 della Guardia Costiera Italiana, arrivato in serata dalla base di Catania Fontanarossa, ha iniziato il suo volo di ricerca sulla scena SAR.
Altri velivoli sono sull’area con altrettanti pattern di ricerca a est dell’isola. Le ricerche operate dall’aereo di Frontex avrebbero avuto dunque inizio attorno alle ore 13 circa di martedì 18 marzo. A che ora il gommone era stato avvistato e da chi? Erano intercorse comunicazioni con la guardia costiera tunisina o con la sedicente guardia costiera “libica”? Erano stati presi contatti con la Centrale di coordinamento (MRCC) delle attività di ricerca e salvataggio (SAR) di Malta? Per salvare altre vite in futuro queste domande devono trovare una risposta.
Si tratta di una zona di mare che costituisce un luogo nel quale in passato si sono verificati numerosi naufragi, un vero e proprio “buco nero” del Mediterraneo, perché si trova vicina alle linee di demarcazione che dividono la zona SAR italiana da quelle libica, tunisina e maltese. Ed anche perché corrisponde ad un’area sulla quale non c’è accordo tra Italia e Malta sulle rispettive zone SAR che appaiono parzialmente sovrapposte, determinando conflitti di competenza, e dunque ritardi, nei soccorsi, che in passato sono costati centinaia di vittime, come nel caso della strage dei bambini dell’11 ottobre del 2013.
Una strage sulla quale non si è riusciti a fare giustizia, anche per la prescrizione dei reati, ma che davanti ai giudici di appello è apparsa come un vero e proprio caso di responsabilità dello Stato. Malta peraltro non ha mai sottoscritto gli emendamenti delle Convenzioni internazionali che obbligano ad interventi di soccorso anche al di fuori delle proprie acque territoriali, e non invia generalmente propri mezzi navali fino al limite dell’area di competenza italiana, a sud di Lampedusa. Un dato che viene confermato in numerosi processi penali nei quali si è tentato, fallendo, di criminalizzare le attività di ricerca e salvataggio delle ONG, prima di allontanarle con i porti “vessatori” ed i fermi amministrativi. […]
Malgrado le previsioni analitiche del Piano SAR nazionale 2020, i flussi informativi sui
soccorsi in acque internazionali sono sempre più rari rispetto al passato, e non viene più pubblicato dal 2018 il Report annuale delle attività SAR svolte dalla Guardia costiera.
Il Piano nazionale SAR del 2020, approvato con Decreto Ministeriale numero 45 del 4 febbraio 2021, disciplina al settimo capitolo i rapporti delle autorità marittime con gli organi di informazione, prevedendo specifici doveri di comunicazione degli eventi di soccorso con l’obbligo di salvaguardare le norme sulla privacy soprattutto laddove ricorra la presenza di minori, ma stabilendo che “nell’ottica, quindi, di assicurare un’informazione la più possibile rapida, obiettiva ed uniforme, senza distrarre il personale o intralciare la primaria esigenza di assicurare l’efficienza del soccorso, è assolutamente indispensabile che le notizie siano date”, tra le altre condizioni, “con tempestività, regolarità e cadenza fissa, possibilmente giornaliera”.
Secondo lo stesso Piano SAR nazionale inoltre, “è necessario: non mentire/cercare scuse/accusare altri; evitare di azzardare valutazioni non supportate da fatti/dati; non utilizzare lo scudo del “NO COMMENT”, bensì spiegare perché non si è in grado di rispondere”. Al contrario, si rileva che, secondo le più recenti disposizioni impartite dal Viminale, tutte le informazioni riferibili agli sbarchi di migranti soccorsi in mare vengono secretate, e non solo quando ad operare sono le ONG, come si sta verificando anche in occasione dei naufragi che si ripetono nei pressi di Lampedusa.
Dopo l’allontanamento delle ONG il quadro dei mezzi di soccorso disponibili nel Mediterraneo centrale è assai carente. E per gli interventi di ricerca e salvataggio (SAR) in acque internazionali non è facile coinvolgere le navi commerciali in transito. Le navi dello Stato destinate a funzioni di soccorso, principalmente i mezzi della Guardia costiera, vengono tenute all’interno delle acque territoriali, limitandosi gli interventi in acque internazionali alla Guardia di Finanza, mentre gli assetti navali Frontex, Eunavfor-Med e quelli della Marina militare, operanti tra la Sicilia e il Nordafrica, non svolgono da tempo attività dirette al soccorso di imbarcazioni provenienti dalla Libia o dalla Tunisia, che vengono però soccorse all’interno della zona SAR italiana.
Rimangono oscure le regole di ingaggio di Frontex nella cooperazione operativa con le autorità militari italiane e con le guardie costiere libiche e tunisine. Aspetto cruciale che va attentamente monitorato in una fase nella quale la Commissione europea vorrebbe dotare Frontex di una autonoma capacità di negoziazione con i paesi terzi, anche sul piano della cd. cooperazione operativa, in modo da rafforzare l’esternalizzazione dei controlli di frontiera, senza assumere le conseguenti responsabilità che incomberebbero sull’Unione europea e sui singoli Stati membri.
Come ha affermato Filippo Ungaro, portavoce dell’UNHCR Italia,“L’UNHCR esorta gli Stati a unire le forze per rafforzare i meccanismi di ricerca e soccorso in mare e promuovere un più ampio accesso a canali sicuri e regolari (per la migrazione)”. Ma rimangono in vigore, ed anzi sono stati rifinanziati, gli accordi bilaterali con gli Stati terzi, come il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2 febbraio 2017, che gettano ombre inquietanti sulle future possibilità di svolgere una efficace attività di ricerca e soccorso in acque internazionali, ormai dominate dalle esigenze politiche ed economiche (anche interne) degli Stati e dalle onde mediatiche che privilegiano la difesa dei confini rispetto alla salvaguardia della vita umana in mare. Senza garantire lo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro. Che poi costituisce il fulcro del Memorandum UE-Tunisia del 2023. E quindi a fare naufragio non sono soltanto le persone che perdono la vita in mare, ma anche tutti coloro che si vedono negata la certezza del diritto e una corretta informazione. Mentre lo Stato, in nome della lotta all’immigrazione “illegale”, assume sempre più i contorni di una democrazia illiberale, ed esternalizza i controlli di frontiera, concludendo accordi con paesi terzi che, oltre a non rispettare i diritti umani, non sono ancora in grado di garantire effettivamente nelle zone SAR che gli vengono riconosciute, le doverose attività di ricerca e salvataggio, fino allo sbarco in un porto sicuro.