L’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e dell’università segnala un incontro promosso da realtà sindacali e politiche a Parigi, nel marzo scorso, per costruire una mobilitazione unitaria, a partire dai luoghi di lavoro, contro la guerra e i processi di militarizzazione della società. Una due giorni ricca di confronti e dibattiti quella che si è tenuta a Parigi il 21 e il 22 Marzo scorso. Riportiamo integralmente una corrispondenza da Parigi a cura degli insegnanti italiani intervenuti
Delegati di 37 paesi, provenienti da tutti i continenti, si sono ritrovati a Parigi il 21 e il 22 marzo per una “Conferenza d’urgenza contro la guerra globale e l’imperialismo”.
Alla due giorni parigina ha partecipato anche una delegazione italiana, composta da militanti politici e sindacali piemontesi e siciliani, e da un esponente della Scuola per la Pace di Torino e Piemonte che ha tenuto un intervento (in allegato) in cui ha illustrato alla variegata platea di delegazioni internazionali il problema della militarizzazione della scuola e dell’università, segnalando le attività dell’Osservatorio.
L’incontro, promosso dal Parti des Travailleurs a partire da un appello fatto circolare alcuni mesi fa, ha saputo aggregare militanti di diversa provenienza politica (sindacati, partiti, associazioni), uniti dall’assoluta necessità di saldare le forze della classe lavoratrice mondiale per opporsi con fermezza alla guerra globale in corso.
Momento culminante della due giorni è stato un incontro pubblico tenutosi all’Espace Charenton, un grande salone parigino nel XII arrondissement. Qui, di fronte a circa un migliaio di persone, sono intervenuti Aleksandr Voronkov e Viktor Sidorčenko, l’uno russo e l’altro ucraino, entrambi membri dell’Unione dei militanti di sinistra nello spazio post-sovietico. Entrambi hanno illustrato le severe condizioni di repressione politica che sussistono nei due paesi. Le classi lavoratrici russa e ucraina, mandate al macello sui campi di battaglia, non sono nemiche tra loro – hanno detto i due militanti – ma i veri nemici della povera gente sono i rispettivi governi.
A infiammare ulteriormente la platea dell’Espace Charenton ci ha pensato la statunitense e afrodiscendente Diamonté Brown, presidente della Baltimore Teachers Union, nonché militante del People’s Progress Party, una formazione politica indipendente di sinistra. La combattiva leader sindacale ha sottolineato come la guerra esterna dell’imperialismo – e il riferimento è prima di tutto a quello del proprio paese, gli Usa – si rovescia in una guerra interna contro i poveri e le minoranze. Le politiche che assecondano l’avidità del capitalismo hanno come esito i tagli alla spesa sociale, l’aumento della disoccupazione, una politica spiccatamente persecutoria verso gli immigrati con la conseguente militarizzazione delle città. Ma la repressione del governo di Trump si abbatte anche sulle scuole e sulle università, dove la libertà di espressione e di ricerca è sempre più minacciata. La Columbia University, al centro delle mobilitazioni in sostegno del popolo gazawi, a causa di pressioni che provengono dal governo federale, potrebbe chiudere il Dipartimento di Studi Mediorientali.
La condanna del genocidio in Palestina ha avuto grande spazio nel corso di entrambi i giorni della conferenza. Il militante internazionalista Naji El Khatib, di One Democratic State Initiative, un’aggregazione di realtà politiche frequentate da arabi ed ebrei israeliani ha rivendicato l’urgenza di mettere in agenda – senza cedere a identitarismi etnici o confessionali – la prospettiva di un unico Stato palestinese democratico e laico, dal Giordano al mare, aperto al plurilinguismo e basato sulla giustizia sociale.
Sulla questione palestinese hanno insistito molto anche i rappresentanti degli altri paesi arabi presenti (Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Libano, Siria), i quali hanno tuttavia evidenziato le posizioni ambigue dei rispettivi governi.
Alla delegazione attesa dalla Repubblica Democratica del Congo è stato negato il visto d’ingresso, ma per la regione africana dei Grandi Laghi è intervenuto Paul Nkunzimana, professore emerito di storia dell’Università del Burundi. In sintonia con quanto affermato anche dalle delegazioni dell’Africa meridionale (Sud Africa e Zimbabwe) e subsahariana (Burkina Faso), Nkunzimana ha evidenziato come l’Africa sia più che mai terreno di saccheggio da parte del capitalismo globale, avido di impossessarsi delle risorse naturali che il continente custodisce. Le guerre che devastano l’Africa sono guerre di rapina, che mettono gli uni contro gli altri i popoli africani per spogliarli di quanto appartiene loro.
I conflitti in Congo, che in trent’anni sono costati almeno 5 milioni di morti, hanno alle spalle gli interessi delle 72 multinazionali che operano nel paese. E allora non è certo un caso – ci ammoniscono le delegazioni africane – che la più grande missione militare sotto egida Onu sia proprio quella di stanza in Congo: i 14.000 effettivi dispiegati sul terreno, in rappresentanza di oltre 60 paesi, alcuni dei quali in guerra tra loro in altri teatri, dimostrano la potenza degli interessi economici in gioco. Vi è quindi più di una ragione per sospettare che la vagheggiata missione di pace Onu in Ucraina possa semplicemente mascherare il saccheggio delle terre rare ucraine di cui, con la consueta disinvoltura, Trump ci ha già messo al corrente.
Oltre alla denuncia dei criminali interessi delle guerre in corso, c’è stato modo di soffermarsi anche sull’ipotesi di uno scontro tra Cina e Stati Uniti. Ne hanno parlato un esponente del Workers Party of Philippines – che ha sottolineato l’intensificarsi delle esercitazioni militari nelle nove basi statunitensi presenti nell’arcipelago filippino – e Chan Ka Wai, attivista di un sindacato indipendente di Hong Kong. Quest’ultimo, facendo appello all’internazionalismo, ha chiarito che, senza nulla concedere all’attuale dirigenza dello stato cinese, le minacce di guerra nel Pacifico metterebbero comunque a repentaglio soprattutto le classi lavoratrici cinesi, che sono tutt’altro che silenti e lottano costantemente per migliorare le proprie condizioni di lavoro. Opporsi in ogni modo all’escalation bellica nel Mar Cinese meridionale significa quindi agire in difesa delle classi lavoratrici di quel paese.
Scuola per la pace Torino e Piemonte
Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università
In allegato l’intervento di Marco Meotto, docente di Filosofia e Storia all’IIS Santorre di Santarosa di Torino.