Che la direzione dei decreti esecutivi che fanno più scalpore, tra quelli firmati da Donald Trump il primo giorno di insediamento alla Presidenza degli Stati Uniti d’America, viri decisamente verso posizioni reazionarie, repressive e retrograde, nella migliore delle ipotesi conservatrici, è piuttosto evidente, ma ciò che deve essere messo in risalto è la continuità tra il capitalismo neoliberistico e la reazione, la repressione, il presidio militaristico della società civile.

Basterebbe richiamare solo alcuni di quei decreti per avere una chiara percezione del fenomeno che s’intende dimostrare. Ad esempio, il decreto che ha fatto più discutere, non foss’altro che ha già prodotto immagini raccapriccianti di persone deportate in catene, riguarda l’Immigrazione.

Accade, dunque, che, nel solco di un’abitudine piuttosto diffusa tra i poteri reazionari nel richiamare lo “stato di eccezione”, Trump abbia dichiarato che esiste uno «stato di emergenza al confine con il Messico», per cui ha disposto il dispiegamento di ingenti forze militari alla frontiera, contestualmente alla ripresa del progetto del muro USA-Messico. Il decreto Immigrazione prevede deportazioni di massa di stranieri in genere, cioè di persone che “per decretazione” diventano di colpo “criminali” e, nel caso di condanne per mutilazione o omicidio di cittadini americani Trump chiede che il Dipartimento di Giustizia applichi la pena di morte, da estendere, tra l’altro, a tutti gli Stati della Confederazione.

Ancora nell’ambito del decreto Immigrazione, Trump dispone la fine dello ius soli, vale a dire l’eliminazione della cittadinanza automatica per i figli e le figlie nati/e da residenti temporanei o non legali, inclusi turisti e titolari di visto, ribaltando d’un solo colpo tutta la storia americana, che vede gli europei stessi quali coloni e migranti in un territorio precedentemente abitato da donne e uomini prontamente sterminati/e.

Altri interessanti provvedimenti sono contenuti nel decreto Energia e Clima, il quale prevede il ritiro dall’Accordo di Parigi, l’uscita dall’Accordo sul Clima del 2015, l’aumento della produzione energetica interna mediante “leggi di emergenza” al fine di rivedere e annullare regolamenti climatici ritenuti gravosi per la produzione energetica, l’espansione di esplorazioni di petrolio e gas, comprese regioni offshore e in Alaska, il blocco della disponibilità di nuovi terreni per investimenti in parchi eolici, ritenendo maggiore l’impatto sui paesaggi naturali rispetto ai benefici per i consumatori. Non trascurabile è, confrontato con lo sforzo europeo sul tema, l’eliminazione dei sussidi e delle esenzioni per i veicoli elettrici, volendo incrementare la produzione di auto a benzina.

Un altro settore strategico toccato dagli ordini esecutivi è quello digitale, infatti il decreto riguardante i Bitcoin esprime l’intenzione di prendere in mano da parte degli USA il mercato degli asset digitali e della tecnologia blockchain con l’obiettivo specifico di mettere le mani su un prodotto finanziario che rischia di essere ingestibile e pericoloso per la sua natura deterritorializzata e, quindi, utilizzarlo per creare riserve federali di bitcoin in un momento storico in cui il dollaro non gode di ottima salute a causa di un debito pubblico che nel 2023 ammontava al 129% per PIL nazionale.

Infine, tra i settori strategici toccati da Trump c’è quello farmaceutico, infatti tra i decreti esecutivi più rilevanti, forse passati un po’ in sordina, c’è l’uscita entro un anno dalla firma degli USA dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), il cui palese obiettivo starebbe nel garantire un «vantaggio competitivo delle aziende farmaceutiche statunitensi».

Accenniamo, infine, ad alcuni decreti più esplicitamente retrogradi, come quello sulle Politiche di genere e culturali, con il quale s’intende riconoscere sui documenti governativi solo due generi (maschile e femminile) ed eliminare le iniziative sociali legate a diversità, equità e inclusione a favore di una governance basata sul merito, ma anche quello sulla censura temporanea di TikTok, e quello di natura protezionistica sull’introduzione dei dazi nei confronti della Cina, con potenziali tassi fino al 25% su Messico e Canada. 

Ciò su cui, tuttavia, bisogna riflettere, al fine di indagare correttamente la prospettiva politica dei tempi che sono (piuttosto cupi, ovviamente), è la composizione della compagine che sostiene il regime di Trump, perché di regime si deve parlare quando un presidente di uno Stato il primo giorno di insediamento firma 100 decreti immediatamente esecutivi. 

Ebbene, la platea di personaggi che ha sfilato all’insediamento di Trump, anche piuttosto ambiguamente, se pensiamo al gesto di Elon Musk, subito compensato per decreto con la direzione del Dipartimento per l’Efficienza Governativa per migliorare l’efficienza del governo in chiave decisamente tayloristica, rappresenta circa un terzo della ricchezza mondiale. Ciò dimostra la chiara direzione capitalistica e neoliberistica di questa politica, che attira a sé, tra partecipanti e invitati, non solo Musk, ma anche Albert Bourla, CEO di Pfizer, che secondo il Wall Street Journal avrebbe previsto di partecipare all’inaugurazione, Sam Altman (OpenAI), Tim Cook (Apple), Brian Armstrong (Coinbase), oltre a personaggi in qualche modo legati a doppia mandata al mondo delle cryptovalute e ai combustibili fossili, tra cui la Satoshi Action Fund, che ha legami con «Koch Network, un consorzio di aziende legate ai combustibili fossili. E con la Heritage Foundation, un think tank conservatore noto, tra l’altro, per il suo sostegno alle politiche anti-ambientali».

Bisogna, allora, inquadrare bene, a scanso di equivoci, il significato e la direzione delle politiche neoliberistiche, che si servono sempre più spesso delle situazioni di crisi, generate ad hoc dai media conniventi (anche loro abbondantemente rappresentati all’insediamento di Trump), per mettere a punto “stati di eccezione”, “stati di emergenza” e virare decisamente verso posizioni autoritarie e repressive. Di ciò ne abbiamo avuto testimonianza fattuale in Italia, in Germania e in Europa, in generale, a partire dagli anni ’20 del secolo scorso, quando il liberismo ha generato dal suo interno la reazione al socialismo e al comunismo, approdando a regimi autoritari e repressivi di marca fascista. 

Sul funzionamento del sistema americano e sulla connessione tra neoliberismo e repressione ci metteva in guardia la filosofa Nancy Fraser già nel 2022 in Capitalismo cannibale. Come il sistema sta divorando la democrazia, in nostro senso di comunità e il pianeta: «Nel frattempo i principali interessi capitalistici (Big Fruit, Big Pharma, Big Energy, Big Arms, Big Data) hanno portato avanti la propria pratica di lunga data di promuovere autoritarismo e repressione, imperialismo e guerra in tutto il mondo» (p. 144).

Ecco, qualora non fosse abbastanza chiaro anche ai politici di casa nostra quale deve essere la direzione che i partiti e i movimenti di sinistra, o della «resistenza» per usare un’espressione di Fraser, devono intraprendere vorremmo richiamare ciò che la stessa filosofa americana scrive: «Le correnti dominanti della “resistenza” sono state a anzi a lungo invischiate con gli stessi poteri che avrebbero dovuto smascherare. […] Operando in un contesto di egemonia liberista, questi movimenti hanno funzionato per molti anni come junior partner di un blocco progressista-neoliberista che comprendeva anche settori “progressisti” del capitale globale. […] Così anche i progressisti hanno finito per svolgere un ruolo da front-man, fornendo una patina di carisma emancipatorio all’economia politica predatoria del neoliberismo» (p. 150).

Insomma, come dire, i tempi per la creazione di un fronte controegemonico credibile al neoliberismo, tanto negli USA quanto in UE, attualmente sono molto lontani e di sicuro non saranno sotto la guida di parole d’ordine “democratiche”, “liberali” o “progressiste”, tanto più se il Parlamento europeo vota quasi all’unanimità per l’equiparazione del nazismo, rievocato sempre più spesso e in mondovisione in pompa magna, e il simbolo della falce e del martello, di cui sempre più persone si vergognano. Dovrà attendere ancora a lungo Nancy Fraser prima di vedere barlumi di socialismo!