Joe Biden alla fine ha firmato. Il prossimo 6 febbraio saranno 49 anni che Peltier avrà trascorso in carcere. Se Biden ha firmato il 20 gennaio, ci vorranno diverse settimane perché quest’uomo esca definitivamente di galera. Lo aspettiamo a braccia aperte.

Ma perché vi era entrato quel 6 febbraio del 1976?Il 26 giugno precedente vi era stato un violentissimo scontro a fuoco nella riserva di Pine Ridge in South Dakota. Alla fine della giornata rimanevano a terra, morti, due agenti dell’FBI (i due che avevano provocato il tutto) e uno dei nativi dell’American Indian Movement (movimento che in quegli anni vedeva molti nativi americani impegnati in un’ennesima lotta per diritti dei loro popoli). Del nativo, come sempre, non interessò mai nulla, ma alla morte dei due agenti dell’FBI doveva seguire invece una pesantissima vendetta. I ricercati furono tre. I primi due che vennero arrestati, Bob Robideau e Dino Butler, ebbero un processo giusto, vennero assolti, il giudice disse che non vi erano prove contro di loro, ma, anche fosse stati loro, sarebbe stata legittima difesa. Quel giorno erano stati sparati 35mila colpi, in gran parte dagli agenti pervenuti subito dopo sul posto.

 

L’arresto di Leonard Peltier avvenne appunto il 6 febbraio seguente in Canada. Gli Usa ottennero l’estradizione con prove false e, subito dopo, montarono un processo in altra città (Fargo) con altro giudice (di fama razzista) e con una giuria tutta di bianchi. In poco tempo ebbero quello che pretendevano: due ergastoli per Peltier.

Avevano trovato il capro espiatorio che, entrato in carcere a 31 anni, vi è rimasto fino agli 80 suonati.
Le campagne per la sua liberazione iniziarono subito. Che il processo fosse stato una farsa era chiaro a tutti, che le prove non fossero attendibili e soprattutto che nuove prove a sua difesa non fossero state accettate in seguito. Ma fu l’FBI che tenne chiusa quella porta per tutti questi anni. Per la sua liberazione si spesero tempo, energie, forze, di centinaia di persone che in diversi luoghi del pianeta, spesso avvicendandosi, hanno continuato a tener viva l’attenzione su una vicenda che lentamente rischiava di finire nel dimenticatoio.

Centinaia di migliaia di firme raccolte, molte di nomi autorevoli (che non stiamo ad elencare), decine, centinaia di presìdi, marce, manifestazioni, sit-in, e poi murales, articoli, canzoni, appelli; migliaia di cartoline inviate, di messaggi online inviati alla Casa Bianca. Ogni volta era un crescendo in prossimità della fine del mandato del presidente di turno, con qualche speranza in più con i democratici.
Clinton ci andò vicino, ma fu fermato da una vera e propria marcia di 500 persone tra agenti dell’FBI e familiari che fecero sentire la loro voce proprio sul caso Peltier. Obama fu la delusione più feroce, e se lo fu per noi che ci battevamo per la sua liberazione, non riusciamo ad immaginarci cosa fu per Leonard.
E così è rimasto per 49 anni, rinchiuso in un carcere di massima sicurezza, mentre la salute andava sempre peggio, ma lo spirito era sempre lo stesso e non smetteva di lottare, appoggiare le lotte dei suoi fratelli e delle sue sorelle, di resistere, a migliaia di chilometri dai suoi cari.

Personalmente iniziai a manifestare con regolarità per la sua liberazione 14 anni fa. A Barcellona montammo un comitato di solidarietà che fece decine e decine di azioni. Quando mi spostai a Milano 8 anni fa si riprese in quella città, senza smettere e riuscendo a coinvolgere agli ultimi presìdi a Milano, oltre 50 persone sotto il consolato Usa. Nel frattempo le avevamo provate tutte, bussando a moltissime porte. Accolti solo in spazi e mezzi di informazione radicali ed alternativi.

Se tutto per me era partito dal formidabile libro autobiografico dello stesso Peltier La mia danza del sole(divenuto subito introvabile, dopo la prima edizione di 25 anni fa), ci si appoggiò all’ottimo libro di Edda Scozza Il coraggio di essere indiano pubblicato da Massari editore (3 edizioni: 1991, 1997, 2006). Infine, di recente, molto ha aiutato la proiezione in giro per l’Italia del documentario di Andrea Galafassi Mitakuye Oyasin” [«Tutto è connesso», preghiera tradizionale dei Lakota Sioux].

Insomma, si trattava di fare il possibile perché “la spugna” non cadesse a terra. Non è stato facile. Se negli Usa hanno alternato momenti di grande partecipazione, anche di recente, a problemi all’interno della stessa solidarietà, in Germania, in Italia, ma anche in Francia, in Svizzera, Belgio, si è fatto tutto il possibile perché i riflettori non si spegnessero. Una grande mano, qui da noi, arrivò negli ultimi 5 anni dal Centro per la pace di Viterbo animato dall’instancabile Peppe Sini.

In breve: la speranza con Biden era veramente l’ultima e sembrava che il tutto si concludesse con l’ennesimo rifiuto. E’ stato un colpo di coda dell’ultima ora che ha permesso che a Peltier fossero concessi gli arresti domiciliari, al momento non ancora attuati per la lentezza burocratica.
Rabbia e tristezza avvolgono comunque questa vicenda; come il fatto che, se spesso sono stati accoppiati i nomi di Peltier e di Mumia Abu Jamal, per quest’ultimo non si sia mossa foglia. Come il fatto che non ci sia stato il coraggio di dare una grazia definitiva.

Ma nel corso degli anni si era sempre più còlto il fatto che il vero nodo fosse l’FBI, quindi né l’opinione pubblica Usa, né i giudici, né i parlamentari, né, probabilmente, i Presidenti.
Quando abbiamo saputo della sua prossima scarcerazione, della firma di Biden, troppe emozioni si sono accavallate, ma ciò che ha fatto sì che dovesse prevalere la gioia sono state le parole che arrivavano dalle comunità dei nativi negli Usa e quelle stesse di Peltier che, ascoltando la sua voce al telefono, sembrava solo gioire, pronto a fare quello che desidera, in libertà.

Questa storia ha insegnato tanto a chi vi ha partecipato. Ha fatto sentire quanto forte è il potere e soprattutto quanto grande il numero dei suoi servi: una vera cascata. E si è visto come la resistenza richieda costanza, preparazione, affinare gli strumenti, determinazione.
È certo che se noi, fuori del carcere, abbiamo resistito, è stato grazie alla forza di Leonard che continuava a mandare messaggi di coraggio, forza, bontà e sete di giustizia. Forse anche Peltier è riuscito a resistere dentro, perché da fuori non l’abbiamo mai abbandonato.

L’articolo originale può essere letto qui