La Facoltà Teologica della Sardegna, il “Comitato Sardegna grandi eventi” e l’associazione “Suor Giuseppina Nicoli”, hanno organizzato per l’anno accademico 24/25 un ciclo di incontri, aperti a tutti e accreditati per la formazione dei docenti, dal titolo “FACCIAMO L’UOMO” (Gen 1,26) L’umanità tra radici è futuro. Protagonista del primo incontro, tenutosi l’8 novembre 2024, è stato Salvatore Natoli con la sua conferenza su L’uomo del futuro – Il futuro dell’uomo.

Venerdì 10 gennaio, si è tenuto il secondo incontro, affidato a Bachisio Bandinu, noto antropologo e scrittore sardo, sul tema Uomo e Tecnologia: tra tradizione e innovazione. Da una riflessione sul destino dell’uomo, da un punto di vista universale (1°incontro) si prende ora in considerazione un’esperienza locale, circoscritta in un territorio particolare, in un ambiente naturale e sociale, portatore di un percorso storico-culturale, quale quello che caratterizza l’isola di Sardegna.

Questo mio scritto non vuole essere un resoconto dettagliato dell’evento, ma una restituzione personale di ciò ha attratto la mia attenzione ed è rimasto nella memoria.

Dopo i saluti e una breve presentazione del preside della Facoltà, dott. Mario Farci, di recente nomina a vescovo di Igesias, il moderatore dell’incontro don Antonio Pinna, emerito professore di Sacra Scrittura della Facoltà Teologica, ha posto delle domande stimolanti sulla questione dello sviluppo della tecnica che nel tempo storico ha sempre innescato processi innovativi di cambiamento. La sua Interlocuzione con l’antropologo si è basata sugli stimoli del libro di Bandinu, Il re è un feticcio (del 1977), un testo stimolante e attuale ancora oggi.

Professor Bandinu ha proposto la sua visione del percorso antropologico della gente sarda dal neolitico ai nostri giorni: dall’homo faber, il forgiatore dell’ossidiana del Monte Arci, diffusa in tutto il Mediterraneo, all’homo tecnologicus della contemporaneità, basti pensare al campo della comunicazione. I problemi sono sorti per le popolazioni della Sardegna, quando il processo di innovazione dovuto allo sviluppo delle scienze e della tecnica è stato accompagnato dallo sradicamento delle forme di vita personale e sociale delle comunità sarde da parte delle forze economiche che dovevano ammodernare, liberare dall’arretratezza e, in qualche modo, dalla barbarie le popolazioni sarde (i sardi identificati come banditi).

Questo sradicamento è avvenuto anche tramite la scuola nella quale ai bambini e alle bambine veniva proibito l’uso della lingua materna, il sardo nelle diverse varianti, anche attraverso punizioni corporali. Ricordi d’infanzia. Anche la Chiesa ha avuto la sua parte di responsabilità: il sardo, parlato dai parroci e utilizzato nelle prediche, pian piano è scomparso. L’inculturazione della fede cristiana in lingua sarda è svanita. Argomento che professor Bandinu sviscere anche nel volume  di recente pubblicazione, Per una chiesa sarda, Edizioni Fondazione Sardinia, Monastir (CA) 2024.  L’identità, cioè l’aver consapevolezza di sé, della propria realtà umana, ambientale, sociale e culturale pian piano viene meno, e viene assorbita nell’omologazione imperante, a cominciare dall’abbandono della lingua e del ballo sardo.

Il “Piano di rinascita della Sardegna”, preparato dagli anni cinquanta e istituito dal Parlamento con la legge 11 giugno 1962 n. 588, fu il grimaldello della colonizzazione economica, con la turistizzazione dell’Isola, in particolare nel Nord Est (la Costa Smeralda) e l’industrializzazione, con la Petrolchimica fin nel cuore della Sardegna, nella piana di Ottana. Se il coltello in tasca (sa leppa o s’arresoia) era stato lo strumento di lavoro indispensabile del pastore e del contadino, e la parola il mezzo di creazione di senso nella vita della comunità, nei rapporti familiari e di vicinato, il chiuso di una fabbrica, con il lavoro ripetitivo e alienante divenne il nuovo contesto di vita di molte persone.

Il Piano di rinascita fu in gran parte un fallimento: la Sardegna ha continuato a essere terra di emigrazione, gran parte delle industrie hanno chiuso, lasciando cattedrali nel deserto, le campagne in stato di abbandono.

Se un tempo, in Sardegna e non solo, un arredo per la casa era costruito per durare tutta la vita, oggi si producono oggetti programmati per essere sostituiti nel giro di poco tempo, e oggetti usa e getta. Con l’avvento di internet, dello smartphone, dell’intelligenza artificiale si sta andando verso una trasformazione antropologica radicale: si parla di post-umanesimo e trans-umanesimo. Il problema afferma professor Bandinu non è lo sviluppo scientifico e della tecnologia da esso derivante, ma come questo processo viene esperito: se resta uno strumento da utilizzare per una crescita equilibrata ecosostenibile o diventa un fine in sé, per il profitto delle industrie, da quelle farmaceutiche a quelle belliche.

L’antropologo negli ultimi decenni ha fatto delle inchieste sui giovani delle scuole superiori della Sardegna con campioni molto alti, sei settemila studenti, e ha scoperto che lo scarto generazionale si sta sempre più riducendo: le nuove generazioni si succedono nel giro di cinque anni, con differenze importanti di comportamenti e visione della realtà. Lo smartphone sempre a portata di mano – che sembra connettermi facilmente con il mondo, che mi dà risposte immediate ai bisogni di conoscenza, senza dover costruire attraverso la ricerca e lo studio personale i saperi – atrofizza la mente e ci fa sempre più dipendenti e incapaci di un giudizio personale sugli accadimenti.

I giovani sardi non hanno prospettiva di vita nell’Isola e esprimono il proposito di andare a studiare nelle Università italiane e straniere e ivi cercare lavoro. Spopolamento e denatalità (0,9 = tasso di natalità per coppia) sono fenomeni correlati a mancanza di prospettive per il futuro.

Alla domanda sull’essere ottimisti o pessimisti per il futuro, il professore ha risposto che ciò non è rilevante: non si tratta di rivendicare una identità sarda becera, immutabile, che non c’è mai stata, ma la capacità di assumere e governare consapevolmente i processi di cambiamento, conservando ciò che ci fa essere noi stessi, le nostre radici capaci di dare senso al nostro stare nel mondo da protagonisti e non da sottomessi.

La conferenza può essere rivista sul canale Youtube della Facolta Teologica della Sardegna: https://www.youtube.com/@facoltateologicadellasardegna