Odessa è sempre stata una città cosmopolita e multietnica. Nel febbraio del 2014, quando a Kiev si impose con la forza un governo ultranazionalista, con elementi dichiaratamente nazisti, a Odessa la grande spianata di fronte alla Casa dei Sindacati, chiamata Campo Culicovo, venne occupata da giovani e meno giovani, uomini e donne che si dichiaravano antifascisti e chiedevano che l’Ucraina mantenesse il suo carattere democratico e plurinazionale.
Il 2 maggio con la scusa di una partita di calcio diverse migliaia di persone arrivarono a Odessa. Si trattava in gran parte di militanti di estrema destra, seguaci di Bandera, che durante la seconda guerra mondiale collaborò attivamente con i nazisti anche nelle stragi. Il loro compito era quello di sgomberare Campo Culicovo con la violenza.
Per ottenere questo risultato non esitarono ad assaltare con le molotov la Casa dei Sindacati, dove si erano rifugiati centinaia di manifestanti dopo l’assalto e la distruzione di Campo Culicovo. Alla fine della loro spedizione punitiva in perfetto stile squadrista si contarono decine di morti.
Olga Ignatieva, sopravvissuta alla strage e rifugiata politica in Italia, fornisce nel suo recente libro “Attraverso il fuoco per l’eternità. Odessa, 2 maggio 2014, 21 testimonianze di una tragedia” un elenco di 47 morti accertati, vittime della furia delle squadracce fasciste, che infierirono anche su quanti tentarono di salvarsi dall’incendio che con il fitto lancio di molotov avevano provocato.
Giovedì 26 dicembre ho raggiunto la Casa dei Sindacati, diventata uno dei luoghi della memoria antifascista di Odessa, sia per la strage in sé, sia perché il rogo segnò un punto di non ritorno, che portò alla guerra civile e poi allo scontro tra le maggiori potenze nucleari in terra di Ucraina.
Non è stato facile trovarla perché l’indicazione del palazzo è stata persino cancellata da Google Maps. Trovo però piazza di Campo Culicovo dove, spettrale e abbandonato, sorge il grande palazzo luogo dell’eccidio.
Mi fa lo stesso effetto di quando ho visitato le Fosse Ardeatine, il Museo della Liberazione di Roma di via Tasso o la sala d’aspetto della Stazione di Bologna: luoghi che mettono i brividi.
Il piazzale è deserto e una cancellata ne impedisce l’accesso. Mani pietose hanno legato alla cancellata e su un albero mazzolini di fiori, mentre qualche persona coraggiosa ha tracciato delle scritte che sono state in parte cancellate per indicare il luogo dell’eccidio e le sue vittime.
Scritta “Ricordiamo”
Mentre la memoria viene cancellata dai nuovi padroni della città, non manca chi rivendica l’eccidio, come in una vignetta che ho trovato appesa a un muro, con una ragazza che offre un intero vassoio di molotov accese. Cosa ancora più grave, su una tela esposta in un lussuoso bar del centro si fa l’elogio delle molotov, facendone impugnare una perfino alla statua del Duca di Richelieu, che fu governatore della città nel 1803, ai tempi dello Zar Alessandro I ed è considerato uno dei più importanti personaggi di Odessa, al punto di essere raffigurato con le vesti da imperatore romano. La molotov suona come una sinistra allusione all’incendio e alla strage, nonché come rivendicazione dei nuovi padroni della città.
Se è facile dall’esterno e a tavolino pianificare una provocazione così grave e orrenda, trovando la manovalanza di esaltati pronta a realizzare una strage capace di innescare la tragedia in atto, non sarà affatto facile lenire e curare le ferite che ancora sanguinano nel cuore di troppe persone. Eppure e necessario giungere a un immediato cessate il fuoco, che non si limiti a congelare la guerra, ma che inneschi un processo di vera pace. Non si deve più rimuovere quanto è accaduto.
Le forze sane della società, che non mancano, ma sono costrette al silenzio, dovranno partire dalla consapevolezza degli orrori che hanno provocato la guerra e che la guerra stessa inevitabilmente ha provocato, cercando di individuarne le cause e le responsabilità interne e soprattutto esterne, comprese le nostre come Unione Europea, che hanno trasformato un grande Paese ponte naturale tra Est e Ovest in un campo di battaglia che lo ha diviso e lacerato.
Ristabilire la verità dei fatti e arrivare a una verità condivisa non sarà certo facile, ma indispensabile perché dopo una tregua, più o meno lunga, non si tornino a commettere gli stessi errori e a ripetere nuove tragedie.
Bandire per sempre la guerra e con essa ogni forma di odio etnico e nazionalistico, dì suprematismo e di fascismo, che la provocano e la alimentano, diventano imperativi per ricostruire una società plurale e fraterna, che sia, in ogni città, in Europa e nel mondo intero, la casa comune di tutte e di tutti.