A Sulmona si è svolta la premiazione del 2° Concorso letterario organizzato dall’Unuci – l’associazione degli ufficiali in congedo delle Forze Armate – riservato agli studenti del 3°, 4° e 5° anno degli Istituti superiori di istruzione della Valle Peligna e dell’Alto Sangro e il cui tema era “…essere soldati al servizio di tutti”. 

Alla cerimonia ho assistito anch’io mostrando, in silenzio, un cartello con su scritto: “Educare i giovani alla pace non alla guerra”. Sono stato quasi subito circondato dai poliziotti e dai carabinieri presenti che mi hanno dapprima invitato a togliere il cartello, dopo di che, constatato che non intendevo toglierlo, sono stato sospinto a forza verso l’uscita della sala. 

L’iniziativa “letteraria” dell’Unuci (ente fondato nel 1926 che ha tra i suoi scopi quello di organizzare “attività addestrative per i propri iscritti e anche per le Forze di Completamento e della Riserva Selezionata”) si inquadra nel processo di militarizzazione della scuola italiana ormai in atto da tempo e che ha come finalità quella di orientare studenti e studentesse a scegliere la carriera militare. 

Naturalmente questa finalità non è perseguita in modo esplicito ma viene “offerta” ai ragazzi attraverso una abile manipolazione della realtà. Quello militare viene dipinto come un mondo ideale, e l’evento di Sulmona non ha fatto eccezione. I soldati vengono presentati come missionari di pace e le soldatesse come crocerossine al servizio dei più deboli. I militari, secondo questa narrazione, non si addestrano per fare la guerra ma per portare aiuti umanitari e per operazioni di protezione civile.

Negli interventi che si sono susseguiti nel corso della cerimonia è stato ricordato ai ragazzi presenti, guarda caso, che “il servizio militare non è stato abolito ma solo sospeso”; che “le caserme di Sulmona in passato erano piene di soldati e che oggi purtroppo sono vuote”; che “se la guerra ci dovesse coinvolgere non abbiamo le Forze come una volta”; che le Forze Armate servono per “difenderci da attacchi sia esterni che interni”. 

Nessun accenno, ovviamente, ai massacri e alle distruzioni in corso in Ucraina,  in Palestina e nelle altre guerre in atto nel mondo; al fatto che in  guerra, oggi come ieri, la “carne da cannone” è fornita dalle classi subalterne; che dietro le guerre ci sono quasi sempre potentissimi interessi economici; che negli ultimi tre anni i profitti delle industrie degli armamenti sono schizzati alle stelle; che l’articolo 11 della Costituzione italiana  ripudia la guerra come mezzo per la risoluzione delle controversie internazionali.

Bei tempi quelli del ventennio che fu quando, per entrare nelle scuole, non si dovevano escogitare concorsi letterari ma l’insegnamento della “Cultura militare” era imposta per legge. Recitava, infatti, l’art.2 del Regio decreto del 15 luglio 1938: ”I programmi per i vari gradi dell’insegnamento sono stabiliti e, occorrendo, modificati con decreto Reale, su proposta del Ministero dell’educazione nazionale, sentiti  i Ministeri militari”.  

Dopo aver preso atto che la penetrazione delle Forze Armate nelle istituzioni scolastiche italiane non riguarda eventi sporadici ma è il frutto di una strategia che investe l’intero Paese, nel marzo 2023 presso la Camera dei Deputati è stato lanciato un appello firmato da circa cento docenti universitari e della scuola pubblica. Da quell’appello è nato l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università che ha lo scopo di denunciare e contrastare le iniziative che hanno per obiettivo quello di fare del sistema educativo italiano il luogo privilegiato per la diffusione della cultura militare e per il reclutamento di futuri soldati professionisti o per preparare un esercito di riserva per eventuali e non lontane necessità.

 I docenti che aderiscono all’Osservatorio sono invece sempre più convinti che la Scuola, in un Paese democratico, non può essere usata per preparare i giovani al “mestiere delle armi” ma deve sviluppare in essi la cultura della pace, della nonviolenza, del rispetto dei diritti umani e della solidarietà tra i popoli.