E’ tornato in auge l’esistenzialismo. Ursula Von der Leyen e la sua accolita si adoperano per sventare una crisi esistenziale dell’Unione Europea. Putin assicura il ricorso all’atomica nel caso la Russia venga esposta a un pericolo esistenziale. Netanyahu stermina i palestinesi perché rappresentano una minaccia esistenziale per Israele. E i palestinesi? Palestinian lives matter. O no? Non parliamo della grande-piccola Groenlandia. Gli Stati Uniti sono già in piena crisi esistenziale, ma non lo dicono e forse non lo sanno. Tutti gli altri, invece, lo temono ma non lo sono (ancora).

In ogni caso Ursula Von del Leyen ritiene che l’unico modo di sventare la crisi esistenziale dell’Unione Europea sia “riarmarsi”: ha già 27 eserciti a disposizione, più quattro di complemento. Spende in armi una volta e mezza più della Russia da cui si sente minacciata, ma ritiene che occorra spendere il doppio: da ripartire tra l’industria delle armi degli Stati Uniti e quelle di ogni singolo Stato membro, comprese le fabbriche di armi atomiche di Francia e Gran Bretagna, in barba a quanto deliberato dall’Assemblea Generale dell’Onu che le ha messe al bando.

Ovvia l’osservazione che con tutti quei soldi si potrebbe “risanare la sanità”, ma forse anche l’istruzione e un po’ di ambiente, che da diversi anni sono troppo trascurati. Oppure, come propone la Lega (ma non solo), destinarli all’unica vera guerra da combattere, quella contro i migranti…

Il fatto è che per “riarmarsi” le armi non bastano. Ci vogliono anche uomini disposti a combattere, ma l’Europa – e l’Italia più di tutti – sembra esserne a corto: più dell’Ucraina, che quelli da mandare al fronte li ha consumati quasi tutti tra morti, feriti, invalidi, imboscati a pagamento, disertori e renitenti. A giustificare quel senso di superiorità che dovrebbe sostenere gli europei nella guerra, naturalmente per difendersi, ci ha comunque pensato, dal palco del 15 marzo di Piazza del Popolo, Roberto Vecchioni, snocciolando il rosario delle perle (letterarie) che “gli altri” non hanno. Mentre a promuovere una nuova leva di combattenti disposti a uccidere e a morire e un sano spirito guerriero ha provveduto, oltre a Galli della Loggia, Antonio Scurati, con un articolo illustrato con autentici lanzichenecchi.

Ma qui sta il problema: non (solo) negli 800 miliardi a cui attingere per comprare sistemi d’arma per uccidere i nemici e sistemi di sorveglianza per individuare i bersagli e respingere i migranti, bensì, e molto di più, in quell’intreccio tra il primatismo eurocentrico vantato da Vecchioni e il perduto spirito guerriero rimpianto da Scurati e Galli della Loggia. Che cos’è quell’intreccio?

E’ il virilismo di chi vede nella guerra, e nel saperla fare (e vincere, a qualsiasi costo) il complemento e il completamento ineludibile di un’umanità che non tradisca la sua storia di guerre, stragi, efferatezze e sofferenze inflitte dagli uomini ad altri esseri umani: cioè la quintessenza del maschilismo e del patriarcato, anche quando quel sentire e, soprattutto quel subire, hanno riguardato e riguardano sia uomini che donne.

Per questo è limitativo contrapporre allo spirito guerriero che sta dilagando su tutti i media e, a seguire, sui social e nel discorso politico, la rassegna di quanto di meglio si potrebbe fare con quegli 800 miliardi e più. Il richiamo a quello spirito bellico non sente ragioni e travolge tutto, in attesa che chi non ne è stato ancora investito – la maggioranza dei cittadini europei, ma anche degli abitanti della Terra – venga travolto dal vento di quel “maggio radioso” ben noto alla storia patria, ma simile se non uguale in tanti altri Stati europei nel corso dei due ultimi secoli e più.

Ne risulta, in quella contrapposizione tra Occidente e Oriente mai rinnegata, o tra democrazia e dispotismo, “pezzo forte” del primatismo Nato-centrico e bianco, un’inversione delle parti: mentre rinuncia a farsi forte della maggior libertà che le donne si sono conquistate con le loro lotte nei rispettivi Paesi, l’”Occidente democratico” sta riproducendo al suo interno i modelli del dispotismo orientale e del maschilismo islamico. Il cittadino impregnato di virilismo guerriero – e per forza di cose, patriarcale – che si cerca di promuovere assomiglia sempre più a quel prototipo maschilista oggi impersonato da Putin non meno che da Trump, ma che ha un riscontro preciso nei capi carismatici del Jijad islamico o della teocrazia iraniana: quella contro cui sono in lotta le donne libere di tutti i Paesi islamici al grido di “Donna Vita Libertà”, ma anche le madri e le mogli che in Russia e in Ucraina protestano contro il sequestro dei loro uomini mandati al fronte. Non sono le bombe e i razzi degli Stati Uniti, di Israele e dei loro complici europei a minare lo Stato islamico di Teheran, né le bande jijadiste sostenute da Erdogan a portare democrazia e libertà in Siria. In entrambi i casi la minaccia esistenziale per i regimi islamici è rappresentata dalla rivolta delle donne contro l’oppressione a cui la loro controparte maschile non sa e non vuole rinunciare: vera posta in gioco di tante guerre. Ed è il confederalismo democratico del Rojava, egualitario, multietnico, partecipato e femminista a rappresentare una minaccia mortale per il maschilismo dei regimi islamici, mentre vent’anni di guerra e occupazione della Nato hanno fatto regredire allo zero assoluto la condizione delle donne afghane. D’altronde, neanche la democrazia è mai stata esportata da qualche parte con le armi.

Perché una cultura e una politica contrarie al vento guerriero che soffia in Europa si possa affermare è necessario riconoscere che anche da noi la sacrosanta battaglia contro il velleitario riarmo dell’Europa non può svilupparsi che a partire dalla capacità di scovare, riconoscere, smascherare e dissolvere tutte le forme in cui il modello patriarcale, virilista e guerriero si presenta nelle diverse circostanze della vita quotidiana, prima ancora che nelle forme di potere attraverso cui si esercita. Una battaglia a cui tutte e tutti ci dovremmo sentire chiamati dal riconoscimento del ruolo che spetta alle forme più radicali dei movimenti femministi.