La Cassazione ha sollevato una questione di legittimità davanti alla Corte Costituzionale ritenendo rilevante la possibilità di una lesione dei diritti di difesa delle persone trattenute nei centri di detenzione amministrativa (CPR, ma anche Hotspot e assimilati, in prospettiva anche il centro per i rimpatri di Gjader in Albania). Con la ordinanza 4308/2025, depositata il 31 gennaio, la prima sezione penale chiede alla Consulta di pronunciarsi sulla legittimità costituzionale della legge 187 del 2024 che ha inciso sulla procedura in frontiera e sulla disciplina processuale, abbreviando i termini per i ricorsi contro i decreti di trattenimento adottati dai questori, fino a rendere evanescente il diritto alla difesa garantito dall’art.24 della Costituzione.
La Cassazione non prende in considerazione il termine brevissimo di cinque giorni stabilito per il deposito del ricorso, ma invita la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla norma che obbliga la stessa Cassazione a decidere “nel termine di sette giorni dalla ricezione degli atti (…) senza intervento dei difensori” e “con contestuale motivazione”. In questa previsione si ravvisa una potenziale lesione del principio del contraddittorio ed una violazione delle garanzie di difesa accordate a qualunque persona, a prescindere dalla nazionalità e dalla condizione di soggiorno nel territorio italiano anche in base all’art.2 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998.
L’ordinanza, per quanto si riferisca ad una singola norma di portata processuale, con riferimento ai tempi del giudizio in Cassazione, inserita in una “valanga normativa” che il governo ha scaricato a colpi di decreti legge (poi confluiti nella legge 187/2024) sui richiedenti asilo in stato di trattenimento amministrativo, contiene richiami a principi costituzionali che potrebbero orientare future decisioni della Corte, e dei giudici dei Tribunali e delle Corti di Appello, anche su altri profili delle procedure accelerate in frontiera. E già in precedenza la stessa Corte Costituzionale, con riferimento ad analoghi casi di detenzione amministrativa, aveva rilevato con la sentenza n.212 del 2023, con riferimento ai tempi del trattenimento, “prassi applicative distorte”.
La Corte di cassazione, con la sentenza n. 2967 depositata il 27 gennaio, relativa al cd “Decreto flussi” (Dl 145/2024 convertito dalla legge 187/2024), aveva accolto il ricorso di un cittadino marocchino perché la motivazione della Corte di appello relativa alla convalida del trattenimento era inesistente in assenza delle condizioni previste dall’articolo 6 del Decreto legislativo n. 142/2015 come modificato lo scorso anno con il cd, “decreto flussi” (adesso legge 187/2024) . Secondo la Cassazione la nuova disciplina introdotta dal legislatore con il decreto flussi “sospinge maggiormente nell’area penale la materia del trattenimento” e “trova coerenza in una più elevata attenzione alla necessità di un pronto controllo giurisdizionale sulle limitazioni della libertà personale”.
Tale scelta normativa, si legge nella sentenza, “attiene alla materia processuale, che, come ha ribadito in più occasioni la Corte costituzionale, è di esclusiva spettanza del legislatore e si caratterizza per la più ampia discrezionalità, sempre che non siano ravvisabili profili di manifesta irragionevolezza e arbitrarietà”. Da qui, prosegue la Corte, “l’inconcludenza, ai fini della prospettazione di vizi processuali o di legittimità costituzionale, dei richiami difensivi alle precedenti scelte legislative (frutto di un diverso e del pari insindacabile esercizio della discrezionalità riservata al decisore politico), che hanno caratterizzato la disciplina previgente con l’opzione preferenziale per le sezioni specializzate in materia di immigrazione”.
Tuttavia, si rileva che il decreto di trattenimento del Questore risulta “graficamente mancante di alcun apporto motivazionale relativo al tema centrale del controllo giurisdizionale demandato al giudice nel procedimento di convalida, promosso con la richiesta di convalida della disposta proroga del trattenimento”. E dunque ricorre un difetto di motivazione in assenza di un’indicazione di ragionata condivisione delle valutazioni del questore con conseguente annullamento del decreto di proroga del trattenimento.
Nella sua ordinanza n. 4308/2025 del 3 febbraio scorso, di rinvio alla Corte costituzionale, la Cassazione si occupava del ricorso contro un decreto di trattenimento adottato dal Questore di Nuoro nei confronti di un richiedente asilo algerino, detenuto nel famigerato centro per i rimpatri di Macomer in Sardegna, e già in precedenza destinatario di misure di espulsione e di trattenimento, convalidato prima della richiesta di asilo con provvedimento di un giudice di pace. […]
Manca in questa fase del giudizio in Cassazione, per effetto del collegamento tra norme eterogenee, la garanzia della partecipazione del difensore in camera di consiglio. La decisione di rinvio alla Corte Costituzionale richiama soltanto questo tra i diversi motivi di ricorso proposti dalla difesa del richiedente asilo. Si tratta comunque di una questione che si può proporre in una serie molto ampia di casi, tutte le volte che nei termini brevissimi consentiti dall’attuale normativa si riesca ad impugnare una decisione della Corte di Appello che convalida il trattenimento amministrativo di un richiedente asilo. A tale riguardo la Cassazione rileva l’esigenza di sottoporre il dubbio di legittimità alla Corte costituzionale.[…]
Il disegno perseguito dal governo italiano, e in modo diverso dalla nuova normativa dell’Unione europea che entrerà in vigore con l’applicazione entro il 2026 dei Regolamenti previsti dal Patto sulla migrazione e l’asilo, ha come obiettivo immediato l’abbattimento del diritto di asilo anche attraverso interventi sulle procedure che rendano impossibile il riconoscimento di questo diritto e l’esercizio effettivo dei mezzi di ricorso.
Appare evidente come il rispetto dei diritti umani e delle garanzie delle libertà fondamentali, in base al principio di uguaglianza tra tutti gli esseri umani sia percepito come un ostacolo alle politiche migratorie di contenimento dei “flussi migratori” e di respingimento o di ritorno verso i paesi di origine, e se questo non fosse possibile, anche verso paesi terzi ritenuti “sicuri”. Infatti adesso la vera partita aperta a livello europeo si giocherà sulla riformulazione della Direttiva rimpatri 2008/115/CE e nell’immediato alla sua deroga. Perchè anche questa direttiva che nel 2008 veniva definita come la Direttiva della vergogna, oggi appare eccessivamente “garantista” rispetto alle promesse di espulsioni di massa che i governi europei continuano ad assumere nei confronti del proprio elettorato.
Fino a quando non saranno modificate le norme costituzionali a livello nazionale, o le previsioni sui diritti fondamentali contenute nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e nelle Convenzioni dell’ONU, come la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, per ogni tentativo di allontanamento forzato o di detenzione amministrativa che violi i diritti umani, in nome dell’astratta esigenza di “difesa dei confini” o per un “superiore interesse nazionale”, magari anche soltanto per propaganda elettorale, saranno esperibili tutti i rimedi giurisdizionali che gli ordinamenti democratici improntati allo “Stato di diritto” continuano a prevedere. Con l’auspicio che gli organi giudiziari di vertice come la Corte costituzionale non finiscano per essere condizionati con la nomina di giudici di estrazione politica, come purtroppo potrebbe verificarsi molto presto in Italia.
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