(riceviamo e pubblichiamo dalla giornalista Giancarla Codrignani www.vorreicapire.it )

Entrati nell’era Trump anche i politologi più affidabili hanno perso ogni certezza, anche se per tutti è ovvio che l’agenda americana ha in primo piano la Cina, l’avversario numero uno delle sfide future.

Xi Jinping (ma non la Commissaria Ue) era stato invitato all’insediamento (e Xi inviò il vice).

Già ricevuti il giapponese Shigeru Ishiba (”Metteremo a disposizione la piena forza delle nostre capacità deterrenti per la difesa del nostro amico e alleato al cento per cento”) e l’indiano Narendra Modi, referente con Australia e Filippine dell’Indo-Pacifico.

Gli Stati Uniti d’America ormai non sono più interessati all’Europa sia pur Atlantica.

Se comprerebbero in dollari la Groenlandia, hanno scelto i dazi per addomesticare i singoli paesi dell’Ue e distruggerla.

Per tenere d’occhio la Cina anche da quella parte, Trump conserverà la Nato, strategica per gli europei finché non conteranno su difesa propria: dovranno, pagarsela, comprese le basi americane con il nucleare dentro.

Per la verità è da un pezzo che il Sudest asiatico è diventato a più livelli strategico: il demone della guerra è sciaguratamente destinato a rimanere attivo e, al caso, spostarsi.

Da qualche anno infatti il segretario della Nato Stoltenberg aveva moltiplicate le visite a Seul e Tokyo, mentre nel 2024 la nostra ammiraglia ha partecipato a manovre non lontano da Taiwan.

Il nuovo segretario, Mark Rutte, ha alzato il tiro: “il nemico è alle porte, vuole imporsi sulle democrazie liberali e ha i mezzi per farlo, la gente è spaventata, non vuole accettare che ci dobbiamo difendere e non è disposta a spese per la difesa”.

Per questo auspica che l’Europa investa di più nelle risorse (la Polonia è già al 5%) in un sistema difensivo, “necessario”, anche se lo pagheranno i cittadini con tagli ai servizi.

Intanto Bruxelles ha rafforzato le relazioni bilaterali con Tokyo – “partner di lungo corso negli ambiti della pace, della sicurezza e della difesa” e con i partner chiave nell’Indo-Pacifico, negoziando un aumento della cooperazione in settori quali la sicurezza marittima, la condivisione di intelligence e la risposta ad attacchi ibridi.

L’Italia del governo Meloni nell’estate ’24 ha approvato il programma congiunto Gcap, Global Combat Air Program, relativo allo studio e produzione del supercaccia Tempest, di sesta generazione (si tratta più di un intero sistema tecnologico che di un aereo) prodotto da Italia, Regno Unito e Giappone per il 2035, dando evidentemente per scontato un futuro bellico.

Il contenzioso Est/Ovest – nato fuori dalle contrapposizioni storiche Nord/Sud – oggi è tenuto in vita da una Russia che, per gestire il conflitto con l’Ucraina, è ricorsa a mercenari nordcoreani, mentre gli Usa del make america great again credono di ridiventare “ombelico del mondo” senza accorgersi che cinesi e arabi sono già in pista sulla via del futuro.

Intanto la Nato è stata vista vagare verso il Pacifico dove l’America aveva già portato, nel 1950, a sfidare “l’impero del male” attraverso l’occupazione di un Sudest asiatico che usciva dalla seconda guerra mondiale e dal colonialismo.

Allora l’attuale Corea del Sud fu al centro di un conflitto che portò il mondo sull’orlo della guerra nucleare.
Una guerra che si inquadrava nel processo di decolonizzazione in cui, dopo la fine dell’occupazione giapponese (1945) la Francia aveva passato la mano agli Usa, e che portò alla divisione permanente di un paese geostoricamente unito.

E, siccome l’altra metà si chiama Corea del Nord e fa paura, oggi si vede quale sia stato il risultato di una guerra che, incominciata male, costò due milioni e mezzo di morti, soprattutto civili.

Tanto più se si considera il diverso esito della guerra contro il Vietnam uscito vincitore – il mondo intero si era mobilitato – dopo aver resistito per anni, perdendo centinaia di migliaia (si arriva a dire quattro milioni) di morti sul campo e sotto i pervicaci bombardamenti americani perseguiti anche durante i due anni successivi alla firma dell’armistizio – e oggi è un paese libero.

Non era stato così per la Corea, che un coreano non vorrebbe separata per sempre, ma che è rimasta segnata dalla divisione.

Che invece la Corea del Sud sia arrivata al settimo posto nell’indice di sviluppo umano ha comportato lunghe sofferenze per un popolo che Stati Uniti, Gran Bretagna e la Cina di Chang Kai-shek alla fine della seconda guerra mondiale, dopo la fine dell’occupazione giapponese, avevano previsto indipendente, ma che la mancata intesa con l’Urss portò alla divisione del 38° parallelo, demarcazione tra una sorta due specie di protettorati, sovietico al Nord e americano al Sud, teatro fin dall’origine già pronto per una guerra di fronte al pericolo del comunismo in un’area connotata dalla sfida Est/Ovest.

Infatti, non appena Kim il Sung passò il confine, scoppiò la guerra finita con la divisione di un paese che voleva restare unito e oggi si confronta con l’inquietante presenza nucleare della Corea del Nord, comunista e antiamericana, ma che è pur sempre l’altra metà di un paese in cui nonni e bisnonni hanno nipoti sconosciuti dall’altra parte.

Nonostante reciproche minacce e provocazioni (ultimamente Kim Jong-un spediva al Sud palloni stratosferici pieni di cacca e immondizia), le due Coree hanno mantenuto un’ostilità complice, caute a non superare i limiti: l’area è scomoda.

Per questo la crisi che a dicembre si è aperta in Corea del Sud non è apparsa rilevante solo a noi europei che conosciamo da turisti la “tigre asiatica”, attuale concorrente del Giappone.

Ma per i coreani democratici non è stato facile arrivare alla sesta repubblica, moderata, ma non più governata da despoti e militari.

Dopo il 1945 il governo era rimasto nelle mani dell’uomo degli Usa, il reazionario Sygman Rhee, fino al 1960, quando dovette fuggire e i democratici poterono la seconda repubblica, subito stroncata dal colpo di stato del gen. Park Chug-hee che prese il potere e represse violentemente ogni opposizione politica combattendo contro il comunismo e favorendo la crescita economica del paese nel contesto internazionale.

Fu deposto e ucciso nel 1979 dal risveglio della società civile che, dopo il massacro di Kwangju e la legge marziale ordinata da Chun Doo-hwan tornò alla normalità e a governi non certo progressisti, ragion per cui la terza, la quarta e la quinta repubblica hanno superato solo in parte i traumi delle dittature e l’incubo della Corea del Nord.

Con questo passato il tentativo di incriminare per insurrezione e abuso di potere il presidente Yoon Suk Yeol, che aveva ordinato arbitrariamente la legge marziale, ha riportato il timore della destra golpista.

Tanto più che Yoon si era opposto all’arresto, richiesto dal Parlamento assediato, e si opponeva all’impeachment con la difesa delle forze di protezione presidenziale e le barricate dei sostenitori del Partito del Potere Popolare conservatore.

“Per non provocare reazioni pubbliche”, dopo il voto a grande maggioranza del Parlamento e la sentenza di condanna della Corte costituzionale, è stato arrestato, nonostante gli sbarramenti di filo spinato predisposti dalle guardie presidenziali e i cortei contrapposti, pro e contro Yoon.

Seul è rimasta percorsa da tensioni che il Partito Democratico (di opposizione, liberale) controlla fidando sulla certezza del diritto e sulla maggioranza parlamentare.

Ma le rinnovate accuse ai democratici di intelligenza con la Corea del Nord – da cui sono piovuti missili balistici – mantengono i cittadini inquieti.

La situazione può rientrare e ricomporsi, ma la Corea del Sud può diventare in qualunque momento il tallone d’Achille del Sudest asiatico.

Troppo vicina alla Cina, troppo legata alla politica americana, può costituire un problema internazionale se mai si creasse un pretesto per strategie pericolose. Gli incidenti sono sempre possibili.