wIl numero dei giovani presenti in Italia è crollato: negli ultimi dieci anni, la popolazione italiana nella fascia di età tra i 15 e i 34 anni è diminuita di quasi 750mila unità, pari al -5,8 per cento. Nel 2014 avevamo poco più di 12,8 milioni di giovani; nel 2024 ci troviamo con meno di 12,1 milioni. Questa contrazione ha colpito il Centro (-4,9 per cento) e, in particolare, il Mezzogiorno, con una riduzione allarmante del -14,7 per cento. Al Nord, invece, il saldo di quasi tutte le regioni è preceduto dal segno più. Le previsioni, tuttavia, non sono affatto rassicuranti: la denatalità continuerà a fare sentire i suoi effetti negativi in tutto il Paese. È altresì utile sottolineare che la crisi demografica interessa una buona parte dei paesi dell’Unione Europea; eppure, in Italia assume proporzioni molto più preoccupanti rispetto ai nostri principali concorrenti commerciali. Tra il 2014 e il 2023, infatti, mentre la Spagna ha visto un calo del 2,8 per cento, altri hanno registrato tendenze opposte: la Francia +0,1, la Germania +1,7 e i Paesi Bassi addirittura +10,4. La media nell’Area Euro si attesta sul -1,9 per cento. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA con un recente Report.

Un calo che per quasi il 98% è avvenuto al Sud. Dei 747.672 giovani in meno registrati nell’ultimo decennio (2014- 2024), ben 730.756 infatti sono riconducibili al Mezzogiorno e altri 119.157 si riferiscono al Centro. Il Nord, invece, ha ottenuto un buon risultato, in parte ascrivibile alla presenza degli stranieri e alla migrazione dei giovani dal Sud. Sempre tra il 2014 e il 2024, infatti, la popolazione giovanile è aumentata di 46.821 unità nel Nordest e di 55.420 nel Nordovest. A livello provinciale, infine, le contrazioni più importanti hanno interessato la Sud Sardegna (-25,4 per cento), Oristano (-23,4), Isernia (-21,5), Reggio Calabria (-19,6) e Catanzaro (-19,3). Delle 107 province monitorate, solo 26 hanno registrato un saldo positivo. Spiccano, in particolar modo, i risultati ottenuti a Gorizia (+9,7 per cento), Trieste (+9,8), Milano (+10,1) e Bologna (+11,5).

La CGIA evidenzia come nel 1943 le nascite fossero più che doppie rispetto a oggi. “Confrontare dati relativi a periodi distanti nel tempo, sottolinea l’Ufficio studi, presenta sempre delle insidie, soprattutto quando si parla di un intervallo di 80 anni. Tuttavia, per quanto riguarda le nascite, il metodo di calcolo non è mai cambiato nel corso dei decenni. Continua a basarsi sulle dichiarazioni registrate presso gli sportelli dell’anagrafe di ciascun Comune.” Detto ciò, l’Ufficio studi della CGIA ha effettuato un confronto tra i nati vivi del 1943 e quelli del 2023. I risultati sono sorprendenti: nel pieno della seconda guerra mondiale, le nascite in Italia furono pari a 882.105, più del doppio rispetto alle circa 380mila registrate nel 2023. Nel 1943 l’Italia aveva quasi 14,5 milioni di abitanti in meno rispetto ad oggi, ma registrava al contempo 500mila nascite in più. “Non possiamo continuare a sostenere, constata la CGIA, che la denatalità degli ultimi anni sia esclusivamente attribuibile alla mancanza di servizi per l’infanzia e all’insufficienza degli aiuti pubblici alle giovani famiglie. Certo, questi aspetti sono rilevanti, ma è altrettanto vero che 80 anni fa, con il Paese in guerra, le condizioni di vita e le prospettive future erano decisamente peggiori rispetto a quelle attuali.” 

La CGIA sottolinea la necessità di investire di più nella scuola, nell’università e nella formazione professionale. “In aggiunta alla diminuzione, si legge nel Report, quando analizziamo la platea giovanile l’Italia presenta altri indicatori negativi: il tasso di occupazione, il livello di istruzione sono tra i più bassi d’Europa e l’abbandono scolastico rimane una problematica significativa soprattutto nelle regioni meridionali. Nei prossimi decenni queste criticità potrebbero avere ripercussioni gravissime sul mondo imprenditoriale. Già da qualche anno avvertiamo le prime avvisaglie soprattutto nel Centro-Nord: le aziende incontrano sempre maggiori difficoltà nel reperire personale qualificato; questo sia per la mancanza di candidati che per l’insufficienza delle competenze delle persone che si presentano ai colloqui. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro è sempre più evidente e richiede scelte politiche urgenti; investendo, in particolare, molte più risorse nella scuola, nell’università e, soprattutto, nella formazione professionale.”

Qui per approfondire l’analisi dell’Ufficio studi della CGIA di Mestre: https://www.cgiamestre.com/wp-content/uploads/2025/01/Pochigiovani-25.01.25.pdf