Tanaru era un uomo della foresta, l’ultimo della sua tribù e ha vissuto completamente isolato dal resto del mondo per tutta la sua vita.

Ha rifiutato ogni contatto con i cosiddetti “civilizzati”, anche con gli uomini del ministero brasiliano chiamati a proteggere le terre indigene dell’Amazzonia.

Tanaru, costruiva ripari temporanei, coltivava per un periodo un orto con mais e manioca, raccoglieva frutti selvatici e cacciava piccoli animali: poi si spostava in un’altra zona della foresta e ricominciava da capo.

Scavava buche, forse come riparo d’emergenza, forse perchè legate al suo mondo spirituale che però è rimasto completamente sconosciuto.

Il suo appelativo deriva da Índio do Buraco o Índio Tanaru (in italiano, letteralmente, “Indigeno del buco”).

Quando una squadra della Fundação Nacional do Índio, FUNAI, lo incontrò per la prima volta nel 1996, lui si oppose al contatto, puntandogli una freccia attraverso una fessura nel suo riparo di foglie di palma.

Il suo rifiuto di essere conosciuto dai “civilizzati” è rimasto fermo nel tempo e ha fatto da apripista alla concezione secondo cui il diritto a rimanere isolati deve essere rispettato.

Gli “isolados”, costituiscono infatti una categoria particolare del mondo dei nativi e sono coloro che non hanno contatti con la civiltà globalizzata, o che, se ne hanno avuti, hanno deciso di interromperli.

I componenti di questi piccoli gruppi, sono estremamente vulnerabili e non hanno difese immunitarie verso le malattie infettive come il morbillo o la varicella, a cui la quasi totalità delle società umane sono state esposte nel corso del tempo.

Essi vivono costantemente in fuga e devono continuamente fare fronte all’invasione delle loro terre da parte di contadini, tagliaboschi, minatori, compagnie energetiche e allevatori di bestiame.

La condizione di “isolados”, secondo Survival international (movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni fondato a Londra nel 1969), riguarda non meno di 100 etnie, presenti nel continente Americano, in Asia e in Oceania.

Quando Tanaru è morto, la sua tribù è scomparsa dalla faccia della Terra, una sorte comune a quella di altri gruppi che dall’arrivo dei bianchi in Amazzonia, hanno fatto la stessa fine.

Una storia brutale, fatta di persecuzione e sterminio, proseguita anche in tempi recenti, durante la dittatura militare dal 1964 al 1985, quando nuove ondate di coloni e allevatori sono stati incoraggiati a sottrarre la foresta ai suoi abitanti, molti dei quali sono stati cacciati a forza, avvelenati, intenzionalmente contagiati dal vaiolo, o massacrati durante incursioni nei villaggi.

Una politica di occupazione che in qualche modo è proseguita durante gli anni della presidenza Bolsonaro.

Tanaru, è miracolosamente scampato a questa sorte grazie al suo straordinario isolamento e all’intervento della Procura generale che ha difeso l’area in cui ha vissuto, come territorio indigeno dello stato di Rondonia, operando in aperto contrasto con gli avvocati dei potenti imprenditori della deforestazione e dell’allevamento che chiedevano (e chiedono) di poter sfruttare quel territorio.

Dopo la sua morte, il tentativo delle aziende di impossessarsi di un’area vasta 8.000 ettari, ha subito un’accelerazione, tanto che gli avvocati delle imprese affermano che se la protezione era da considerarsi eccessiva già durante la permamenza di Tanaru, adesso è diventata un vero e proprio abuso governativo.

“Discutere la demarcazione di un’area priva di popolazione indigena è del tutto ingiustificabile e non è previsto dalla nostra costituzione federale”, ha dichiarato a The Guardian, l’avvocato Sandro Salonski, una posizione che mette in chiaro come le imprese faranno di tutto per infrangere anche l’ultimo tabù, quello di accapparrasi le terre native diventate “libere” a causa della scomparsa di chi le ha abitate.

La fine dell’ultimo individuo di un gruppo umano che per millenni ha vissuto in una porzione di foresta amazzonica, può dunque aprire le porte ad un definitivo spossessamento della sua terra di origine, lasciando spazio a chi opera nell’interesse privato e che non ha alcun attenzione alla tutela dell’ambiente naturale, nè tantomeno alla conservazione della cultura ancestrale di chi ha popolato quei luoghi.

La questione, tutta giuridica, verte dunque sulla demarcazione ufficiale del territorio che, secondo il Procuratore federale Daniel Luis Dalberto, continua ad appartenere agli indigeni anche dopo la morte del loro ultimo esponente: per il magistrato, che ha avviato un’azione legale per formalizzare questo status, si tratta infatti una condinzione ragionevole e ben argomentata.

Nel caso che l’azione abbia successo, sarebbe la prima volta che uno spazio naturale viene protetto come misura di riparazione per l’eliminazione dei suoi abitanti, piuttosto che per consentire a un gruppo vivente di prosperare.

La questione è fondamentale, considerato che la foresta non vincolata viene normalmente acquisita tramite un processo in cui i lotti vengono registrati in modo fraudolento e poi consolidati in proprietà private che si estendono per centinaia di migliaia di ettari.

La demarcazione definitiva del territorio dove ha vissuto Tanaru, impedirebbe questo accapparamento e aprirebbe la strada ad una nuova concezione di tutela della foresta dove la demarcazione estinguerebbe anche le proprietà acquisite in modo truffaldino.

Il territorio indigeno posto in salvaguardia che rimane tale anche dopo la scomparsa della comunità che vi ha vissuto, è dunque un modo per contrastare l’idea che la pulizia etnica sia lo strumento che conduce automaticamente ad acquisire diritti su quell’area.

Al momento, in Brasile, è certo che vi sono altre comunità di “isolados”, ovvero gruppi di nativi composti da poche persone che non hanno rapporti con i “civilizzati” e che vivono sulle loro terre non ancora demarcate.

Per poterli difendere dagli appettiti degli speculatori e dei latifondisti è comunque necessario che gli agenti del Funai, pur evitando il contatto, possano avvicinarsi a sufficienza per fotografare capanne, manufatti o altri segni che ne dimostrino l’effettiva esistenza.

In questo senso, la storia di Tanaru, che secondo la ricostruzione fatta dall’agente Altair Algayer, era l’unico sopravvissuto al massacro della sua tribù, perpretrato da un allevatore della zona e rimasto impunito, è diventata uno spartiacque.

Se la terra in cui ha vissuto come ultimo individuo del suo clan verrà tutelata, allora anche i suoi “fratelli” e le sue “sorelle” che volontariamente abitano i recessi delle grandi foreste del Brasile (e del pianeta), potrebbero avere un futuro.

Viceversa, se prevarrà quanto chiesto dagli avvocati dei potenti, nuovi territori saranno sottoposti a distruzione e le ultime testimonianze di una esistenza diversa, perfettamente integrata con la natura e alternativa alla nostra, potrebbero essere definitivamente compromesse.

(Fonti: O Globo, The Guardian)