Il 28 gennaio 2025 si è svolto l’incontro presso il teatro Monni a Campi Bisenzio per il trentaduesimo anniversario dell’amicizia fra il comune di Campi Bisenzio e il popolo saharawi (Bir Lelhlu).

Visitata la mostra fotografica di Renato Ferrantini, “Saharawi. Oltre l’attesa”, abbiamo potuto ascoltare i saluti della vicesindaca di Campi Bisenzio Federica Petti, del rappresentante RASD per la Toscana Abdellahi M. Salem, dell’assessora per i gemellaggi Simona Pizzirusso, di Sandra Gesualdi, direttrice del teatro Dante Carlo Monni e della presidente di Città Visibili e della Rete Saharawi Nadia Conti.

Nel corso degli interventi ogni interlocutore ha ricordato la vicinanza al popolo saharawi e l’amicizia che da sempre lega questo popolo all’Italia, nella speranza che, secondo quanto affermato dal diritto internazionale, questo popolo possa affermare liberamente il diritto alla autodeterminazione e tornare nei propri territori occupati da oltre 40 anni.

Molto interessante è stato l’intervento di Mattia Baldini, autore del libro “L’ultima colonia – Storia dell’autodeterminazione del Popolo Saharawi” che ci ha permesso di ripercorrere assieme alla genesi di questo testo anche tutti gli aspetti di questa situazione ed i fallimenti del nostro mondo occidentale per risolvere questa annosa questione che, come in molti altri casi, vede violata la libertà di un popolo.

Mattia si è soffermato con noi per rispondere ad alcune domande e approfondimenti.

 

Mattia come è nata l’idea di questo libro?

L’idea di questo libro è nata durante il mio periodo all’università, quando mi sono approcciato alla questione saharawi per ragioni di studio. Approfondendo poi questo argomento, che ho trovato sin da subito decisamente interessante, ho ben presto scoperto che non solo non esistevano libri di autori italiani su quel tema, ma che anche i testi e le pubblicazioni di autori stranieri non erano disponibili nel nostro paese. Ricordo di essere andato anche alla biblioteca nazionale per consultare il catalogo generale dei libri pubblicati in Italia ed aver scoperto lì che i testi di moltissimi autori che trattano il Sahara Occidentale (per la maggior parte professori di università spagnole, francesi e statunitensi) non erano mai stati ripubblicati da case editrici italiane e non avevano quindi diffusione. Allora ho pensato che sarebbe stato utile scrivere un libro sulla storia del Popolo Saharawi perché, anche al di là di ogni considerazione politica o ideologica, è una storia che merita veramente la pena di essere raccontata. E così, diversi anni dopo, nel 2024, con l’aiuto della casa editrice Cronache Ribelli, ho finalmente realizzato quest’idea.

Nel percorso di raccolta delle informazioni e costruzione del libro quale è la scoperta che ti ha colpito di più?

Dal punto di vista dello storico dilettante forse la scoperta più interessante è rappresentata dalle molte connessioni che esistono tra la storia recente di una nazione europea, la Spagna, e la storia del Sahara Occidentale e del Popolo Saharawi. Questo è un fatto non scontato, ma senz’altro sconosciuto al grande pubblico. Tutti sanno, ad esempio, quanto l’Algeria sia stata importante nella storia recente francese, ma quasi nessuno conosce l’importanza che il Sahara Occidentale ha rappresentato nella storia spagnola del ‘900. 

Invece, dal punto di vista dello scrittore, altrettanto dilettante come lo storico, è stato affascinante immergersi nelle vicende personali dei protagonisti umani di questa vicenda. Come ho scritto nell’introduzione del libro, questa è anche e soprattutto la storia di singole persone, alcune delle quali sembrano davvero personaggi usciti da romanzi o pellicole cinematografiche. È la storia del chej Ma el Ainin, che volle combattere l’esercito francese in una guerra che non poteva vincere ma che valeva comunque la pena combattere. È la storia di Emilio Bonelli e Francisco Bens, esploratori spagnoli approdati sulle coste del Sahara come anonimi ufficiali e tornati a Madrid, vent’anni dopo, come leggende viventi tra i saharawi ma praticamente sconosciuti in patria. È la storia di El Uali Mustafa Sayed e dei suoi compagni, tutti ventenni, che vollero dimostrare come le rivoluzioni fossero possibili anche nel Sahara ed ebbero ragione, ma non fortuna.

Quale è la cosa che manca e sulla quale il mondo occidentale democratico ex colonizzatore (ma oggi colonizzatore indiretto) di molti popoli dell’Africa dovrebbe impegnarsi e cosa modificare?

Credo che semplicemente il mondo occidentale dovrebbe esigere nelle sedi adeguate, ovvero le Nazioni Unite, il rispetto del diritto internazionale. La questione del Sahara Occidentale, dal punto di vista del diritto, è chiara: è un territorio non autonomo, soggetto a dominio coloniale da parte di altra entità statale. Le Nazioni Unite sono intervenute in casi molto più complessi, ad esempio il processo di indipendenza di Timor Est dall’Indonesia alla fine degli anni ’90, e non si comprende per quale motivo non possano intervenire per assicurare il diritto all’autodeterminazione del Popolo Saharawi. O per lo meno vigilare sul rispetto dei diritti umani nella parte del Sahara Occidentale occupata dal Marocco, dove il dissenso pacifico non è tollerato e dove gli attivisti saharawi vengono incarcerati senza processo o con condanne assolutamente inique. L’Unione Europea, dal canto suo, dovrebbe smettere di fare affari col Regno del Marocco e anteporre ad essi la necessaria risoluzione della questione saharawi, questo sarebbe già un importante passo avanti.

C’è una speranza in questi tempi che sembrano andare in altre direzioni sul tema immigrazione, riconoscimento del diritto internazionale, spinte agli interessi alla proliferazione degli armamenti?

È molto difficile essere ottimisti in questa fase storica, ma è anche altrettanto difficile non credere che le cose possano essere cambiate. Lo status quo non è mai inscalfibile, nella storia recente lo abbiamo visto molte volte. Ad esempio, cinque anni fa chi pensava che ci sarebbe stata una nuova guerra in Europa? Probabilmente nessuno. Eppure è successo, e questo è senz’altro un esempio negativo, ma nessuno può sapere cosa accadrà domani. Credo però che l’importante non sia solo continuare a sperare, ma anche continuare a “fare”, qualunque declinazione si voglia dare a questo verbo. Credo che proprio in questi tempi incerti sia ancora più importante fare la nostra piccola parte, che per quanto minuscola sia rappresenta sempre un esempio. E proprio gli esempi reali sono gli elementi che generano impatto, che possono creare un dibattito, che quindi possono innescare un cambiamento.

Possiamo dire che il muro della vergogna che divide il Sahara occidentale occupato dai saharawi nei territori liberati e nei campi profughi in Algeria va ben oltre i 2700 km del muro di sabbia e parte proprio dai nostri paesi e dal nostro mondo occidentale “democratico”?

Senz’altro, del resto potremmo anche chiamarlo “il muro dell’ipocrisia” sapendo che è stato costruito con tecnologia israeliana (di muri effettivamente se ne intendono) e con l’aiuto economico saudita. Due Paesi molto più che amici del mondo democratico occidentale, pur mantenendo al loro interno sistemi politici e sociali che nessuno in buona fede potrebbe definire autenticamente democratici. 

Mi sento di pensare che la questione saharawi abbia molti punti in comune con quella palestinese 

Certo, ha molti punti in comune con la questione palestinese e anche con la questione curda. Del resto, le realtà storiche di popoli oppressi si somigliano sempre un po’, così come si somigliano sempre un po’ coloro che opprimono quei popoli. Potremmo ribaltare il parallelismo e considerare quanto il Marocco, in alcuni aspetti e con tutte le dovute cautele, somigli a Israele nelle sue attività mirate a impedire ad un determinato gruppo sociale di vivere in pace nel proprio territorio. Ovviamente oggi con ciò che sta facendo Israele a Gaza questa similitudine sembra alquanto sbiadita, purtroppo.

“Torneremo” umani? 

Vittorio Arrigoni ci credeva e devo dire che anche io non ho ancora perso le speranze. Probabilmente oggi avremmo bisogno di molti più Vittorio Arrigoni e di molte più Anna Campbell ma non c’è alcun motivo per pensare che non saremo noi, o qualcuno tra noi, a fare quei passi necessari a restare umani. Parafrasando Lorenzo Orsetti, “ogni tempesta inizia con una goccia, cerchiamo di essere noi quella goccia”.

Dove possiamo trovare il libro?

È possibile trovare il libro sul catalogo online della casa editrice, Cronache Ribelli (www.cronacheribelli.it). A chi non conosce già questa piccola realtà editoriale consiglio vivamente un giro sul loro sito, pieno di testi veramente interessanti e originali. Tra le attività legate al “fare”, di cui parlavamo prima, va annoverata secondo me anche questa: sostenere le piccole realtà culturali lontane dalle logiche di mero profitto delle grandi case editrici, perché sono le uniche che possono veramente veicolare pensieri in controtendenza con il mondo attuale. Anche questo è fare una parte nella storia, per minuscola che sia.