«Gli Stati Uniti prenderanno il controllo della Striscia di Gaza e ci occuperemo di essa». Sono queste le parole con cui il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha annunciato il proprio piano per il futuro di Gaza. Lo scopo dell’abbozzato programma è quello di raggiungere i tre obiettivi di Israele, che consistono nel distruggere la capacità militare e governativa di Hamas, assicurare il ritorno di tutti gli ostaggi, e accertarsi che «Gaza non costituisca mai più una minaccia per Israele». Le modalità con cui perseguirli sono state elencate senza lasciare spazio a dubbi: gli USA vogliono occupare la Striscia di Gaza per un indefinito periodo «a lungo termine», aiutare Israele a eradicare Hamas inviando altre armi, contrastare l’Iran esercitandovi la massima pressione possibile, e occuparsi delle macerie per costruire la «Riviera del Medio Oriente» aperta a «tutti i cittadini del mondo». Per i palestinesi, invece, il piano è lineare: deportarli nei Paesi vicini.

Il discorso di Trump è arrivato in occasione della conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha seguito i colloqui bilaterali tra i due leader tenutisi a Washington negli ultimi giorni. Il vertice ha costituito il primo ricevimento di un politico estero da parte del presidente statunitense e aveva l’obiettivo di discutere preliminarmente la seconda fase del cessate il fuoco a Gaza. In sede di conferenza stampa, Trump ha preso la parola per primo. Dopo aver elencato quelli che egli ritiene i fallimenti della precedente amministrazione e i successi delle sue due presidenze, Trump ha elencato i punti fondamentali della sua idea per il post-massacro a Gaza. La Striscia non può vivere «un processo di ricostruzione e occupazione da parte di quelle stesse persone che hanno resistito lì, combattuto lì, vissuto una misera esistenza lì e che sono morte lì».

A occuparsi del territorio deve essere uno Stato terzo, nello specifico proprio gli Stati Uniti. Gli USA, insomma, occuperanno la Striscia per un periodo indefinito di tempo: «Ne saremo i proprietari e saremo responsabili dello smantellamento di tutte le bombe inesplose e delle altre armi pericolose presenti sul sito. Spianeremo l’area, elimineremo gli edifici distrutti, la renderemo uniforme e creeremo uno sviluppo economico che fornirà un numero illimitato di posti di lavoro e abitazioni per le persone della zona. Faremo un vero lavoro, faremo qualcosa di diverso».

Il destino dei palestinesi, invece, è quello di essere sparpagliati nei Paesi arabi vicini. «Dovrebbero andare in altri Paesi di interesse, dotati di intenti umanitari; ce ne sono diversi che vogliono accoglierli», ha detto Trump. «La loro accoglienza può essere pagata dagli Stati vicini dotati di grande ricchezza; possono essere uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, dodici siti diversi», l’importante è che se ne vadano. «Così le persone potranno vivere nel benessere e nella pace, non gli si sparerà, e non verranno uccisi o distrutti». Alla fine, in un certo senso, ritiene Trump, anche gli stessi palestinesi potrebbero essere d’accordo con l’idea. «L’unico motivo per cui i palestinesi vogliono tornare a Gaza è che non hanno un’alternativa». Trump, inoltre, ha deciso di eliminare ogni finanziamento all’UNRWA, agenzia «antisemita» che «finanzia il terrorismo»; l’ordine esecutivo è già stato firmato. Il presidente ha anche annunciato che nelle prossime quattro settimane rilascerà annunci riguardo al destino della Cisgiordania.

Dopo il discorso di Trump, «il migliore amico che Israele abbia mai avuto alla Casa Bianca», la parola è passata a Netanyahu, che ha parlato col sorriso stampato sul volto. Il primo ministro ha spiegato il triplice obiettivo di Israele, sostenendo che il piano di Trump «va preso in considerazione» e che «potrebbe cambiare la storia». Tra gli obiettivi di Tel Aviv illustrati da Netanyahu figura anche la distruzione totale di Hamas, di cui i due leader sembrano aver discusso durante i colloqui. Come ottenerla non è ancora chiaro, ma chiara risulta la transazione da un miliardo di dollari in armi firmata da Trump nei giorni scorsi. Altrettanto limpida appare la postura che i due alleati intendono assumere nei confronti dell’Iran: Trump ha parlato della maggiore intransigenza possibile, che passerà dal «restauro di una politica di massima pressione sul regime iraniano» e dalle «più alte sanzioni immaginabili per ridurre l’export di petrolio iraniano a zero» e «ridurre le capacità del regime di finanziare il terrorismo». A tal proposito, Trump ha già firmato un ordine esecutivo e ha dichiarato che chiunque vorrà comprare idrocarburi dall’Iran non potrà fare affari con gli Stati Uniti.

Le parole di Trump hanno avuto un’eco mediatica in tutto il mondo, scatenando reazioni di sdegno da diversi partiti. Egitto e Giordania, i Paesi che secondo Trump sarebbero più disposti ad accogliere i palestinesi deportati, hanno dichiarato il diritto del popolo palestinese a restare nella propria terra, come già fatto in precedenza in occasione dell’ultima analoga dichiarazione del presidente statunitense, appoggiati dall’intera Lega Araba. Il Cremlino e il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov hanno espresso contrarietà verso le parole di Trump, sostenendo la soluzione dei due Stati. Analoghe critiche sono arrivate dalla Cina. Hamas ha rilasciato una nota dove respinge «la dichiarazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, in cui invita il nostro popolo a lasciare la propria patria con il pretesto della ricostruzione», descrivendo la proposta come un «tentativo oltraggioso di sradicare la causa palestinese», e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Abbas ha rimarcato la «necessità» che l’ANP controlli la Striscia.

Le dichiarazioni di Trump sono certamente forti; per quanto abbia illustrato in maniera piuttosto chiara le proprie intenzioni, non risulta altrettanto chiaro quando e come, a tutti gli effetti, pensa di portarle avanti. Anche la posizione di Israele a riguardo, per quanto Netanyahu abbia accolto di buon grado le dichiarazioni di Trump, non risulta ancora del tutto evidente, anche perché sul tema non pare essersi espresso nessun altro politico israeliano al di fuori del premier. In questo momento le trattative per la transizione alla seconda fase del cessate il fuoco dovrebbero essere aperte, e quello di Trump sembrerebbe un piano da attuare durante la terza fase della tregua. Non è insomma chiaro il destino di Gaza nell’imminente futuro, anche perché lo stesso presidente ha dichiarato di «non essere certo che il cessate il fuoco possa rimanere in piedi».

L’articolo originale può essere letto qui