Ancora una volta si è consumata come ogni anno l’ipocrisia del Giorno della Memoria. Capi di Stato riuniti a commemorare l’Olocausto, come una pausa tra un vento di guerra e un altro che si annuncia.

Prima di procedere, vogliamo precisare che esiste anche una “Memoria onesta”. Quella di milioni di donne e uomini i quali sinceramente sperano che il ricordo delle tragedie del passato possa tracciare una via di pace e di sorellanza e fratellanza tra i popoli. Ma a questa visione “politicamente ingenua”, (nel senso buono di chi sa vedere oltre gli interessi e i giochi di dominio della geopolitica globale) si contrappone subdolamente la “memoria” dei “grandi dell’Occidente” che devono alimentare la retorica della guerra giusta portata avanti dai “buoni” contro “i cattivi” per spargere nel mondo libertà e democrazia. 

Si tratta di una narrazione creata solo dopo la fine di un conflitto che era nato in realtà come atto conclusivo di trent’anni di guerra per conquistare l’egemonia globale, e dal quale l’Europa sarebbe uscita sconfitta e per sempre sottomessa ai suoi  presunti “liberatori” d’oltre oceano. 

Gli eventi reali della guerra raccontano di un comando alleato che di fronte a chi proponeva di bombardare le ferrovie che portavano gli Ebrei ad Auschwitz, rispose (letteralmente) che “quello non era un obiettivo di interesse strategico”. Strategico era invece bombardare a tappeto le città italiane e francesi massacrando la popolazione civile; o radere al suolo Dresda quando la Germania aveva già perso la guerra; oppure sganciare ordigni nucleari su Hiroshima e Nagasaki quando l’Imperatore del Giappone aveva già fatto sapere di volersi arrendere. 

Le vere intenzioni degli alleati d’altra parte furono chiaramente dimostrate dal destino riservato dopo il conflitto alla Spagna fascista del generale Franco, che invece di essere quanto meno isolata dal contesto civile, fu invece inglobata con tutti gli onori nell’alleanza atlantica. Cosa che con ogni probabilità sarebbe successa anche all’Italia, se Mussolini non avesse coinvolto nel conflitto il nostro paese, pensando di partecipare alla spartizione del bottino quando la guerra sembrava dare ragione alle armate tedesche.

In sostanza è con la fine della Seconda guerra mondiale che nasce quel modello di narrazione giustificativa dell’imperialismo statunitense, fondato sulla necessità di portare la guerra in ogni angolo del mondo per “esportare la democrazia” a vantaggio dei popoli bisognosi. Un inganno che ha coinvolto gli Stati Uniti in 64 conflitti negli ultimi ottant’anni, e che è ancora oggi perfettamente vitale in centinaia di basi militari sparse per il pianeta.

È esattamente per fare rivivere la retorica di questa narrazione che bisogna mettersi in parata per il Giorno della Memoria. Se così non fosse i sei milioni di ebrei uccisi verrebbero ricordati, (non per sminuire la specificità della loro storia ma anzi per valorizzarla), come simbolo universale delle vittime di ogni genocidio. Per sempre fratelli e sorelle dei nativi americani sterminati dall’ingordigia dell’uomo bianco; o dei tre milioni di Armeni uccisi; o degli almeno dodici milioni di morti massacrati in Congo (ma c’è chi calcola che fossero venticinque milioni) dal grande macellaio Leopoldo II, re del Belgio. 

Ma questa è solo la rassegna delle vittime che non servono. Il cui ricordo potrebbe anzi essere pericoloso per la glorificazione dei valori dell’Occidente in versione a Stelle e Strisce. Meglio limitarsi a riesumare i morti dell’Olocausto nazista per ucciderli ogni anno di nuovo, usando la loro “memoria” in modo distorto e interessato come arma letale di dominio contro chiunque osi ribellarsi.