Il Presidente della Repubblica del Kirghizistan Sadyr Japarov e il Presidente del Tagikistan Emomali Rahmon hanno firmato uno storico trattato per delimitare gli oltre 970 km di confine tra i due paesi che hanno rappresentato la fonte del conflitto più sanguinoso nella storia centro asiatica recente. Tuttavia, una piena pace idrica nella regione è ancora lontana.
Un conflitto che non ha fatto notizia
Il conflitto khirgizo-tagiko ha origine dal terremoto geopolitico innescato dal crollo dell’Unione Sovietica, quando le cinque repubbliche centro asiatiche hanno, per la prima volta, acquisito piena soggettività internazionale. I confini furono tracciati in modo arbitrario in epoca sovietca, senza tenere conto delle reali divisioni etniche, geografiche o delle risorse naturali locali. Questo ha portato alla creazione di numerose exclavi e enclavi che, con il crollo dell’Impero, sono subito diventate oggetto di conflitti. Le dispute più accese hanno riguardato l’accesso alle risorse naturali, in particolare l’acqua, e la terra per i pascoli, vitali per le comunità. Tra il 2011 e il 2013 ci sono stati 63 episodi violenti, ma nel 2021 la situazione è precipitata quando in aprile le forze armate dei due paesi hanno avuto degli scontri a causa di una disputa su un punto di distribuzione dell’acqua vicino all’enclave di Vorukh, piccola comunità tagika di 30.000 persone situata in Kirghizistan, causando centinaia di feriti e almeno 41 morti. L’anno dopo, nel settembre 2022 Bishkek e Dushanbe hanno sfiorato una guerra totale quando i due eserciti, dopo ripetute violazioni del cessate il fuoco, hanno mobilitato droni, aerei, e carri armati. Il conflitto ha causato almeno 94 morti, oltre 100 feriti, e 137.000 persone evacuate dalla zona di confine. La situazione esplosiva è stata riportata sotto controllo solo dopo una mediazione favorita dal Presidente russo Vladimir Putin che nonostante l’impegno in Ucraina, non ha potuto ignorare quello che stava accadendo. Oggetto di tensione sono state le risorse idriche nella fertile Valle di Fergana che coinvolge Tagikistan, Kirghizistan e Uzbekistan.
Nel febbraio scorso però, i due paesi hanno raggiunto un definitivo accordo sulla delimitazione dei confini, e il 13 marzo a Bishkek i presidenti Japarov e Rahmon hanno firmato il trattato ponendo fine alla disputa decennale. L’accordo ha come obiettivo principale prevenire ulteriori ostilità e promuovere la cooperazione regionale. Verranno stabiliti confini territoriali chiari e riapriranno punti di transito cruciali. Durante una conferenza stampa congiunta, il leader del Kirghizistan, Sadyr Japarov, ha sottolineato l’importanza dell’accordo, affermando che “d’ora in poi e per sempre, il confine tra il Kirghizistan e il Tagikistan sarà il confine dell’amicizia eterna”. Il Presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon, ha confermato che l’accordo riguarda non solo la demarcazione dei confini, ma anche la cooperazione economica e di sicurezza. Ha aggiunto che entrambi i paesi collaboreranno nella lotta contro il terrorismo, l’estremismo, e il traffico di droga, temi cruciali per la sicurezza tagika. Come parte del processo di attuazione, i due paesi supervisioneranno lo scambio di alcune aree di terra per garantire un accesso equo alle risorse idriche e alle infrastrutture. Sicuramente è una buona notizia, ma una piena pace idrica nella regione è ancora distante.
Perchè “pace idrica”?
Come accennato in precedenza, il cuore della disputa tra i due Paesi ha riguardato la gestione delle risorse idriche transfrontaliere. Una delle questioni più controverse riguarda la gestione del fiume Isfara, o Ak-Suu in Kirghizo, che si divide in due ramificazioni grazie ad un impianto costruito in epoca sovietica per favorire l’irrigazione, l’impianto Galovnoi. Nessun problema (si fa per dire) durante la convivenza nell’Impero, ma una volta diventati indipendenti, è sorto un notevole disaccordo sulla proprietà e sul controllo della struttura. La disputa evidenzia la continua competizione idrica, soprattutto durante la stagione agricola di picco. L’acqua dell’impianto Galovnoi viene deviata verso il bacino idrico di Tortkul in Kirghizistan, che può contenerne fino a 90 milioni di metri cubi. Tuttavia, questo sistema crea tensioni quando l’acqua scarseggia, e in epoca di crisi climatica, ciò accade spesso. Entrambi i paesi dipendono fortemente dall’acqua per le loro economie agricole, e qualsiasi interruzione influisce sui mezzi di sussistenza della popolazione locale, che ha esigenze molto diverse in tema di approvvigionamento idrico: i tagiki dispongono di più terreni coltivabili e la loro produzione è orientata all’esportazione, mentre i kirghizi praticano soprattutto agricoltura di sussistenza.
L’impianto Galovnoi e il bacino di Tortkul erano stati costruiti nel quadro della logica sovietica delle quote di allocazione per cui, quando manca l’acqua, essa possa essere distribuita tra i vari paesi per aiutarsi a vicenda. Nell’era della crisi climatica, l’acqua è una questione di sopravvivenza. Il recente accordo tra Bishkek e Dushanbe rappresenta sicuramente un passo in avanti importante, ma finchè non esisterà una sistema di governance pienamente condiviso delle risorse idriche, l’acqua rimarrà centrale nella sicurezza centro asiatica. È necessario per i paesi stan mettere in comune una risorsa che non può che essere comune, superare la logica capitalista che crea artificialmente “scarsità” e che favorisce quindi la securitizzazione. In altre parole, immaginare una nuova “sovranità idrica”. L’errore sarebbe pensare che sia un progetto eccessivamente rivoluzionario, ma non è così. Un esempio degno di nota in tal senso è la forza propulsiva innescata dall’Organizzazione per la messa in valore del fiume Senegal, creata nel 1972 e che riunisce quattro stati africani, che è riuscita a trasformare il bacino del fiume in un bene comune di questi Paesi, superando il concetto di “scarsità” e quindi sicurezza. Ciò significa che le infrastrutture che ricadono in questo territorio non sono del Paese che le ospita ma sono di tutti i Paesi aderenti. Nell’era della crisi climatica, sarà necessario ripensare in questo modo il rapporto tra stati nazionali e ambiente, e la risoluzione del conflitto tra Kirghizistan e Tagikistan è sicuramente un primo passo.