Nessuno dei ministri che sono intervenuti in Parlamento sul caso Almasri ha coperto l‘assenza in aula del capo del governo che evidentemente non è riuscita a trovare risposte su una pagina nera per la democrazia italiana. La circostanza riferita da Giorgia Meloni nella sua dichiarazione in video, diffusa a reti unificate, secondo cui la richiesta di arresto di Almasri da parte della Corte penale internazionale “non è stata trasmessa al ministero italiano della giustizia come invece è previsto dalla legge“, e per questo, “la Corte di Appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida”, non è stata confermata nelle diverse e contrastanti ricostruzioni fornite alle Camere da Nordio e da Piantedosi e contrasta con il contenuto del provvedimento della Corte di appello di Roma che non ha convalidato l’arresto di Almasri in assenza della richiesta del ministro della giustizia.

In base alla legge 237/2012 attuativa dello Statuto di Roma non si può sottoporre a un potere di iniziativa del ministro della Giustizia  l’osservanza degli obblighi di cooperazione che vigono su ogni autorità nazionale degli Stati Parte dello Statuto di Roma. Secondo l’art. 2 comma 3 della legge, “Il Ministro della giustizia, nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovuteOltre gli articoli 2 e 4 della legge 237/2012, che ha menzionato Nordio, vanno però richiamati gli articoli 3 e 11 della stessa legge che riguardano l’esecuzione delle richieste di arresto sulle quali la valutazione interna spetta alla Corte di Appello e non al ministro. Perché Nordio non ha citato neppure queste norme della legge 237/2012 che riguardano proprio “l’applicazione della misura cautelare ai fini della consegna”?

Il ministro dell’interno Piantedosi non ha indicato quale è stata la catena di comando che ha portato all’espulsione “ministeriale” di Almasri. Senza esprimere, come il suo collega Nordio, una valutazione sulla attendibilità delle contestazioni contenute nell’atto di accusa della Corte Penale, ma non ha avuto dubbi sulla pericolosità di Almasri, che la decisione della Corte di Appello di Roma, peraltro opinabile, non ha tenuto in considerazione, per la mancata tempestività della richiesta proveniente dal ministro della Giustizia. Una posizione, quella del ministro dell’interno, che appare in contraddizione con la tesi della nullità della richiesta di arresto proveniente dalla Corte dell’Aja, propinata da Nordio.

Una serie di contraddizioni a catena. Dopo che Piantedosi aveva faticato per escludere che il rilascio di Almasri fosse condizionato da un ricatto subito dai libici, è stato clamorosamente smentito da un capogruppo della sua maggioranza, Donzelli, braccio destro di Giorgia Meloni. Che ha riconosciuto che l’espulsione ministeriale “nell’interesse nazionale” era avvenuta perché in Libia si trovavano nostri lavoratori esposti a ritorsione ed imprese italiane che potevano subire conseguenze pregiudizievoli se Almasri fosse rimasto in carcere in Italia, in vista di una sua consegna alla Corte Penale internazionale.

Mentre Giorgia Meloni, sulla scia di quanto dichiarato da Piantedosi, ha negato di essere “sotto ricatto”, i suoi più vicini collaboratori, ed altri esponenti della maggioranza, come il vicepresidente della Camera Mulè, di Forza Italia, nel corso del successivo dibattito in Parlamento hanno ammesso il rilascio/espulsione del torturatore libico in nome di un superiore interesse nazionale, se non per motivi di ordine e sicurezza pubblica. Se non è ricattabile Giorgia Meloni, lo è sicuramente il governo italiano che in diversi campi, soprattutto in materia di forniture energetiche e di contrasto delle migrazioni, sta incrementando i livelli di collaborazione con quel governo di Tripoli che è sostenuto sul campo dalla milizia RADA di cui Almasri è un esponente di spicco.

Secondo l’articolo 13 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione 286/1998 applicato da Piantedosi per riportare Almasri a Tripoli, “Per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato, il Ministro dell’interno può disporre l’espulsione dello straniero anche non residente nel territorio dello Stato, dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Ministro degli affari esteri. Perché Piantedosi ha taciuto del tutto sui tempi e sui contenuti della “preventiva notizia” trasmessa a Giorgia Meloni? Che cosa ha risposto la presidente del Consiglio al ministro dell’interno e in base a quali ragioni ha condiviso il provvedimento di espulsione ministeriale adottato da Piantedosi?

In base all’articolo 86 dello Statuto di Roma, ratificato con legge 232/1999, ricorre un “obbligo generale di cooperare” a carico degli Stati parti che “cooperano pienamente con la Corte nelle inchieste ed azioni giudiziarie che la stessa svolge per reati di sua competenza”. Al successivo articolo 87 paragrafo 7 si prevede che “Se uno Stato Parte non aderisce ad una richiesta di cooperazione della Corte, diversamente da come previsto dal presente Statuto, impedendole in tal modo di esercitare le sue funzioni ed i suoi poteri in forza del presente Statuto, la Corte può prenderne atto ed investire del caso l’Assemblea degli Stati parti o il Consiglio di sicurezza se è stata adita da quest’ultimo”.

Secondo l’art. 97 dello stesso Statuto, “Quando uno Stato parte, investito di una richiesta ai sensi del presente capitolo, constata che la stessa solleva difficoltà che potrebbero intralciarne o impedirne l’esecuzione, esso consulta senza indugio la Corte per risolvere il problema”. Perché nessuno ha provveduto a contattare “senza indugio” la Corte dell’Aja esponendo i dubbi sulla validità della richiesta di arresto prima della liberazione di un “pericoloso” ricercato e della sua espulsione per motivi di sicurezza verso Tripoli?

Dopo l’attacco violento portato dal ministro Nordio alla Corte Penale internazionale, fino al punto di metterne in dubbio la correttezza formale e la giurisdizione stabilita dallo Statuto di Roma, si può attendere una dura risposta da parte della Corte dell’Aja che potrebbe mettere anche il governo italiano sul banco degli imputati per la complicità nei crimini contro l’umanità commessi in Libia dalle milizie di cui Almasri è un importante esponente.

Dopo il ritorno di Almasri a Tripoli, la Missione ONU “UNSMIL (Support Mission in Libya)” ha chiesto alle autorità libiche “di arrestarlo e avviare un’indagine su questi crimini con l’obiettivo di garantirne la piena responsabilità, o di consegnarlo alla Corte Penale Internazionale, in linea con il deferimento del Consiglio di Sicurezza della situazione in Libia alla Cpi”. Una circostanza che Nordio e Piantedosi hanno nascosto al Parlamento, limitandosi ad attaccare i giudici nazionali e la Corte dell’Aja.

Se la Libia, intesa come governo di Tripoli, non ottempererà a questa richiesta, e sembra ben difficile che arresti Almasri, dopo l’accoglienza trionfale che gli è stata riservata a Mitiga, allo sbarco dal volo dei servizi italiani che lo riportava in patria, le responsabilità politiche e giudiziarie delle autorità italiane saranno enormi. Ci saranno gravi conseguenze da pagare a livello internazionale, senza che rilevi più di tanto la denuncia penale per favoreggiamento e peculato, ed il procedimento con richiesta al Tribunale dei ministri, avviato doverosamente dalla Procura di Roma, su cui si tenta di sviare l’attenzione generale, tanto da minacciare addirittura una legge di riforma della magistratura, per ridurne i poteri di controllo giurisdizionale.