Anna Foa ha pubblicato nel 2024 per le edizioni Laterza Il suicido di Israele.
Il libro, dal titolo evocativo, è uno dei rari contributi a un dibattito serio su quanto avviene in Israele/Palestina, a fronte dell’asfittico scontro verbale tra opposte tifoserie cui troppo spesso si assiste. La Foa, già docente di Storia moderna all’Università di Roma La Sapienza, è autrice di numerosi saggi di storia della cultura e della mentalità nell’età moderna, nonché di storia degli ebrei; da lungo tempo è impegnata sul fronte della memoria della Shoah.
Il testo, agile e di facile lettura, è nello stesso tempo molto denso; l’autrice, partendo dal trauma del 7 ottobre, ripercorre i punti essenziali della storia della regione. Il sionismo viene analizzato nel suo sviluppo storico e nei conseguenti cambiamenti del suo significato, tanto da sostenere che non si debba parlare semplicemente di sionismo, ma di sionismi.
Esso è in primo luogo movimento di rinascita nazionale, che considera gli ebrei come popolo e ne sostiene il diritto al ritorno in una propria terra. E’ un progetto politico statalista, che mai aveva fatto parte dell’ebraismo, ed è in buona parte figlio delle persecuzioni avvenute nella Russia zarista. Contrariamente a quanto si pensa, che la Palestina fosse già abitata era ben chiaro ai primi sionisti. Il libro analizza i rapporti complessi tra i nuovi arrivati e gli arabi, inizialmente buoni, ma che presto degenerano.
E’ proprio da tale scontro che, secondo l’autrice, iniziano a prendere forma i primi abbozzi di identità nazionale palestinese. Si arriva dunque alla risoluzione ONU del ’47, che divide la terra contesa in due Stati nazionali. Il libro esamina quindi le varie guerre tra Israele e i vicini arabi, considerando in particolare quelle del ’48 e del ’67. Con la prima Israele conquista un territorio più vasto di quello assegnatogli dall’ONU, con espulsione, nella Nakba, di circa 700 mila palestinesi, mentre Egitto e Giordania si impossessano dei territori destinati allo Stato Palestinese. All’interno del nuovo Stato d’Israele rimangono circa 150 mila arabi, cui viene data la cittadinanza, ma che, fino al ’66, sono tenuti sotto amministrazione militare.
Con la guerra del’67 Israele conquista Golan, Sinai, West Bank con Gerusalemme est e Gaza. Inizia allora la colonizzazione degli insediamenti, mentre prende forma l’OLP, guidata da Arafat. La Foa esamina quindi le conferenze di pace del 1993, 2000 e 2007, tra israeliani e palestinesi, che falliscono per l’intransigenza delle organizzazioni palestinesi più estreme, tra cui Hamas, e della destra religiosa ebraica. Nel 2006 Hamas vince le elezioni a Gaza e nel 2007 ne prende con la violenza il controllo. Si tratta di un’organizzazione islamista, legata alla Fratellanza Musulmana egiziana, che non riconosce l’esistenza di Israele, appoggia la lotta armata e dà vita a una serie di attentati terroristici.
Dopo quella dell’87, nel 2000 scoppia la seconda Intifada, in Israele e nei territori; adducendo ragioni di sicurezza Israele inizia la costruzione del muro di confine. E’ allora che si comincia a definire apartheid la politica israeliana verso i palestinesi. Gli insediamenti in Cisgiordania, illegali per il diritto internazionale e, in alcuni casi anche per quello israeliano, si allargano sempre più. Dopo l’affermazione di Hamas a Gaza nel 2007, in Cisgiordania Abu Mazen sospende le elezioni, perché il sostegno ad Hamas cresce anche lì.
Nel frattempo Israele ha sigillato la Striscia, da cui inizia il lancio di missili e la costruzione di un esteso sistema di tunnel. La situazione nell’area è ormai del tutto compromessa: nel 2009 Netanyahu spenge ogni speranza per uno Stato palestinese, chiudendo definitivamente la stagione degli accordi. Nella seconda parte il libro considera i mutamenti socioculturali e antropologici dell’identità ebraica prodotti dalla nascita dello Stato di Israele. Nel ’50 la legge del ritorno consente ad ogni ebreo di diventare cittadino di Israele. Nel ‘61, col processo Eichman, si ha una rielaborazione collettiva della Shoa, che diventa collante della nuova identità ebraica.
Anche le incursioni terroristiche dei palestinesi fuori della Palestina, come a Monaco nel ’72 o nell’82 alla sinagoga di Roma, assimilando obiettivi ebraici e israeliani, ricompattano il mondo ebraico. L’identità israeliana negli anni viene modificata dalle successive ondate migratorie, tra cui quelle dai paesi arabi e dalla Russia, nonché dal crescente peso demografico degli ebrei religiosi e degli ultraortodossi, accanto a cui però convivono settori giovanili con grande libertà nei costumi, creando una stridente contrapposizione. Dopo il ’48, a partire dalla Nakba, si modifica profondamente anche l’identità palestinese. Gli arabi di cittadinanza israeliana da 156 mila diventano gli attuali due milioni. L’occupazione dei territori del ’67 divide la popolazione araba con un confine, da cui si muovono incursioni terroristiche.
Nei territori si avvia l’esperienza dei check point di frontiera, ove ai controlli di sicurezza si aggiungono atti gratuitamente vessatori. Se la Shoa caratterizza pertanto l’identità israeliana, la Nakba caratterizza quella palestinese: due catastrofi che, pur nelle oggettive differenze, sono al centro delle contrapposte narrazioni. L’ultima parte del libro approfondisce il significato odierno di sionismo, a partire dalla dicotomia tra l’idea di uno Stato di soli ebrei, che sogna la Grande Israele biblica, come proclama la legge varata da Netanyahu nel 2018, e quella di Stato democratico, con parità di tutti i cittadini ebrei e arabi. Il testo analizza quindi la politica del governo Netanyahu, sostenuto dall’ultradestra religiosa e razzista, che dopo il pogrom del 7 ottobre non pensa agli ostaggi, ma alla punizione collettiva dei palestinesi, mentre il paese vive una preoccupante deriva autoritaria.
Ciò costituisce per la Foa il suicidio di Israele, una catastrofe, non solo per lo Stato, ma per tutto il mondo ebraico, con l’antisemitismo che acquista nuovo vigore. Antisionismo e antisemitismo sono concetti non sovrapponibili; è indispensabile distinguere tra le politiche di Netanyahu e gli israeliani in senso lato, molti dei quali a tali politiche si oppongono. A maggior motivo si deve distinguere la politica di tale governo dagli ebrei della diaspora. Specularmente è infondata l’accusa di antisemitismo a tutti coloro che accusano Netanyahu, molti dei quai non sono neppure antisionisti. Dall’altro lato naturalmente c’è Hamas, i cui crimini e la cui ideologia non vanno dimenticati: attentati che culminano nel 7 ottobre, ma anche impiccagione di omosessuali a Gaza.
“Percorrere la via stretta tra il governo Netanyahu e Hamas è difficile”, dice Anna Foa, due opposti e violenti estremismi, che si sostengono a vicenda, nel comune proposito di sabotare la soluzione dei due Stati. Per avviare un cammino di pace occorre superare tutto questo. Per l’autrice Hamas può essere distrutta politicamente solo avviando la fondazione di uno Stato palestinese e raggiungendo un accordo politico con una parte dei paesi arabi. Per questo l’autrice conclude il libro dicendo che “gli israeliani dovranno trattare con Hamas, colpevole della terribile strage del 7 ottobre, ma i palestinesi dovranno trattare con chi è colpevole di aver distrutto le loro case e ucciso le loro famiglie”. In appendice viene proposta una interessante bibliografia essenziale, con le fonti citate nel testo.