E anche Goldman Sachs Group si è adeguata al nuovo corso in tema di “diversity” e “inclusione”. Il gruppo finanziario americano ha annunciato qualche settimana fa di aver cancellato gli obiettivi sul diversity management che si era data sui temi di “inclusione” e “etnia”. Si tratta dell’ultima banca di Wall Street a fare marcia indietro sulla DEI dopo l’ordine esecutivo dell’ex presidente Donald Trump, che prevede questo obbligo per quanti vogliono lavorare con gli uffici federali.
«Abbiamo apportato alcune modifiche per riflettere gli sviluppi normativi negli Stati Uniti» ha dichiarato l’amministratore delegato David Solomon in una nota inviata via email ai dipendenti. «Crediamo fermamente che merito e diversità non siano in contrasto tra loro. Le nostre persone ne sono un esempio concreto, ed è per questo che continueremo a concentrarci sull’attrazione e il mantenimento di talenti eccezionali e diversificati».
La banca americana aveva fissato nel 2020 obiettivi specifici da raggiungere entro il 2025: il 40% di donne nel ruolo di vicepresidenti a livello globale, il 7% di “professionisti black” tra Stati Uniti e Regno Unito e il 9% di “professionisti ispanici/latinoamericani” nelle Americhe. Traguardi non menzionati nel documento annuale 10-K presentato a fine febbraio 2025.
Nel 2023, Goldman Sachs ha riportato che le donne rappresentavano il 33% della popolazione di vicepresident a livello globale, mentre i “professionisti black” costituivano il 4% dei vicepresident negli Stati Uniti e il 5% nel Regno Unito. I “professionisti ispanici/latinoamericani” erano invece il 7% dei vicepresident nelle Americhe. La banca aveva inoltre pianificato di raddoppiare, entro il 2025, il numero di assunzioni da università “storicamente black” rispetto al 2020, ma nel documento regolatorio di oggi non vi è alcuna menzione neanche di questo obiettivo.
C’è da dire oltretutto che nonostante Goldman Sachs abbia pubblicamente monitorato i suoi progressi, la leadership continua a mostrare livelli di diversità inferiori rispetto ai principali competitor di Wall Street: tanto che secondo dati governativi, la banca registra la più alta percentuale di uomini bianchi nei ruoli dirigenziali e, a gennaio, una serie di promozioni di alto livello ha ridotto ulteriormente la rappresentanza femminile nel comitato di gestione.
All’interno delle contromisure prese da Goldman Sachs per andare incontro alla nuova normativa voluta dall’amministrazione Trump, c’è anche la rimozione dal sito web delle pagine precedentemente intitolate “Making Progress Towards Racial Equity” e “When Women Lead”, che descrivevano iniziative come l’impegno della banca a investire 10 miliardi di dollari per promuovere il progresso economico delle “donne black negli Stati Uniti”. Resta online, invece, una sezione separata con maggiori dettagli sul programma. Almeno per il momento.
La retromarcia di Goldman Sachs sulle iniziative di “diversità, equità e inclusione” (DEI) segue la cancellazione dell’obbligo di criteri di diversità per le aziende che il gruppo accompagna in Borsa e si inserisce in un più ampio disimpegno del settore finanziario su questo fronte.
Questo perchè la maggior parte dei grandi gruppi bancari e finanziari statunitensi hanno contratti con il governo federale e sono quindi soggette all’ordine esecutivo – attualmente oggetto di contestazione legale – che vieta ai fornitori pubblici di adottare programmi DEI considerati “illegali”.
La decisione di Goldman Sachs segue mosse simili da parte di altri colossi finanziari. Bank of America e Wells Fargo, a loro volta, hanno anch’esse ridotto le proprie iniziative DEI. Qualche settimana prima, Citigroup ha annullato gli obiettivi di diversità fissati nel 2022 con scadenza al 2025 e ha dichiarato che non richiederà più una selezione di candidati o intervistatori basata su “criteri di inclusione”.
La ceo Jane Fraser, in una lettere ai dipendenti, ha voluto precisare che i valori aziendali e le strategie interne non cambieranno.
Questa, signori e signore, è l’ipocrisia del cosiddetto “capitalismo inclusivo” che parla di diversity management per usare e strumentalizzare le lotte anti-razziste, femministe ed LGBTQ per operazioni di marketing d’immagine. Lo scopo è illuderci di vivere una società che sta cambiando, ma in realtà ciò che conta è il mercato. Lo puoi chiamare “capitalismo inclusivo”, “capitalismo intersezionale”, diversity management e con tutte le formule distopiche che si vogliono, ma l’unico valore che conta è il potere del mercato e, di fronte ad esso, tutti gli altri valori sono sacrificabili. Vengono mantenuti quando sono una strategia di marketing e vengono rimossi quando non fanno più comodo.
Il diversity management e la retorica della “diversità all’interno dell’ambiente di lavoro come sfida manageriale e culturale” sono nauseanti proprio perchè non veri ed hanno la funzione di oscurare e celare tutte le contraddizioni strutturali e sistematiche di un sistema economico che è tutto fuorchè umano e a misura d’essere umano.
Capitalismo inclusivo, la rischiosa Davos “benedetta” da papa Francesco
https://www.machina-deriveapprodi.com/post/l-insostenibile-discriminazione-del-capitalismo
Kamala Harris, il capitalismo intersezionale e l’amicizia con Israele