I giudici della Corte di Appello di Roma hanno sospeso il giudizio e rimesso gli atti alla Corte di giustizia Ue, sollevando una questione pregiudiziale, e con il decorso dei termini, di fatto, respingendo la richiesta di convalida del trattenimento di 43 richiedenti asilo, già denegati il giorno prima con una decisione lampo della Commissione territoriale di Roma delocalizzata in Albania. Per quanto si legge in una delle decisioni adottate dalla Corte di appello di Roma, “l’applicazione della procedura accelerata ha determinato una compressione dei diritti del richiedente, al di là della sua situazione soggettiva e, pertanto, si rende necessario verificarne la legittimità anche in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti”.
I provvedimenti della Corte di appello di Roma richiamano anche la Costituzione con riferimento al diritto di asilo da riconoscere a chi nel proprio paese si veda negato l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, una norma che evidentemente non è stata considerata rilevante dalla Commissione territoriale che è arrivata a respingere in poche ore, per “manifesta infondatezza”, tutte le 43 richieste di protezione internazionale presentate nei centri di detenzione in Albania da persone provenienti in prevalenza dal Bangladesh, ma anche da Egitto, Costa d’Avorio e Gambia.
Dopo queste decisioni della Corte di Appello di Roma sarà ben difficile riaprire i centri di detenzione in Albania prima della prossima estate. Quale che possa essere la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea sulla categoria dei “paesi di origine sicuri”, la violazione dei diritti di difesa e la impraticabilità dei rimpatri forzati da territorio albanese, impediranno comunque, anche in futuro, qualunque attuazione del Protocollo Italia-Albania che risulti conforme al vigente quadro normativo europeo ed alla Costituzione italiana (art. 3,10,13, 24 e 117). Anche se nel 2026 entreranno in vigore i nuovi Regolamenti previsti in materia di screening in frontiera e procedure di asilo dal Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, al di là della contestata categoria di “paese di origine sicuro”, sulla quale un consenso europeo sembra ancora lontano, numerosi aspetti del Protocollo stipulato da Giorgia Meloni con Edy Rama resteranno in contrasto stridente con le nuove norme di derivazione eurounionale. Appare ancora molto confusa, oltre la propaganda governativa che ne fa un elemento centrale, la fase finale della permanenza nei centri di detenzione in Albania, con il rimpatrio verso i paesi di origine. Sembra sempre più probabile che, alla scadenza dei termini di detenzione delle procedure accelerate in frontiera deterritorializzate in Albania, i richiedenti asilo denegati dovranno comunque essere trasferiti in Italia, senza che la percentuale di espulsioni con accompagnamento forzato verso i paesi di origine “sicuri” possa significativamente aumentare.
Di certo non basterà che il governo Meloni esprima il suo “stupore” per le decisioni dei giudici romani. Non ci si potrà neppure rifugiare nell’ennesimo attacco ai giudici che “non permettono” al governo di operare. Questa volta il governo dovrà rendere conto della inapplicabilità del Protocollo Italia- Albania, almeno se si vuole rimanere nei canoni della legalità internazionale, e dei rapporti bilaterali, inclusi gli accordi di riammissione, con quei paesi terzi che con un atto di legge vengono considerati come “paesi di origine sicuri”. Ma che sicuri non sono affatto, come confermano i Rapporti delle agenzie ONU ed i racconti delle persone che arrivano fuggendo proprio da quei paesi. Adesso che i centri di detenzione in Albania sono di nuovo vuoti, e lo resteranno presumibilmente per i prossimi mesi, dopo che il governo aveva deciso la loro apertura ad ottobre dello scorso anno, si deve verificare una volta per tutte la responsabilità contabile di chi ha deciso uno spreco di milioni di euro, con l’avvio dell’applicazione del Protocollo Italia-Albania, malgrado la giurisprudenza che si andava formando sulle procedure accelerate in frontiera, e malgrado la serie di rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia UE.
Ormai la politica migratoria, strumentalizzata dalle destre anche per modificare l’assetto costituzionale, ha spaccato il paese. Se una parte minoritaria, grazie al vasto astensionismo, sta prevalendo con leggi aberranti e con prassi di polizia illegittime, ovunque una resistenza sempre più forte si sta consolidando, anche in territorio albanese, dove è stata presente una missione della società civile italiana che ha raccolto e documentato storie di abusi e prassi illegittime. Il fine non giustifica i mezzi. Perché lo Stato di diritto con le garanzie costituzionali che stabilisce in materia di libertà personale, e poi il diritto di asilo, e quindi i correlati diritti di difesa, non si possono comprimere in nome della volontà dell’esecutivo, in violazione di principi costituzionali e di norme ancora in vigore a livello europeo, dove non è affatto scontato che il governo Meloni continui a ricevere quel supporto che vanta di godere.
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