L’Argentina dopo 49 anni rivive l’incubo della dittatura. Ne abbiamo parlato a Piazza Forcella con un film straordinario “Identità rubata” e la sua regista.
Nel film di Florencia Santucho rivivono i ricordi dello sterminio degli anni 70, ma anche la vittoria delle madri e nonne di Plaza de Majo e la resistenza che oggi infiamma le strade di Buenos Aires. Riuscirà il presidente Javier Milei a riscrivere la storia di quegli anni, a cancellare la memoria di una dittatura sanguinaria?
Lunedi scorso, 24 marzo, ricorreva il tragico anniversario del golpe civico-militare in Argentina del 1976 che portò al potere il generale Videla e tolse al popolo, per sette lunghi anni, ogni diritto e ogni libertà, mentre nel silenzio più assoluto, venivano soffocate decine di migliaia di giovani vite.
In quegli anni tremendi sembrava che la speranza fosse definitivamente perduta eppure l’Argentina fu salvata dalle donne, madri e nonne, e dal loro dolore che gridò giustizia. Quelle donne che chiedevano di sapere dove fossero finiti i/le propri/e figli/e e nipoti, fermarono il macello che era sfuggito allo sguardo del mondo e misero in crisi il disegno di carneficina che la giunta militare aveva perseguito in quegli anni. E da lì cominciò la risalita verso la luce.
Senza sparare un colpo di arma da fuoco, la resistenza argentina riuscì a interrompere e far crollare il muro di silenzio che circondava i desaparecidos e a ricostruire una timida democrazia, spiegando al mondo intero il patto di sangue che aveva legato massoneria europea e servizi segreti americani per mettere a tacere ogni sogno di democrazia nell’America Latina e depredare ogni ricchezza dell’Argentina, mettendola al servizio di un’economia controllata dai poteri forti.
A raccontarci in una manciata di minuti questa tragedia novecentesca è stato il film “Identità rubata” di Florencia Santucho, regista italo argentina, figlia di Julio, che è tra i fondatori del nostro Festival, padre di Daniel, il “Nieto 133”, uno degli ultimi figli/nipoti ritrovati dalle Nonne di Plaza de Majo, dopo 46 anni di vita vissuta sotto falsa identità.
Una storia a dir poco incredibile, a cui i fotogrammi emozionanti del film hanno aggiunto una carica rinnovata di rabbia, ma anche la coscienza che simili tragedie possono ripetersi in questo tempo buio che stiamo vivendo, in cui il furto e l’eccidio di minori è praticato dalle nuove dittature che ripropongono esasperati nazionalismi, ammantati di retorica patriottica e di ragioni persino messianiche.
Dai fotogrammi del film traspaiono la dolcezza della madre di Daniel, Cristina Navajas, sacrificata dai suoi carnefici subito dopo il parto, e la fermezza senza tempo di Nelida Gomez, la nonna di Daniel, che fino alla morte avvenuta pochi anni fa ha cercato testardamente suo nipote tra i tanti giovani senza identità che furono affidati a funzionari statali compiacenti con i militari. Ed è stato proprio l’archivio del DNA conservato dalle Nonne che ha consentito questo miracolo senza tempo, l’archivio che ora il presidente argentino Milei vorrebbe cancellare per riscrivere ipocritamente la storia del suo popolo.
Il racconto di Florencia, intervallato dalle riflessioni storiche e politiche dei due docenti Raffele Nocera (univ. l’Orientale) e Eduardo Savarese (Federico II), ci hanno gradualmente accompagnato nelle preoccupanti trasformazioni dell’Argentina di oggi che, con ambizioni negazioniste sulla strage degli anni 70 e con nuove drastiche misure liberticide messe in atto dal presidente ultraliberista Javier Milei, stanno trascinando il Paese di nuovo all’ombra del ricatto del Fondo Monetario e delle lobby di potere, rendendolo per sempre schiavo di pericolose politiche globali che sacrificheranno le classi più deboli e privatizzeranno i beni comuni.
Il film “Identità rubata” proiettato in anteprima nazionale e preceduto da un breve podcast sulla storia della famiglia Santucho e del “Nieto 133”, è anch’esso parte della storia del nostro Festival, che vent’anni fa nacque dall’alleanza tra gli attivisti napoletani e il gruppo dei fondatori del festival del Cinema dei Diritti Umani di Buenos Aires, che da anni cercava di portare nel mondo la narrazione del criminale sterminio degli oppositori della dittatura militare. Per quello che ci è stato possibile fare, a distanza di tanto tempo e tanti chilometri, siamo riusciti a portare negli anni, a Napoli, molti testimoni di quella resistenza e ascoltare la loro voce, i loro ricordi.
Tra essi ricordiamo con nostalgia e orgoglio Ezequiel “Pino” Solanas (2008), straordinario regista e testimone di quegli anni e del degrado seguito alle politiche globali, Hebe de Bonafini (2009), indimenticata leader delle Madres de Plaza de Majo, Jorge Denti (2009 e 2015) regista coraggioso che fece conoscere agli Italiani i suoi film di denuncia della Triple A (alleanza militare sudamericana per reprimere i movimenti democratici), scampato miracolosamente al rastrellamento delle pattuglie di paramilitari argentini, Angela Boitano (2010), madre di due giovani desaparecidos, appassionata e tenace memoria dei parenti degli scomparsi, Enrico Calamai (2010 e 2023) , figura eroica della difesa degli italo argentini che offrì la salvezza a centinaia di italiani perseguitati dal regime, e naturalmente Julio Santucho che ispirò la nascita del nostro Festival perché ha sempre creduto all’importanza dell’Italia e delle sue diffuse radici antifasciste nella difesa dei Diritti Umani.
L’evento di lunedì 24 marzo, chiude idealmente un periodo di 20 anni in cui abbiamo tenuto fede all’impegno preso nel 2005 con Julio Santucho di far conoscere la verità storica sul fenomeno dei desaparecidos e lascia una pietra miliare col ritrovamento di Daniel, suo figlio, dopo 46 lunghi anni di silenzio e di attesa.
Questo è certamente un segno di dolore che si rinnova, ma anche un simbolo di grande speranza che la vita può continuare al di là della ferocia umana e della guerra, dell’ansia di potere e dell’odio, e che le guerre si possono vincere senza armi perché la passione umana può superare qualunque ostacolo e difficoltà, come ha dimostrato il ritorno alla vita di Daniel Santucho.
E’ una lezione da tenere a mente per i giorni che stiamo vivendo.
A questo film diamo l’auspicio di una lunga vita e di poter testimoniare non solo la brutalità della guerra, ma soprattutto la forza del diritto, della speranza, dell’amore delle donne di tutto il mondo e la forza della vita che sa ritrovare, come un fiume carsico, la sua strada, per quanto contorto e difficile sia il percorso che la porta al mare.
E’ intervenuto anche Pino Paciolla, padre di Mario, costruttore di Pace ucciso 5 anni fa in Colombia, che ha voluto portare alla platea un saluto e l’aggiornamento sulla vicenda della tentata archiviazione del caso da parte del Tribunale di Roma. Un nuovo caso di scomparsa contro cui stiamo lottando da tempo, insieme al Comitato che porta il nome di Mario e ai suoi instancabili genitori.