Oggi, come nani sulle spalle di giganti, possiamo riconoscere quanto dobbiamo a Elena Croce, traduttrice, saggista, scrittrice e, soprattutto, pioniera dell’ambientalismo italiano. Tra i cinque fondatori del movimento ecologista in Italia, insieme ad Antonio Cederna, Alexander Langer, Giorgio Nebbia e Aurelio Peccei, è stata la prima vera attivista civica e ambientalista italiana.
Proprio nella giornata in cui ricorrono 110 anni dalla sua nascita, avvenuta a Napoli il 3 febbraio 1915, non possiamo ignorare il contesto familiare che ne influenzò profondamente il percorso. Primogenita di Adele Rossi e Benedetto Croce, filosofo e critico, ereditò un’educazione impregnata di sensibilità culturale e impegno civico. Suo padre, infatti, fu promotore della prima legge europea sulla tutela del paesaggio, varata nel 1922 durante il IV governo Giolitti.
Un imprinting familiare che sicuramente ha favorito lo sbocciare della sua figura visionaria e anticipatrice dei tempi, che sedimenterà nella seconda parte della sua vita intorno al suo libro-manifesto La lunga guerra per l’ambiente (Milano, Mondadori, 1979; nuova edizione a cura di A. Caputi e A. Fava, introduzione di S. Settis, Napoli, La scuola di Pitagora, 2016), da lei stessa definito come una raccolta di «considerazioni di un cittadino medio di qualche educazione ed esperienza culturale». Una “cittadina media” a cui dobbiamo la nascita, nel 1955, di “Italia Nostra”, la prima associazione ambientalista del nostro Paese, insieme a Umberto Zanotti Bianco, Desideria Pasolini dall’Onda, Hubert Howard, Giorgio Bassani e Pietro Paolo Trompeo.
Il suo impegno in prima persona nel territorio campano portò, nel 1969, assieme alla sorella Alda, a Mario De Cunzo e ad Antonio Iannello, a fondare il “Comitato per la difesa dei beni culturali e ambientali di Napoli e della Campania”. E nel 1975 al varo dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici insieme a Enrico Cerulli, Giovanni Pugliese Carratelli, Pietro Piovani e Gerardo Marotta. Senza dimenticare che Elena Croce ispirò anche la creazione del FAI – Fondo Ambiente Italiano, spingendo l’amica Giulia Maria Mozzoni Crespi a dar vita a un’istituzione sul modello del “National Trust” britannico.
Mai pessimista, come ci ha raccontato la figlia, scrittrice e saggista, Benedetta Craveri, amava ripetere: «Vale sempre la pena combattere». Un messaggio potente che oggi vorremmo trasmettere alla Generazione Z, in un’epoca nella quale le battaglie ambientali sembrano più urgenti che mai, ma sempre più difficili da attuare, in un contesto storico dove l’economia fossile e speculativa sembra essere tornata a prendere il sopravvento. Però, tra le luci e le ombre del nostro tempo, non tutto è perduto.
Oggi ci piacerebbe sapere cosa avrebbe detto, Elena Croce, davanti alla demolizione dell’Hotel Fuenti, il primo ecomostro italiano sulla costiera amalfitana, a Vietri sul Mare, dove ora sorgono giardini e terrazze, avvenuta nel 1999, cinque anni dopo la sua morte. Una battaglia che lei stessa aveva avviato, insieme a Antonio Cederna e Antonio Ajello, fin dagli anni ‘70, raccolta negli anni a venire da Legambiente.
Oppure, cosa avrebbe pensato di fronte alle vicende giudiziarie che hanno messo in luce le contraddizioni del cosiddetto “modello Milano” e dell’urbanizzazione selvaggia lombarda. Fenomeno che già negli anni della ricostruzione post-bellica, Elena Croce aveva individuato come una minaccia per la qualità della vita nelle città italiane, a partire dall’ingiustizia sociale subita dalle fasce di popolazione meno abbienti, spinte sempre più verso le periferie.
Fenomeno tornato a esplodere a causa dell’over tourism post-pandemia a Napoli, come a Roma o Venezia, e in tutti i centri culturali e d’arte italiani. Senza dimenticare quella mancata restituzione dei territori inquinati dall’epoca industriale e non ancora del tutto ripristinati, pensando a Bagnoli e all’Italsider. E al disastro ambientale e sanitario causato dalle ecomafie, come attestato dalla recentissima sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, a proposito degli sversamenti illegali nella Terra dei Fuochi.
Ecco, nel ricordare oggi Elena Croce, ci è di conforto pensare al valore della sua lezione culturale, civica e ambientalista, come fonte e ispirazione per il nostro agire quotidiano. E la scelta di dedicare a lei il primo incontro sulle madri e i padri dell’ambientalismo italiano, che si terrà online il prossimo 20 febbraio all’interno del Corso di giornalismo ambientale e culturale promosso da Sapereambiente e dalla Scuola di ecologia, non è certo casuale. Sarà, quindi, un grande onore presentare la sua figura, le sue azioni e i fatti più salienti della sua vita come messaggio per le nuove generazioni.
Ne parleremo insieme a figure come Margherita D’Amico, nipote di Elena Croce, giornalista e a sua volta attivista ambientale; Alessandra Caputi, ricercatrice indipendente e attivista di Italia Nostra, che si è occupata degli archivi di Elena Croce e Antonio Iannello per conto dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici; Annamaria Guadagni, giornalista culturale curatrice della biografia della scrittrice di prossima uscita per Garzanti; Roberto Della Seta, già presidente di Legambiente e storico del pensiero ecologico.
Anche perché è quanto mai vero, nella fase che stiamo attraversando, ciò che la stessa Elena Croce ci ha consegnato attraverso il volume che citavamo sopra e che resta come la traccia più profonda del suo impegno, La lunga guerra per l’ambiente, Mondadori 1979:
«Se non si tenta di salvare tutto ciò che è stato fatto a misura d’uomo, tutto ciò che ha un valore per l’ambiente, non si salva nulla».