Il susseguirsi di comunicati sulla giornata bresciana del 28 dicembre impone di fare un breve riepilogo dei fatti, a partire dalla serata di santa Lucia, che – contrariamente al detto popolare – non è “la notte più lunga che ci sia”. La notte conduce al sonno, ma in alcuni casi al sonno della ragione, che genera i mostri che si sono palesati in città nelle ultime due settimane.
Partiamo dal 13 dicembre, santa Lucia: diverse sigle dei gruppuscoli fascisti indicono una manifestazione con corteo. La parola d’ordine è: ” Difendi Brescia!”. Da chi? ovviamente, “dall’immigrazione di massa, non più sopportabile”.
La manifestazione è un flop: sono solo in trecento, in maggioranza provenienti dalle province limitrofe, a lanciare slogan razzisti e suprematisti. Comunque troppi, ma la città non sembra nemmeno accorgersene.
La notizia, però, non resta confinata ai media locali e assurge alla ribalta della cronaca nazionale, che le dà un rilievo sproporzionato. Nelle notti successive, il centro di Brescia viene imbrattato da svastiche, anche a pochi metri dalla stele che ricorda la Strage del 28 maggio 1974.
A questo punto, la parte democratica e antifascista della città – nelle sue diverse anime – ha uno scatto d’orgoglio: viene indetta una manifestazione antifascista per il 20 dicembre. Vi partecipano oltre 4.000 persone, in una Piazza Loggia gremita come da tanto non la si vedeva (anche perché le autorità cittadine da anni la vietano alle manifestazioni non “istituzionali”).
Dalla Piazza poi si muove un corteo spontaneo: almeno un migliaio di persone muove verso i quartieri percorsi una settimana prima dai fascisti. In Piazza Loggia restano ANPI, sindacati, la sindaca Castelletti e i partiti di centro-sinistra che amministrano la città. A muoversi per simboleggiare la “bonifica” antifascista della zona intorno alla stazione, toccata il 13 dicembre dal corteino dei fascisti, sono in prevalenza giovani, che fanno riferimento a gruppi, associazioni, realtà di base che nel corso degli anni hanno monitorato e arginato la presenza dei fascisti a Brescia.
La bella giornata del 20 dicembre ha comunque reso evidente la convivenza di due modi di intendere e praticare l’antifascismo. Da un lato c’è l’antifascismo “istituzionale”, che si palesa nelle scadenze comandate, avviluppato in un rituale che non si traduce in pratica politica. Dall’altro lato c’è l’antifascismo “militante”, che cerca di porre un argine a neofascisti e razzisti nei quartieri, nelle scuole, con una presenza pronta ad attivarsi all’occorrenza, e non solo il 25 aprile o il 28 maggio.
Andiamo avanti col calendario: gli stessi gruppuscoli di fascisti che avevano organizzato la manifestazione del 13 dicembre hanno pensato di promuovere un raduno – mascherato da aperitivo – per il 28 dicembre in piazza Vittoria, luogo per loro simbolico a partire dal nome e dall’architettura tipica del ventennio, e al contempo adiacente a Piazza della Loggia.
Evidente, anche dai toni del manifesto d’indizione, la provocazione inscenata; necessaria quindi la risposta dell’assemblea permanente antifascista, che ha indetto per la stessa data e nella stessa piazza un presidio antifascista.
Ed ecco il corto circuito: la questura vieta piazza Vittoria ai fascisti e agli antifascisti, prescrivendo di svolgere le loro iniziative a qualche centinaio di metri. Il questore, che firma le prescrizioni, mette sullo stesso piano fascisti e antifascisti. Normale?!?
Le realtà antifasciste ritengono inaccettabili le prescrizioni della questura e comunicano che saranno comunque presenti in piazza Vittoria, dove terranno una conferenza stampa.
L’ANPI provinciale e la segreteria della CGIL, soddisfatte per il provvedimento del questore (che non ha vietato il raduno fascista, ma lo ha solo un po’ decentrato), invitano a non partecipare al presidio antifascista! Una scelta codarda e irresponsabile, che mira a isolare e delegittimare gli antifascisti “militanti”. E la questura capisce bene il messaggio…
Veniamo al 28 dicembre. I fascisti si trovano in una trentina. Contrastarli, impedire loro l’agibilità degli spazi pubblici della città serve a vanificare il loro tentativo di radicarsi, di fare proseliti.
In piazza Vittoria, nonostante il divieto del questore e nonostante la scomunica di ANPI Provinciale e CGIL, si trovano in più di un migliaio.
Sta per iniziare la conferenza stampa e vengono srotolati due striscioni, con le scritte: “La vera sicurezza è questa qua – fuori i fascisti dalle città” e “Guerre e fascismi: la Costituzione dice no!”.
Poliziotti cercano di strappare dalle mani di chi li teneva i due striscioni – che certamente non avevano un contenuto “sovversivo” – e non riuscendoci partono le cariche di polizia verso manifestanti inermi e pacifici.
Poi i media parlano di scontri tra antifascisti e polizia, quando più correttamente avrebbero dovuto titolare: “Cariche di polizia contro pacifici manifestanti antifascisti” (per chi avesse dubbi, basta guardare i diversi filmati in rete).
Ma il peggio doveva ancora venire. Senza essere stati presenti in piazza, senza aver visionato con attenzione i video (o senza averci capito niente), ieri sono arrivati i vergognosi comunicati della sindaca Castelletti e dell’assessore Muchetti. Ce li si poteva aspettare, conoscendo il navigato opportunismo politico della prima e l’abituale argomentare grossolano del secondo, però si spera sempre che chi ricopre importanti ruoli istituzionali e amministra la città in rappresentanza di tutti i cittadini e le cittadine sia all’altezza del compito che gli è stato affidato. Aspettativa in questo caso mal riposta. Oggi, poi, la ciliegina sulla torta: il penoso comunicato a firma dei segretari comunale e provinciale del PD, che facendo equilibrismi difendono l’indifendibile.
Ne traggo le mie personali conclusioni: sindaca, ANPI Provinciale, CGIL e PD continuino pure a celebrare le loro feste comandate, ma l’antifascismo praticato quotidianamente è altra cosa da loro e quindi non pretendano di impartire lezioni e ricordino che disobbedire a leggi ingiuste e a divieti arbitrari è un dovere, prima ancora che un diritto.
Quanto al questore, dovrebbe andarsene da Brescia, perché di questa città ha capito poco o nulla. Oppure perché ha capito fin troppo bene quali sono i poteri a cui deve rispondere.
Manlio Vicini